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domenica 12 aprile 2015

Accadde a Maddaloni l’8 gennaio del 1949

 

 

Accadde a  Maddaloni  l’8 gennaio del 1949



UCCISE LA NIPOTE E FERI’ LA SORELLA
PER UN PORCILE IN CONDOMINIO

Giovanni  Pascale,   sparò alla nipote,  Luigia Iannotta e ferì la sorella che avevano aggredito la moglie. 




IL FATTO

Siamo nel 1949, a quattro anni dalla fine della seconda guerra mondiale, un chilo di pasta costa 150 lire (un centesimo e mezzo di euro di oggi); un chilo di pane, 100 lire;  un chilo di carne, 900 lire ( mezzo euro di oggi); due uova, 60 lire, un litro di vino 105 lire; un paia di scarpe 5.000 lire, un giornale 15 lire. Si vive nella miseria e nella  carestia, intanto a Maddaloni scoppia l’ennesima tragedia. Tra Giovanni Pascale, di anni 42 da Maddaloni, arrestato  l’8 gennaio del 1949, e accusato di omicidio volontario aggravato in danno della nipote Luigia Iannotta e di tentato omicidio della sorella Maria, non correvano buoni rapporti, per motivi di interesse e particolarmente per il godimento di un porcile facente parte dell’eredità materna. Frequenti, pertanto, erano i litigi tra i componenti delle rispettive famiglie -  che vivendo in continuo contatto -  nello stesso cortile comune – non difettavano di occasioni per azzuffarsi. Il giorno 8 gennaio del 1949, mentre Carmela Catapano - moglie del Pascale, saliva le scale della propria abitazione – in Maddaloni, invitò, ancora una volta, la cognata Maria Pascale a sgombrare il porcile che assumeva essere di esclusiva proprietà del marito. L’altra rispose che non l’avrebbe sgombrato neppure con l’intervento delle Forze dell’Ordine perché comune a tutti gli eredi. Nella discussione a distanza – che diventava sempre più accesa – intervenne la giovane Luigia Iannotta, figlia di Maria Pascale e consigliò la madre di smettere ed entrare in casa per pranzare. Il suo intervento fu male interpretato dalla Catapano che le rivolse gravi ingiurie. L’altra reagì, la raggiunse sulle scale e vennero alle mani nella mischia si lanciò Maria Pascale. In quel momento Giovanni Pascale – che si trovava nella sua abitazione – intento a pulirsi  le scarpe – si armò di pistola ed a breve distanza tirò un colpo contro la sorella Maria. La prima, la giovane nipote Luigia Iannotta,   raggiunta  in parti vitali dal colpo,  decedette immediatamente, mentre la seconda, la sorella Maria,  pure gravemente ferita, con pericolo  di vita, riuscì a guarire dopo 60 giorni di malattia. Intanto l’omicida scese le scale  ed attraversato il cortile -  con la pistola in pugno – minacciò di sparare contro Vincenzo Palange, che fu  costretto a scappare e contro certa Angelina Tarquitto,  che si intromessa nella lite per fare da paciere. Intanto il Palange corso dai carabinieri i quali, recatisi immediatamente sul posto, trovarono l’assassino con la pistola  “fumante”  e lo trassero in arresto il quale consegnò l’arma del  duplice delitto. Interrogato confessò di aver sparato contro la sorella e la nipote allorchè vide entrambe che percuotevano la moglie e la tiravano per i capelli. I carabinieri – dopo le prime sommarie indagini oltre a denunziare in stato di arresto il Pascale – informarono il magistrato inquirente che la moglie dell’imputato aveva cercato di subornare alcuni testimoni oculari dell’azione delittuosa del marito. Indurre, insomma  nascostamente una persona, con offerta di denaro o di qualche altro vantaggio, a compiere un atto contrario al suo dovere:  un testimone perché dichiari il falso in sede giudiziaria. Nel corso delle indagini venne fuori che il Pascale,  non era nuovo a minacce e sparatorie.
Testimoni oculari…comprati per dire il falso


Si appurò, infatti, che  Angelina Iannotta, sorella della ragazza uccisa, in altra precedente occasione era stata fatta oggetto di colpi di arma da fuoco sempre da parte del fratello ma che i colpi erano andati per fortuna a vuoto. Si venne a sapere, infine, che Giuseppe Catapano, suocero dell’assassino, aveva indotto - mediante compenso – alcuni testi a deporre il falso nell’istruttoria  e si procedette, pertanto, contro Michele Fusco, Gennaro Santangelo, Amelia Finizio, Raffaele Finizio, per subornazione e falsa testimonianza. Furono tutti interrogati con mandato di comparizione davanti al magistrato e il Pascale a sua volta confermò le precedenti dichiarazioni precisando, però, che la moglie stessa stava per essere gettata dalla ringhiera nel cortile sottostante dalle avversarie. Narrò, poi, in un ulteriore e più circostanziato interrogatorio,  che addirittura una delle donne – non sapeva precisamente se la nipote o la sorella – aveva preso per le gambe la moglie e l’altra la teneva per la testa. Fu a questo punto – nella  tema – che stessero per scaraventare la moglie di sotto che egli fece fuoco contro la sorella e la nipote per ucciderle.
Ma un poco per la sagacia degli investigatori – un poco per la coscienza di qualche testimone subito si aprì una falla tra tutti i presunti fiancheggiatori dell’assassino. Il  Michele Fusco, per esempio, tra le lacrime, confessò di aver deposto il falso indottovi dal Santangelo e dal Catapano ciascuno dei quali l’aveva compensato con 500 lire (500 lire del 1949, rappresentano quasi duemila euro di oggi. Si pensi che un kilo di pane costava 120 lire; la pasta 170 lire al kilo; un litro di latte 70 lire; un litro di vino 195; un biglietto per il cinema 15 lire). Ma il primo pentito del processo non si fermò a quelle rivelazioni. Dichiarò in seguito che anche Catapano, i due fratelli Finizio e lo stesso Santangelo, avevano ricevuto danaro per deporre il falso e cioè la circostanza secondo la quale la moglie dell’assassino  stava per essere scaraventata al suolo. Gli altri testimoni, però, negarono recisamente di essere stato corrotti e subornati.
La perizia e l’autopsia

La perizia generica fatta redigere dal magistrato al perito settore accertò che Maria Pascale era stata raggiunta dal colpo di pistola alla regione sovraclavicolare  sinistra; che il proiettile era penetrato nella cavità toracica e si erqa fermato nel polmone destro, che nella caduta, per effetto del colpo ricevuto la donna si riportò frattura della spalla destra ed escoriazioni multiple al viso e agli arti e che guarì in sessanta giorni ma che stette in pericolo di vita.
L’autopsia sul cadavere della giovane Luigia Iannotta, accertò che la stessa era stata colpita alla regione deltoidea destra dal proiettile che,  procedendo dall’alto verso il basso, lese il lobo del polmone destro, il pericardio dell’aorta e si intasò nei tessuti sottocutanei del torace. La morte – diagnosticò il perito settore – fu quasi istantanea dovuta alla imponente emorragia interna causata dalla lesione all’aorta. 
Chiusa l’istruttoria formale l’imputato fu mandato al giudizio della Corte di Assise del Tribunale di S. Maria Capua Vetere, competente per territorio. Nella motivazione  della sezione istruttoria i giudici ragionarono sul fatto che, però, non vi fu motivi futili, nè premeditazione. Misero in luce la circostanza del teste Palange – minacciato e preso dallo spavento  - (questi infatti, si gettò dal muro del cortile sulla strada e riportò contusioni). Come pure la Tarquitto ( altra teste minacciata ) fu salvata dall’intervento della moglie del Pascale che gli fece cadere l’arma di mano. I suoi familiari si dettero da fare – scrivono i giudici  nella sentenza – per alleggerire la posizione  dell’imputato e si adoperarono per accaparrarsi testimoni falsi che dichiarassero circostanze per la concessione di attenuanti. Tutti i testimoni dovevano confermare che (ma non era affatto vero!)  che la moglie dell’assassino stava per essere gettata da sopra a sotto. Gennaro Santangelo e Giuseppe Catapano sono gli sfacciati subornatori raggiunti da prove manifeste. Il Fusco – dicono ancora i giudici – ebbe una crisi di coscienza  e svelò l’indegno trucco nel corridoio  della Pretura dopo la deposizione. Gli altri ebbero mille lire dal Santangelo e 500 dal Catapano e si lagnarono di non aver avuto altro danaro dopo la deposizione così come era stato loro promesso.  Il pentito fu prosciolto. Gli altri condannati a pene minime. Il tutto per la tenuta di un porcile in 
condominio.




FU CONDANNATO A VENTI ANNI DI RECLUSIONE

IL PROCESSO

La Sezione Istruttoria, a chiusura della complessa indagine, chiese il rinvio a giudizio – su parere conforme della Procura della Repubblica – per: Giovanni Pascale, di anni 42; per omicidio aggravato e tentato omicidio: per  Gennaro Santangelo, di anni 62;  Amelia Finizio, di anni 20; Raffaele Finizio di anni, 20; e per Giuseppe Catapano. tutti accusati di falsa testimonianza. Il primo era detenuto mentre tutti gli altri comparivano innanzi alla Corte di Assise a piede libero. La contestazione parlava chiaro. Per avere – in Maddaloni – l’otto gennaio del 1949,  sul pianerottolo della sua abitazione cagionato con un colpo di pistola, sparato alla distanza di circa un metro, la morte di della nipote Luigia Iannotta. Inoltre di tentato omicidio aggravato per avere – nelle stesse circostanze  di tempo e di luogo – con un colpo di pistola – sparato alla distanza di circa un metro – al fine di uccidere tentato di cagionare la morte della sorella Maria Pascale alla quale per circostanze indipendenti dalla sua volontà con pericolo dci vita lesioni guarite in sessanta giorni.

 Deve rispondere inoltre – diceva l’ordine di cattura (come prima  si chiamava l’attuale ordinanza di custodia cautelare in carcere)  di gravi  intimidazioni  in danno di Angelina Tarquitto e Vincenzo Palange poiché con la pistola in pugno li minacciava  di morte.  Giovanni Pascale era accusato, inoltre, di tentate lesioni con arma per aver sparato contro Assunta Iannotta (fatto precedente accaduto il mese di agosto del 1948 ma denunciato e venuto alla luce in occasione dei delittuosi fatti di cui ci stiamo occupando) allo scopo di ferirla, ma, per fortuna, i suoi colpi andarono a vuoto. Allo stesso furono inoltre contestati i reati di porto abusivo  di armi, sparo in luogo pubblico e omessa denuncia di arma.  Gennaro Santangelo, di anni 62;  Amelia Finizio, di anni 20; Raffaele Finizio di anni, 20; e per Giuseppe Catapano, tutti accusati di  falsa testimonianza per avere Giuseppe Catapano, suocero dell’assassino  subornato gli altri a deporre  il falso davanti al magistrato e per avere falsamente dichiarato di essersi trovati presenti al delitto del Pascale e di avere, inoltre,  visto Luigia Iannotta e Maria Pascale di tentare di gettare dalla ringhiera della scale Carmela Catapano.


 La Corte di Assise di Santa Maria Capua Vetere,  con sentenza del  26 maggio del 1951, condannava ad anni venti  ed interdizione perpetua ai pubblici uffici e quella legale per omicidio volontario in danno di Luigia Iannotta. La parte civile,   per Assunta Iannotta fu sostenuta  dagli avvocati  Silvio De Lucia  e Vittorio Verzillo. Per l’imputato il Prof. Alfredo De Marsico. In sede di appello, dopo la requisitoria del Procuratore Generale: “ L’imputato è pianamente confesso, per quanto si riferisce all’omicidio della nipote  Luigia Iannotta ed al tentativo omicida della sorella Maria. La causale è pacifica. Il delitto chiuse tutta una serie di litigi. Intemperanze delle donne linguacciute e irascibili complice il carattere insofferente ed impulsivo di Giovanni Pascale. La volontà omicida è indiscutibile lui ha ammesso: ”Ho sparato per uccidere”. Tipo di arma, brevissima distanza,  mira precisa, zona vitale parlano chiaro. Il P.M. chiese la conferma della sentenza di prime cure.  La Corte di Assise di Appello di Napoli  (Presidente Felice Di Lauro, a latere Mario Sabelli, pubblico ministero Filippo D’Errico), invece, in  parziale riforma della  sentenza della Corte di Assise di S. Maria C.V. condannò in via definitiva ad anni 16 di reclusione.
  


  

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