1982
1982: Le Br assaltarono la caserma Pica
a Santa Maria Capua Vetere e uccisero a Salerno il giudice sammaritano Nicola Giacumbi.
Il mare era
agitatissimo, il vento soffiava più forte del solito. Ma in pieno inverno era la fine di
dicembre, il marciapiedi di via
Caracciolo, lungomare considerato tra i
più belli del mondo, era
affollatissimo. La domenica mattina
pochi rinunciano allo spettacolo incomparabile che la città di Napoli offre in
quel luogo. Incoraggiati dal cielo
particolarmente sereno e dal sole sempre
caldo, seduti su un muretto, due uomini chiacchieravano. “Le basi di Roma sono
cadute” : Dal tono di voce sembrava piuttosto giù di morale. Dobbiamo
bilanciare l’offensiva e riaffermare la nostra
presenza. E per far ciò c’è bisogno di armi! “Certo, rispose l’interlocutore alquanto pensieroso - capisco”. Tra l’altro, come potremmo farne a meno nelle azioni contro le auto blindate?”.
L’uomo che sembrava non ascoltare all’ improvviso esclamò. Ma certo! La caserma Pica… le armi!”.
“Come?” - chiese turbato il primo -che cominciava a preoccuparsi.
presenza. E per far ciò c’è bisogno di armi! “Certo, rispose l’interlocutore alquanto pensieroso - capisco”. Tra l’altro, come potremmo farne a meno nelle azioni contro le auto blindate?”.
L’uomo che sembrava non ascoltare all’ improvviso esclamò. Ma certo! La caserma Pica… le armi!”.
“Come?” - chiese turbato il primo -che cominciava a preoccuparsi.
Non era
assolutamente impazzito e, raccolto ogni suo pensiero: ”E’ la caserma dove da
poco ho finito il servizio militare. Ero nel servizio di guardia e so molto
bene dove si trovano le
armi. .
“Sì, ma ora non ci sei mica tu a fare la guardia”… ironizzò l’amico.
armi. .
“Sì, ma ora non ci sei mica tu a fare la guardia”… ironizzò l’amico.
“Ma ti assicuro che assaltarla sarà un
gioco da ragazzi Ti spiego: è usanza in quella caserma…”
Fu una spiegazione dettagliata, alla fine della quale l’altro, che pareva convinto, disse: “Benissimo, decideremo il nucleo e fra qualche giorno lo riunirò per stabilire il piano. A presto”.
I due si separarono, e sparirono tra la folla.
Fu una spiegazione dettagliata, alla fine della quale l’altro, che pareva convinto, disse: “Benissimo, decideremo il nucleo e fra qualche giorno lo riunirò per stabilire il piano. A presto”.
I due si separarono, e sparirono tra la folla.
(Secondo la
ricostruzione degli inquirenti, il brigatista
Antonio Recano, napoletano, avrebbe parlato con Vittorio Bolognese,
suggerendogli come obiettivo per l’azione la caserma Pica, presso la quale
aveva prestato il servizio militare. Lo
stesso Bolognese avrebbe proposto anche a Vincenzo Stoccaro di partecipare
all’azione. Alla fine di gennaio si sarebbe riunito il nucleo composto da
Stoccaro, Bolognese, Emilio Manna, Stefano Scarabello e lo stesso Recano).
Un paio di mesi
dopo, verso la fine della stagione invernale, in una stanza della stazione dei
carabinieri, diversi uomini in piedi, alcuni dei quali in divisa, ascoltavano
il loro comandante che interrogava un
giovane seduto di fronte a lui. Ciò durava ormai da qualche ora, ma la
discussione non pareva assolutamente finire, anzi!
“Questa risposta
già me l’hanno data i militari che erano di guardia”. Il maresciallo era stato
calmo, ma l’atteggiamento del ragazzo cominciava a innervosirlo. “Ma è la
verità, ve lo giuro” insisteva il giovane. “Caporale Bertolino, le
dichiarazioni sue e degli altri militari sono assolutamente inverosimili.
Non resistette
più! Scattò in piedi facendo capovolgere la sedia, e sbatté violentemente il
pugno sul tavolo. Alzando brutalmente la voce, fece sobbalzare anche un suo
collega. “Devi smetterla di prendermi per il culo! La verità. . . la verità
voglio sapere, e da qua non te ne vai finché non me la dici, capito?”.
Seguì un profondo silenzio. Il caporale non ce la fece più. L’interrogatorio era stato pressante.
Scoppiò in lacrime, e abbassato il capo, nascose la faccia tra le mani. Poi, con voce bassissima: “E va bene, basta però, ‘vi dirò tutto”.
Seguì un profondo silenzio. Il caporale non ce la fece più. L’interrogatorio era stato pressante.
Scoppiò in lacrime, e abbassato il capo, nascose la faccia tra le mani. Poi, con voce bassissima: “E va bene, basta però, ‘vi dirò tutto”.
Qualche carabiniere fece un sospiro di sollievo. Il maresciallo era ancora troppo
nervoso, ma crollò sulla sedia, che intanto avevano rialzato, più rilassato. E ricominciò: “Allora, si
può sapere cos’èsuccesso la notte dell’8 febbraio nella caserma?”.
Si fece dare un
fazzoletto e, asciugate le lacrime, cominciò. . .
“La mattina
deIl’8 febbraio assunsi il comando del corpo di guardia.
(Secondo il
rapporto del 22
febbraio 1982, inviato dai
carabinieri al Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di S. Maria
Capua Vetere, il giorno 9 febbraio, ai
carabinieri arrivati sul posto, i militari di pattuglia e le sentinelle diedero
false testimonianze sui fatti accaduti quella
notte; mentre successivamente il comandante della guardia,
caporalmaggiore Silvio Bertolino sottoposto a scettico e pressante
interrogatorio non resistette e,
scoppiato a piangere, confessò tutta la verità).
La mattina dell’8 febbraio assunto il comando del
corpo di guardia della caserma A. Pica di Caserta, il caporalmaggiore Silvio
Bertolino aveva a sua disposizione 15 guardie, 2 caporali e l’autista. Nel
tardo pomeriggio, i ragazzi
della guardia si riunirono e, tutti accovacciati per terra, formavano un grande
cerchio. “Allora il turno da mezzanotte alle due è capitato a te, mio caro”.
“No, no! Che cazzo!” Uno solo si lamentava tra le risate degli altri, che lo
prendevano in giro
“E quando ti passa, che botta
che fai!”… ripetevano in coro. ‘A vita è na ruota, guagliù, non ve lo
scordate”, replicava lo
sfortunato.
I ragazzi decisero, tutti d’accordo, di non effettuare
per intero i turni della notte,
e che il servizio venisse svolto dalla sola sentinella addetta alla porta
centrale, mentre tutti gli altri
andavano a dormire.
“Attenzione, prego Attenzione! Giro la bottiglia per
il secondo turno”.
Questa ormai era
l’usanza in quella caserma, agevolata soprattutto dal fatto che durante le ore
notturne le ispezioni effettuate dai superiori erano molto rare., Un’abitudine tanto… istituzionalizzata da
spingere i militari a offrirsi spesso volontari per la comodità del servizio!
La bottiglia
indicò un altro di loro.
“Mi spiace, Ignazio - il tono del
compagno era molto ironico - ti fai il turno dalle 2 alle 4”.
“Ma porca puttana!” si limitò a rispondere, sempre tra le battute degli altri.
Quella notte dunque l’intera guardia era a letto, tranne la sentinella alla porta.
“Ma porca puttana!” si limitò a rispondere, sempre tra le battute degli altri.
Quella notte dunque l’intera guardia era a letto, tranne la sentinella alla porta.
(Dopo la
confessione del caporalmaggiore Bertolino, il Procuratore militare ordinò
l’arresto di tutti i militari componenti la guardia quella notte, responsabili
dei reati di abbandono di posto e violata consegna).
Finito il turno
di due ore, la sentinella smontò a mezza notte e le fu dato il cambio dal
soldato Ignazio Leone.
In quel preciso
istante cinque uomini discutevano a bassissima voce dall’altro lato del muro di
cinta, in un cortile adiacente.
“Saranno tre o
quattro metri, come facciamo?”.
“Ehi, guardate qua cos’ho trovato!”
intervenne uno di loro mentre trascinava una scala in legno. “Perfetto, ma aspettiamo
qualche minuto - e, rivoltosi ad uno
- tu comincia ad andare in macchina e
preparati ad entrare”.
( Avrebbero
formato il gruppo d’azione Stoccoro, Scarabello, Bolognese, Manna e Recano).
Erano le tre circa quando Ignazio Leone, che
passeggiava nelle vicinanze del cancello principale, d’un tratto si
immobilizzò: sentì la presenza di una canna di pistola dietro la nuca.
“Non avere paura, siamo le Brigate Rosse. Non
ti faremo assolutamente male, dobbiamo solo prendere le armi”. E,
costringendolo a precederli, si diressero verso il corpo di guardia.
Per non destare
sospetti, uno di loro, immediatamente indossati abiti militari sottratti ad una
guardia, prese il posto della sentinella. E, aperto il cancello centrale, fece
entrare una Fiat 127 con il
quinto uomo. Svegliarono uno per volta
tutti i militari, compreso il capoposto, sorpresi nel sonno.
I ragazzi addetti
alla guardia non si rendevano conto di cosa stesse accadendo. Li imbavagliarono, e, legati mani e piedi, li costrinsero con le
armi a sedersi per terra nella stanza adiacente alla camerata.
Ci volle più di un’ora per rendere l’intera guardia inoffensiva.
Ci volle più di un’ora per rendere l’intera guardia inoffensiva.
Un terrorista,
notando che i giovani cominciavano ad agitarsi, gentilmente si rivolse loro:
“Per favore, non fate rumore”. Poi, ad un suo compagno: “Allora, dov’è sto
deposito?”.
Sembrava che il secondo conoscesse molto bene la caserma. Rispose, infatti, con una certa sicurezza ‘Venite con me!”.
Sembrava che il secondo conoscesse molto bene la caserma. Rispose, infatti, con una certa sicurezza ‘Venite con me!”.
Raggiunta la
stanza che conteneva le armi, uno con un palo di ferro spaccò lucchetti e porta
ed entrati si impossessarono di bazooka, mortai, mitragliatori e tante altre
armi.
Poi in tutta
fretta caricarono l’auto parcheggiata nel cortile della caserma che, seguita da
una Fiat 5oo, si dileguò nel d buio.
Era quasi l’alba!”.
(Fu accertato
successivamente che dal deposito della caserma erano stati sottratti due
bazooka 88, due mortai da 6o, quattro MG
mitragliatori, due fucili mitragliatori, diciannove fucili automatici
cal. 7,62 NATO, una pistola
Beretta cal. 7,65, diciotto fucili Garand, ciascuno con
due caricatori completi di munizioni).
Verso le 6,30, in
un appartamento di Sant’Antonio Abate, a un uomo si vestiva in fretta. Un
altro, che dormiva sul divano della stanza d’ingresso, svegliato dai rumori,
chiese:” Ma dove vai a quest’ora?”.
“Un appuntamento!”. si limitò a rispondere il primo. E, sulla porta: ”Dormi, dormi!”.
Salì in macchina e si diresse verso Fuorigrotta.
Salì in macchina e si diresse verso Fuorigrotta.
Quasi
contemporaneamente, arrivava, nel parco ferrovieri, tra la stazione della metro di piazza
Garibaldi e dei Campi Flegrei, a piazza
S. Vitale, una Fiat 127 con due
uomini.
Parcheggiò e rimase in attesa.
Parcheggiò e rimase in attesa.
Verso le 7.00 arriv l’uomo che, sceso
dall’auto, si avvicinò alla macchina.
“Allora, tutto
bene?”. Uno rispose: “Tutto a posto, solo che le armi sono quasi tutte
inefficienti. Mancano dispositivi ed otturatori”.
“Merda!” replicò
il primo.
Poi, dopo qualche
minuto di discussione, salì in macchina e andò via.
Risalì le scale del palazzo di Sant’Antonio
Abate ed entrato in casa, svegliò l’amico che ancora riposava.
“Alzati, c’è da lavorare”.
“Alzati, c’è da lavorare”.
Entrò nelle altre
stanze dove altri uomini dormivano. Li svegliò tutti. Si riunirono.
“Ma ch’è
successo?” chiese sbadigliando uno.
“I nostri
compagni stanotte hanno preso le armi
nella caserma Pica a Caserta e. . .“
“Come? -
lo interruppe il primo - e come mai non mi. avete avvertito?” .
“Si è trattato di un’azione di propaganda,
senza alcun obiettivo operativo rispose quello che era appena tornato - quindi
non abbiamo ritenuto necessario avvertire tutti!”.
Dopo aver spiegato l’azione. Della notte precedente: “Ora bisogna nascondere le armi, e ne abbiamo un auto piena. C’è bisogno dell’aiuto di tutti e subito!”.
“Andiamo a prepararci”
(Acanfora
testimoniò che quella sera, insieme con Chiocchi, Sarnelli, Cotone e Planzio,
dormirono nel covo di Sant’Antonio Abate e che non prese parte né alla
preparazione né tantomeno alla esecuzione dell’azione, né fu avvisato
preventivamente. Sarebbe stato Planzio
la mattina, dopo aver incontrato Bolognese e Stoccoro, ad avvertirlo
dell’accaduto. Tali dichiarazioni ebbero la conferma di Planzio e di altri
responsabili: fu per questo assolto dai reati sub 43-44-46, del decreto di
citazione,
per non aver commesso il fatto; rispose, invece, per la parte avuta nella
fase successiva alla rapina, dei reati di porto e sottrazione delle armi alla
loro pubblica destinazione).
per non aver commesso il fatto; rispose, invece, per la parte avuta nella
fase successiva alla rapina, dei reati di porto e sottrazione delle armi alla
loro pubblica destinazione).
Alle 12,50 squillò il telefono negli uffici de “Il
Mattino”.
“Pronto?” … “Qui Brigate Rosse. . .“ cominciò la voce.
L’ addetto al
telefono prese al volo una penna e della carta
per annotare.
“Abbiamo
espropriato armi in una caserma di Santa Maria Capua Vetere!” e subito
riattaccò.
Durante tutta la
mattina diversi uomini andavano e tornavano nel parco ferrovieri raccogliendo
con borse e valigie le armi. Nel pomeriggio si riunirono.
Una parte la
sotterriamo a Bagnoli, un’altra parte non so… avevo pensato a Monte Sant’Angelo
- e, rivolgendosi ad uno più giovane -
l’ultima parte portala a quel nostro amico ma non dirgli niente”.
“Vado subito”.
Sceso con un
compagno, si diresse con una Fiat 128
bianca verso Mergellina. Svoltò in un vicolo della Torretta. Lì in
contrò un uomo.
“Antonio, sono venuto per chiederti una
cortesia, devi custodirmi della roba”.
“Di che si
tratta?”.
“Non ti preoccupare, è materiale di archivio…
libri”.
Non era convinto, ma accettò e prese con sé la
cassa, chiusa da lucchetti.
Quando
i due se ne andarono, caricò la cassa sulla propria auto e raggiunse la casa di
un amico. “Mi devi fare un piacere. Ho una cassa in macchina con un casino di
roba. . . sono libri e oggetti personali, ma non posso più tenerli. Puoi
custodirla per qualche giorno?”.
“E che problema c’è, certo”.
(Planzio avrebbe
chiesto il favore ad Antonio Fedele di custodirgli la cassa
dicendogli che conteneva materiale d’archivio, il quale, a sua volta,
avrebbe chiesto all’amico Del Renga di custodirla. Del Renga fu poi assolto in
quanto presumibilmente non era a conoscenza durante la detenzione della cassa
del suo reale contenuto).
I telegiornali avevano già ampiamente
annunciato la notizia della rapina a Caserta. Molti la sera rimasero incollati
dinanzi agli schermi per seguire la
vicenda.
Intorno alle 22
anche negli uffici de “Il Messaggero” a Roma diversi giornalisti
discutevano dell’evento. Ma, nonostante ciò, furono sorpresi dalla voce al
telefono: “Qui Brigate Rosse. Rivendichiamo l’assalto all’armeria di S. Maria
Capua Vetere”.
(Il giorno dopo,
10 febbraio 1982, una
telefonata all’agenzia Ansa di Genova e
alla redazione de “il Giornale d’Italia” segnalò la presenza di un comunicato
in un cestino per rifiuti all’angolo di via Cernaia con via Pastrengo. Una
copia del comunicato fu segnalato in un cestino a via Gallinari ai giornalisti
de “Il Messaggero” che trovarono cinque pagine dattiloscritte con una
fotografia Polaroid della armi rubate).
Il processo si svolse a Napoli.
Ci furono condanne durissime.
(1 - CONTINUA )
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IL CAPITOLO E' TRATTO DAL LIBRO DI PROSSIMA PUBBLICAZIONE
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