Era la
sera del 20 settembre del 1988, nel Viale
dei Pioppi di Baia Domizia,
Assassinato Giuseppe Mascolo
il
farmacista di Cellole
Era ricco e potente e
faceva politica e trattava affari. Si era rifiutato di scendere a patti con la
camorra
Il delitto scoperto
dopo vari anni grazie alla sagacia dell’ex piemme Raffaele Cantone. La vicenda è raccontata nel
suo libro “Operazione Penelope”.
Uno dei killer è
lupara bianca l’altro sconta il carcere condannato a 21 anni.
Le dichiarazioni
della moglie di un killer e quelle di un collaboratore di giustizia di Sessa
Aurunca, consentirono di riaprire le
indagini.
La donna riferì al pm della Dda di Napoli,
Raffaele Cantone e ai carabinieri del
reparto operativo di Caserta, cosa le confidò il marito subito dopo l’agguato.
Il dottore Giuseppe Mascolo era ricco, potente, stimato, faceva politica e trattava
affari. Era farmacista ma anche proprietario terriero: quando gli capitava
l’occasione giusta, l’investimento redditizio, metteva mano al conto in banca e
comprava. Nei giorni che precedettero la sua morte un pensiero agitava la sua
testa: si era intestardito con un grosso appezzamento di terreno a Baia
Domizia, lo stesso che interessava il camorrista più potente della zona, Alberto Beneduce. Come
si ricorderà, la moglie di quest’ultimo fu trucidata assieme al suo amante. Fu Dario De Simone, il pentito che consentì,
infatti, di far luce sulla scomparsa di Luigi Griffo e Paola Stroffolino, uccisi in un agguato. Il
farmacista Giuseppe Mascolo, 61 anni,
esponente della Democrazia Cristiana e
dell’USL di Sessa Aurunca, proprietario di due farmacie, ( una a Cellole e
l’altra nel centro sociale di Baia Domizia), non si tirò indietro e fece delle
offerte per l’appetitoso terreno. Per questo il boss – che era stato il pupillo
di Antonio Bardellino – mandò i suoi uomini più fidati a
minacciarlo. Dovevano spaventarlo e
magari ferirlo alle gambe; sbagliarono e l’uccisero. Era la sera del 20
settembre del 1988, nel Viale dei Pioppi di Baia Domizia, il figlio del
farmacista Luigi, che all’epoca
aveva appena 24 anni, (oggi anche lui farmacista, affermato imprenditore,
impegnato in politica e nel sociale, ha
messo a disposizione l’indennità che lo Stato gli ha riconosciuto quale
familiare di vittima innocente della criminalità, per una borsa di studio a
favore di studenti delle scuole superiori di Sessa Aurunca), vide l’auto degli
assassini e ne annotò il numero di targa. Vide anche scappare chi aveva
sparato, uno a piedi verso la spiaggia e tre sull’auto, una Prisma, che risultò rubata e che fu
trovata poco lontano dal luogo dell’agguato. Dei killer, per quasi 14 anni non
si è saputo più nulla.
Il dr. Luigi Mascolo, mentre firma la convenzione per la istituzione delle borse di studio |
La vicenda è stata anche
narrata da Raffaele Cantone nel suo
libro “Operazione Penelope”. “La
prima volta che ho sentito parlare dell’omicidio del farmacista Giuseppe
Mascolo - ha scritto Cantone – ero
entrato da poco a far parte della Direzione distrettuale antimafia della
procura di Napoli. Era la fine del 1999 e mi erano stati assegnati i processi
dell’area casertana. Tra i miei primi
incarichi c’era la gestione di un pentito, un tale Gianfranco. Risultava un
personaggio di medio calibro. Nel 1993 aveva abbandonato il clan ed era fuggito
all’estero per il timore di essere ucciso. È stato allora – nel corso degli interrogatori
- che è venuto fuori il nome di Giuseppe Mascolo, per me totalmente sconosciuto.
Fece anche i nomi di alcuni degli
esecutori materiali, un certo Toraldo,
detto «il Guercio», e un tale Lucio. Dopo
avere letto le dichiarazioni del giovane Luigi
Mascolo, mi concentrai su quelle della madre. Seppi così che il farmacista
aveva fatto degli investimenti in zona: aveva acquistato dei terreni, uno dei
quali inserito nel piano regolatore. Si trattava di un ottimo affare, che
poteva senz’altro aver ingolosito il clan. Qualcuno, infatti, si era fatto
avanti per conto dei camorristi, manifestando il loro interesse. Anche dopo la
morte del farmacista, un personaggio della zona aveva avuto l’ardire di
ritornare alla carica presentandosi a nome di Beneduce per riproporre
l’acquisto di quel lotto.
IL LUOGO DEL DELITTO |
Il maresciallo Iatomasi mi raccontò che parecchi anni prima, nel
corso di un’indagine in quella zona, aveva conosciuto la moglie di un esponente
di primo piano del clan di Baia Domitia. L’uomo, un tale Toraldo, era scomparso
e tutti sapevano che non era fuggito ma doveva essere rimasto vittima della «lupara bianca». Si era
rivolta quindi ai carabinieri perché voleva liberarsi la coscienza, raccontando
agli inquirenti tutto ciò che Toraldo nel corso degli anni le aveva rivelato.
Tra quei segreti, c’era anche l’omicidio di Giuseppe Mascolo che, a suo dire,
era stato ammazzato proprio dal marito. Il maresciallo aveva subito informato
la procura che una testimone era disposta a parlare, ma non ne aveva saputo più
nulla. Pregai il maresciallo di non arrendersi e di
andare a parlarle di persona. Ero certo che ci sarebbe riuscito, e così fu.
Sebbene recalcitrante, alla fine la donna aveva acconsentito a rispondere alle
domande. Si chiamava Silvana. Ancora bella, seppure non più giovanissima, i
suoi occhi spenti tradivano una vita difficile e sofferta. Suo marito era
effettivamente uno degli uomini di fiducia di Beneduce e si occupava di
estorsioni e intimidazioni. A suggello di questo legame criminale, il boss aveva
fatto da testimone alle loro nozze. Il marito le aveva anche fatto i nomi dei
suoi tre compari: fra di loro c’era quel Lucio di cui mi aveva parlato
Gianfranco. Le dichiarazioni di Silvana, dunque, si erano confermate molto
utili: i fatti che ci aveva raccontato coincidevano con quello che mi aveva
detto il pentito. I carabinieri prepararono un’informativa piena di elementi di
riscontro e io scrissi una richiesta cautelare nei confronti di Lucio. Del
resto, Toraldo era da considerarsi morto così come Beneduce, il presunto
mandante del delitto, che era stato a sua volta ammazzato nella guerra tra
clan. Il gip non accolse la richiesta, ritenendo insufficiente il materiale
probatorio. Sollecitai, comunque, il rinvio a giudizio che il gup, il giudice
dell'udienza preliminare, non negò: alla fine, dunque, ci sarebbe stato il
processo davanti alla Corte di assise di Santa Maria Capua Vetere. Alla prima
udienza del processo, la famiglia Mascolo si era costituita parte civile. Una
piacevole sorpresa: in terra di camorra i familiari dei morti ammazzati non lo
fanno quasi mai. Sanno che i boss non lo gradiscono perché leggono questa
iniziativa come una simbolica adesione allo Stato e, quindi, una sfida alla
loro autorità. Inoltre, sono anche pochi gli avvocati che accettano questo tipo
di incarichi. Forse temono di perdere la numerosa clientela che viene dalle
file della camorra. Ciò che altrove è semplicemente un passaggio tecnico del
processo, infatti, in Campania diventa un atto di coraggio. Durante una pausa
dell’udienza, mi si era avvicinato Luigi Mascolo, accompagnato dal suo
avvocato. Non l’avevo mai incontrato prima, non ritenendolo necessario dato che
le sue dichiarazioni all’epoca dei fatti erano state molto esaurienti. Mi aveva
stretto la mano, ringraziando me e i carabinieri per aver riportato a galla un
episodio che ormai era rimasto un tarlo solo per la sua famiglia. Partivamo con
lo svantaggio di un gip che aveva ritenuto gli indizi insufficienti, e dunque non gli avevo nascosto che
l’esito del processo mi sembrava incerto. Inoltre, temevo per la tenuta della
teste.
Il giornalista Ferdinando Terlizzi, ( al centro Gaetano Cerrito, ideatore del Premio ) mentre consegna il premio Baia Domizia all'attore Saverio Vallone |
Dopo i riscontri dei carabinieri, l’avevo fatta ricontattare per
proporle di entrare nel programma di protezione come collaboratore di
giustizia, ma si era rifiutata. Ormai aveva un’altra vita e il suo compagno non
avrebbe mai accettato di lasciare il Napoletano, per vivere chissà dove,
guardandosi sempre le spalle. Luigi Mascolo, però, era ottimista: comunque
sarebbe andata, quel rinvio a giudizio lo ripagava di tante amarezze. Aveva
sognato mille volte il momento in cui lo Stato avrebbe ristabilito la verità e
restituito l’onore a un uomo che aveva avuto il solo torto di non cedere a un
sopruso. Il processo si svolse a ritmo serrato, con un calendario fitto di
udienze. Poi arrivò il giorno della testimonianza di Silvana, che tanto mi
preoccupava. Chiesi a Iatomasi di starle vicino per tutto il tempo: non sarebbe
stato facile per lei parlare in pubblico davanti agli ex amici del marito ed
era molto probabile che avesse ricevuto intimidazioni. Quando venne il suo
turno, non riusciva quasi a proferire parola e condiva le poche frasi di «non
ricordo». Ma confermò tutte le sue dichiarazioni. La sua testimonianza resse
anche al controesame della difesa. Nel corso del processo, decisero di
collaborare anche Augusto La Torre, il boss di Mondragone, e alcuni suoi
uomini. Pur non avendo avuto un ruolo diretto nella vicenda, non potevano non
sapere chi e perché aveva voluto un omicidio come quello, nella zona confinante
al loro territorio. Finita l’istruttoria, mi ero quindi dedicato a preparare la
requisitoria seguendo un sistema che sarebbe poi diventato il «mio» metodo:
ulteriori letture dei verbali, tanti appunti e una scaletta dettagliata.
Rileggendo il materiale per l’ennesima volta, facevo l’avvocato del diavolo
ponendomi domande su domande: solo una volta convinto al cento per cento avrei
potuto chiedere una condanna. Feci una requisitoria breve e concisa, riservando
però un ampio spazio introduttivo alla vittima, un uomo che aveva perso la vita
per un atto di coraggio e che meritava un tributo. Conclusi chiedendo per
Lucio, che non si era mai presentato alle udienze, una condanna a ventisei
anni. Al momento della sentenza ero nervoso. Ho sempre evitato le
personalizzazioni, ma quando un processo ti costa tanto lavoro e, soprattutto,
sei convinto delle tue argomentazioni, non puoi non fare il tifo perché finisca
in un certo modo. Non appena la Corte iniziò a leggere la sentenza, capii che
aveva condannato l’imputato. La pena fu di ventuno anni. Uscendo dal tribunale,
Luigi Mascolo mi disse che lo Stato e le istituzioni per fortuna ogni tanto non
deludono i cittadini. Gli strinsi la mano e me ne andai. Una volta che il mio
compito in un processo si esaurisce, è mia abitudine disinteressarmi di quanto
avviene dopo, e fu così anche quella volta. A distanza di qualche tempo, però,
l’avvocato di parte civile mi informò che la sentenza era stata convalidata in
appello. Anni dopo, sono venuto a sapere che anche la Corte di cassazione
l’aveva confermata.
Secondo pezzo
Il latitante
Luciano Izzo, catturato nell’
aeroporto di Parigi dove era andato a prendere moglie e figli.
Era stato condannato a 21 anni di carcere per
l’omicidio del farmacista Giuseppe Mascolo -
Izzo era fuggito dall’Italia la
polizia lo ha rintracciato pedinando la moglie e i due figli, che avevano acquistato un biglietto aereo per
Parigi.
Il Sindaco di Sessa Aurunca Dr. Tommasino con il giudice Raffaele Cantone in occasione della consegna delle Borse di Studio |
“Dalla parte della legalità, unico strumento che difende la gente comune, la sua libertà di vivere senza paura”, la scritta sulla targa donata dal sindaco Luigi Tommasino al magistrato Raffaele Cantone.
Nel 2008 il killer del farmacista Giuseppe
Mascolo che era stato condannato dalla Corte di Assise di Santa Maria Capua Vetere a 26 anni di
reclusione ed è stato arrestato dal
personale della Questura di Latina. Era latitante in quanto venuto a conoscenza
dal proprio difensore del provvedimento adottato Lucio Izzo, abbandonava
sulle strade della provincia di Savona il tir sul quale lavorava per conto di
una ditta del casertano ed aiutato da atri camionisti faceva perdere le proprie
tracce. Il personale della Squadra
Mobile della Questura di Latina e del Commissariato di P.S. di Formia, in
collaborazione con il Servizio Centrale Operativo della Polizia di Stato e con
il Servizio per la Cooperazione Internazionale di Polizia nonché con la Polizia
francese, a conclusione di serrate indagini, lo trassero in arresto, in esecuzione ad un ordine di
carcerazione emesso dalla Procura Generale di Napoli. Il pluripregiudicato Lucio
Izzo, è nato a Sessa Aurunca ma residente da anni a Formia. L’uomo doveva scontare, come detto, venti anni
per i reati di associazione per delinquere di stampo camorristico, estorsione e
l’omicidio - in concorso con altri - del farmacista Mascolo Giuseppe ,
trucidato sotto la propria abitazione a Baia Domizia, il 20.09.1988, in quanto
si era opposto al pagamento di una somma di denaro al sodalizio vincente
all’epoca sul litorale domitio. L’Izzo è un soggetto conosciuto dalle forze
dell’ordine sin dagli anni 90, quale affiliato al clan “Beneduce”
capeggiato dai fratelli Alberto e Benito di Baia Domizia. Le immediate
indagini attivate dal personale del Commissariato di P.S. di Formia, insieme alla della Squadra Mobile della
Questura di Latina, nell’ambito del procedimento penale della D.D.A. di Napoli,
permettevano di individuare l’Izzo, in Francia e, precisamente, nella città di
Nizza. Nel prosieguo delle indagini il personale operante veniva a conoscenza
che il predetto doveva essere raggiunto dalla famiglia. Pertanto il Questore di
Latina predisponeva servizi di appostamento e pedinamento. La moglie di Izzo assieme ai figli si imbarcava dall’aeroporto
di Roma su aereo diretto a Parigi per raggiungere il proprio congiunto. In
proposito veniva subito interessato il Servizio Centrale Operativo della
Polizia di Stato ed il Servizio per la Cooperazione Internazionale di Polizia
che predisponeva con la Polizia francese un servizio di osservazione
all’aeroporto. All’arrivo della donna il personale che la pedinava segnalava alla
Polizia francese l’Izzo che veniva subito catturato e dopo le formalità di rito
veniva messo a disposizione di quelle autorità in attesa dell’estradizione in
Italia. La vicenda è chiusa ma la memoria del dottor Mascolo vivrà
per sempre anche in considerazione della collaborazione della civica amministrazione di
Sessa Aurunca che dopo aver coniato lo slogan “Dalla parte della legalità, unico strumento che difende la gente
comune, la sua libertà di vivere senza paura”, l’ha fatto incidere sulla targa donata dal
sindaco Luigi Tommasino al
magistrato Raffaele Cantone. L’occasione
è stata colta nel corso della conferenza
stampa per la presentazione delle borse di studio messe a disposizione da Luigi Mascolo, figlio di vittima di camorra,
che ha voluto devolvere l’indennità prevista dallo Stato, per giovani studenti
del territorio che avranno così la possibilità di vivere e studiare all’estero
per un programma di studio della durata di tre mesi.
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