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domenica 14 giugno 2015



Accadde  sul Ponte Ferroviario tra Aversa e Casaluce il 6 aprile 1949


ASSASSINATO DAL FIGLIO DELL’ AMANTE

La vittima  coniugato, aveva vissuto vari anni “more uxorio”,  con la moglie di un infermiere del manicomio criminale  di Aversa  con la quale aveva procreato 5 figli.

 

 

Poi aveva abbandonato la donna,  passando a convivere con altra donna, più giovane della prima, durante la relazione però aveva sedotto e resa incinta una sorella di costei.


Il cadavere della  vittima lasciato sul selciato dell’Appia fu poi travolta da parte di un pesante automezzo subito dopo il delitto


La sera del 6 aprile del 1949,  verso le ore 21,35 i carabinieri di Casaluce venivano informati che sul piano asfaltato della via Appia – nel tratto Teverola-Aversa a circa 100 metri dal Ponte Ferroviario, giaceva il cadavere di un uomo. Accorsi sul posto constatavano che il cadavere, riconosciuto subito per quello di Salvatore Iuliano, di anni 49 nato a Teverola, domiciliato in Marano di Napoli e residente da qualche tempo ad Aversa ( per ragione del suo commercio di cavalli) giaceva  per terra, con la testa che presentava ferite di punta e taglio anche al volto, con escoriazioni sul palmo della mano destra ed altre ferite da arma da fuoco alla regione cervicale destra  quasi all’incontro della clavicola con lo sterno. Vi erano, a poca distanza dal cadavere, tracce di colluttazione e ancora più lontano una chiazza di sangue. Difatti, la Squadra Giudiziaria dei Carabinieri di S. Maria C.V., al comando del Brig. Aniello Romanucci accertò – attraverso le deposizioni di Giuseppe Ebraino, Salvatore Pellegrino e Luigi Caputo, che il cadavere giaceva, in un primo tempo, proprio sul punto dove avevano notato la macchia di sangue e che inverosimilmente verso le 21,35 il corpo senza vita della vittima era stato travolto  da un autotreno - non identificato – proveniente  da Napoli nell’atto di sorpassare un altro veicolo. Sul passeggiatoio i carabinieri rinvennero il tamburo di una rivoltella ad estrattore di marca nazionale cal. 380 a 5 colpi,  che presentava la canna centrale leggermente contorta. In 3 dei 5 fori del tamburo notarono tracce di fumo da recente esplosione. Repertarono altresì, un orologio con la cassa schiacciata e le sfere ferme alle ore 21, e 25; un portafogli contenente documenti vari e soldi, l’uno e l’altro appartenenti alla vittima.
Compiute le relative indagini i carabinieri con loro rapporto  riferivano agli inquirenti che lo Iuliano coniugato con Patrizia De Felice, aveva vissuto vari anni “more uxorio”,  con Gelsomina Zaccarriello, (moglie di un infermiere del manicomio criminale  di Aversa tale Vincenzo Stabile),  con la quale aveva procreato 5 figli. Da circa 4 anni aveva abbandonato la Zaccariello,  passando a convivere in Casaluce con tale Nicolina Tozzi, più giovane della Zaccariello, con la quale Tozzi ancora conviveva pur avendo – durante tale relazione – sedotto e resa incinta una sorella di costei a nome Maddalena.  Tuttavia aveva continuato a dare denaro alla Zaccariello provvedendo così ai bisogni della stessa e dei cinque figli nati dalla relazione adulterina – ma tra la fine del 1947 ed i primi del 1948, per sopravvenuti  dissesti finanziari non era stato più puntuale nei suoi impegni la qual  cosa aveva dato occasione a litigi sempre più frequenti.
L’assassino si era trasferito nell’Italia del Nord in cerca di lavoro.  


Negli ultimi 5 mesi aveva sospeso qualsiasi corresponsione di denaro. Dopo qualche anno – dall’inizio della relazione predetta la Zaccariello aveva incitato il figlio 17enne Umberto, nato dal suo matrimonio con Vincenzo Stabile ad abbandonare la casa paterna ed a vivere con lei e l’Umberto, aderendo all’invito  - in  considerazione  delle condizioni economiche  dell’amante della madre che in quell’epoca erano floride – aveva accettato lasciando così il padre  e gli altri fratelli.  Quando poi le condizioni economiche dello Iuliano mutarono Umberto Stabile si era trasferito nell’Italia del Nord in cerca di lavoro,  ma dopo circa un anno e mezzo,  era stato costretto a fare ritorno a Teverola, presso la madre tentando inutilmente di trovare  una occupazione. Aveva inoltrato anche domanda di arruolamento nell’arma dei carabinieri ma la domanda era stata respinta a causa della condotta della madre. Dopo il risultato di tale domanda lo Stabile aveva cominciato a riflettere sugli errori della madre e su quello da loro commesso abbandonando -  per il miraggio di una vita più comoda - il padre e gli altri fratelli. Censurato alle armi per il sevizio di leva era ritornato  in Teverola circa un anno prima. Sempre senza lavoro aveva cominciato a litigare con la madre alla quale faceva risalire la causa di tale sua situazione. Il suo risentimento era esteso – naturalmente – allo Iuliano col quale tuttavia aveva continuato a mantenere rapporti  apparentemente normali. Nel dicembre del 1948 si era presentato ai carabinieri di Aversa denunciando che ignoti ladri gli avevano sottratto una bicicletta, da lui momentaneamente lasciata incustodita nell’interno di un portone - bicicletta appartenente all’amante della madre – dal quale l’aveva ricevuta in prestito la sera precedente. I carabinieri non avevano creduto al furto ed avevano tratto in arresto lo Stabile per simulazione di reato. Lo Stabile – a sua volta – aveva creduto che il suo arresto fosse stato determinato dall’intervento dello Iuliano ed anche questo  aveva contribuito a troncare i suoi rapporti con l’ex amante della madre. Un mese prima del delitto, lo Stabile si era presentato  ai carabinieri di Aversa richiedendo di diffidare lo Iuliano a corrispondere all’ex amante la somma di lire centomila vivendo la stessa nella più squallida miseria e facendo presente che lo Iuliano se non avesse ottemperato alla richiesta egli sarebbe stato capace di ucciderlo. Lo Iuliano, dal canto suo, aveva fatto presente che già aveva dato abbastanza quando aveva abbandonato la Zaccariello – le aveva dato centomila lire, una  vacca lattifera e continuando a corrispondergli 10 mila lire al mese e che le condizioni economiche del momento non gli consentivano  di aderire alla richiesta e che comunque avrebbe fatto il possibile per non privare degli alimenti i figli adulterini. Avvertito delle minacce dello Stabile aveva risposto che questi avrebbe trovato pane per i suoi denti. I carabinieri accertarono, altresì, che nel dicembre del 1948 lo Stabile – dopo che era stato dimesso dal carcere – ove era stato associato per simulazione di reato – aveva acquistato dall’armiere Luigi Perletti di Aversa,  una pistola avancarica cal. 16 pistola che  aveva poi rivenduto allo stesso armiere il 10 marzo del 1949. Due giorni prima del delitto – si era ripresentato dallo stesso armiere per l’acquisto di una pistola chiedendo, però, che la vendita non venisse segnata nei prescritti registri. L’armiere non aveva accettato la condizione e pertanto la cessione dell’arma non avvenne. Lo Stabile si era dovuto rivolgere ad altri riuscendo nell’intento, perché un suo fratello uterino, di nove anni, a nome Salvatore,  il 7 aprile aveva dichiarato che tre giorni prima aveva visto nelle mani di Nicola una pistola nichellata.

La preparazione del disegno criminoso!

Risultò, inoltre ai carabinieri, attraverso le dichiarazioni della Gelsomina Zaccariello, che lo Stabile il 5 aprile era andato dal padre ad Aversa per chiedergli del denaro, ricevendo, però, un netto rifiuto. E che nello stesso giorno aveva parlato a lungo con Umberto Iuliano (figlio dell’ucciso) dal quale la Zaccariello aveva detto di avere appreso la notizia che lo stesso si era recato ad Aversa presso il padre perché gli doveva consegnare un lettino da far recapitare alla sua fidanzata Carmela Montanino, da Castel Cisterna (Napoli),  ma poiché la vittima si trovava a Nola per una fiera,  il ragazzo era ritornato a Teverola. Verso le 18,30 di quello stesso giorno il padre ritornato ad Aversa, lo aveva informato di aver incontrato lo Stabile il quale il quale gli aveva detto di fermarsi a Teverola nel suo viaggio di ritorno  a Casaluce – (lo Iuliano conviveva in Casaluce con la nuova amante  Nicolina Tozzi) perché doveva consegnargli una lettera. Al ritorno da Casaluce - verso le 19,30 raccontò ancora il giovane -  aveva incontrato lo Stabile il quale gli aveva chiesto se il padre (la vittima) fosse presso la Tozzi, e se fosse ritornato a Casaluce con la bicicletta o con il treno. Infine, precisò, che lo Stabile (l’assassino) appariva agitato ed in orgasmo e che si era rifiutato di consegnargli una lettera adducendo che avrebbe voluto consegnarla personalmente. Egli era rimasto ad Aversa – per custodire gli animali, mentre il padre – in bicicletta – era partito per Casaluce.  E’  la  fase della preparazione del disegno criminoso! Gli inquirenti attribuiscono molta importanza a questi attimi per definire una eventuale premeditazione del delitto. I carabinieri, dopo gli ultimi sviluppi denunciarono lo Stabile quale autore dell’omicidio. Undici giorni dopo il delitto lo Stabile si costituì nelle carceri  giudiziarie di S. Maria Capua Vetere esibendo una rivoltella priva di tamburo e con l’arco posteriore del grilletto ammaccato. Interrogato dal magistrato di turno dichiarò che quattro o cinque giorni prima del delitto aveva chiesto all’ex amante di sua madre di trovargli un posto  di lavoro come autista. Lo stesso gli aveva  promesso di interessarsi e di ripassare da lui dopo alcuni giorni.
Il racconto dell’assassino
Si era recato a Aversa ma aveva appreso da figlio Umberto  che il padre si recato al mercato di Nola e sarebbe ritornato dopo mezzogiorno. Poi aveva  incontrato Salvatore Iuliano, il quale gli aveva detto di segnare su un foglio di carta le sue generalità,  l’indirizzo e il grado della patente di guida. Di chiudere il tutto in una busta perché egli l’avrebbe consegnata alla persona alla quale l’aveva raccomandato. Verso le 18,00 era ritornato a Teverola,  aveva atteso per un poco e poi si era avviato verso Casaluce per consegnare la lettera all’amante dello Iuliano.  Si era poi – dopo la vana attesa – riportato ad Aversa. Poco prima del cavalcavia ferroviario aveva incontrato lo Iuliano in bicicletta il quale ad un fischio si era fermato. Salvatore Iuliano, però, lo aveva apostrofato: “Questo cornuto sta ancora dinanzi ai miei piedi”, tirandogli, nel contempo,  un calcio alla gamba destra (a conferma di tale ultimissime affermazioni – mostrava al magistrato che lo stava interrogando – una  crosticina ematica disseccata alla faccia anteriore della gamba destra). Tirato il calcio lo Iuliano aveva abbandonato la bicicletta e gli si era lanciato addosso dandogli pugni e ceffoni. Egli gli aveva risposto che nel pomeriggio lo aveva accolto ben diversamente ma lo Iuliano aveva estratto una pistola ed aveva esploso contro di lui un colpo andato a vuoto. Egli, allora, aveva afferrato il polso dello Iuliano, ed era riuscito a disarmarlo ma lo Iuliano con una mano gli aveva afferrato i testicoli stringendoglieli forte e con l’altra mano la  sciarpa  che portava al collo.  Intuendo che sarebbe stato ucciso se avesse perduto il possesso dell’arma, aveva sparato un colpo e poiché l’altro continuava a stringergli forte i testicoli aveva sparato tutti i colpi di cui era munita l’arma. Cio nonostante lo Iuliano aveva continuato a tenerlo avvinto ed allora egli per liberarsi – lo aveva percosso alla testa con l’arma che aveva impugnato per la canna. Lo Iuliano, finalmente,  era caduto a terra esclamando : “Madonna, madonna”. Egli allora si era impossessato della bicicletta ed era fuggito.
Gli inquirenti avevano avuto subito delle perplessità sul fantasioso racconto dell’assassino e tuttavia, fu accertato però, che il tamburo dell’arma era saltato nel momento  in cui usava la pistola per colpire alla testa il suo avversario.  Nel corso dei lunghi interrogatori ammetteva che lo Iuliano era stato amante della madre dichiarando che con lo stesso era stato sempre in buoni  rapporti ammetteva, infine, di aver comprato nel dicembre del  1948 una pistola a 2 canne presso l’armiere Luigi Perletti, in Aversa.



Fu condannato a 18 anni di carcere. La pubblica accusa aveva chiesto l’ergastolo. L’imputato aveva chiesto la legittima difesa. In appello la condanna scesa a 14 anni.

Umberto Stabile venne rinviato a giudizio per omicidio  aggravato dalla crudeltà e dalla premeditazione, nei confronti di Salvatore Iuliano,   e giudicato dalla Corte di Assise di S. Maria C.V. (Presidente Pietro Giordano, giudice a latere Victor Ugo De Donato, giudici popolari: Luciano De Gennaro, Vincenzo Cogliandro, Pasquale Auriemma, Giuseppe De Rosa, Giovanni Perretta,  e Giuseppe Della Rosa; Pubblico Ministero Pasquale Allegretti, cancelliere Domenico Aniello e ufficiale giudiziario Giuseppe Girardi e con la concessione delle attenuanti generiche e quelle per aver agito in stato d’ira (determinato da fatto ingiusto altrui)  fu condannato a 18 anni di carcere. Il pubblico ministero d’udienza però aveva chiesto per l’imputato la pena massima dell’ergastolo.  La Corte, invece, alla pena dell’ergastolo sostituiva, con la concessione delle circostanze generiche,  la pena di anni 22 di reclusione e questa pena veniva poi diminuita di altri 4 anni per l’attenuante della provocazione. Vi fu anche la condanna al risarcimento della parte civile con la cifra di un milione di lire. Come sempre accade della  sentenza non fu soddisfatto nessuno. Produssero appello, infatti, sia il condannato e sia il procuratore generale adducendo  il primo che “la Corte avrebbe dovuto assolverlo per avere egli agito in stato di legittima difesa ed in subordine avrebbe dovuto dichiararlo  colpevole di omicidio colposo per avere ecceduto per colpa i limiti imposti dalla necessità e sempre più subordinatamente avrebbe dovuto escludere  le aggravanti della premeditazione e della crudeltà e riconoscere il motivo di particolare valore morale e sociale e partendo dal minimo della pena ed applicare nel massimo le riduzioni conseguenti alle attenuanti.

Il Procuratore Generale, dal canto suo, dopo aver insistito per una condanna all’ergastolo, aveva argomentato che “la Corte aveva errato nel riconoscere la esistenza della provocazione perché era partita dalla premessa che l’ucciso era colpevole di grossi torti verso la madre dell’ imputato per averla abbandonata, dopo averne distrutto l’esistenza con la seduzione esercitata anni addietro fino ad indurla ad abbandonare il tetto coniugale, sottraendosi al dovere di alimentare i figli nati dalla lunga relazione adulterina e che lo Stabile uccidendo lo Iuliano aveva agito in rivendicazione non soltanto dell’interesse materno ma anche nell’interesse proprio, perché lo Iuliano col suo comportamento aveva pregiudicato la sua ascesa sociale non elidendo fattivamente le conseguenze collaterali sul suo operato sospendendo  anzi quei sussidi economici alla sua ex  amante che gli avrebbe forse consentito di attendere, con più fiducia e senza precipitazione alla ricerca di una sistemazione”.
Tali premesse – secondo la pubblica accusa – dovevano ritenersi errate perché “non era vero che Gelsomina Zaccariello avesse abbandonato il tetto coniugale – perché spintava dallo Iuliano – ma perché ne era stata scacciata dal marito – che aveva scoperto la tresca col suo amante. Non vi era alcuna norma – concluse la pubblica accusa – né morale né giuridica che obbligasse l’amante a continuare ad alimentare i figli legittimi della propria amante. In ogni caso pure dopo l’abbandono della Zaccariello lui aveva continuato  a corrispondere alla stessa mensilmente somme di denaro e se negli ultimi tempi – avesse sospeso tali elargizioni  - era dovuto alle mutate condizioni economiche.
La Corte di Assise di Appello di Napoli (Presidente Giulio La Marca, giudice a latere, Antonio Grieco, procuratore generale Tito Manlio Bellini), con sentenza del 19 giugno 1952, giudicando in  grado di appello ed in parziale riforma della  sentenza della Corte di Assise di Santa Maria Capua Vetere, del 21 novembre del 1951, condannava ad anni 14 e mesi sei di reclusione Nicola Stabile, accusato di omicidio aggravato premedito in danno di Salvatore Iuliano. La Corte, disattendendo la richiesta della pubblica accusa (anni 22 di reclusione) ma accogliendo la esclusione delle attenuanti della provocazione e la legittima difesa, chiesta dagli avvocati Enrico Endrik, e Pasquale De Gennaro,  rigettava, inoltre le richieste delle attenuanti dello eccesso colposo, della premeditazione, della crudeltà, dei particolari motivi di valore morale,  riduceva la pena ad anni 14. La motivazione fu che “l’imputato venne a trovarsi in una situazione  psicologica  il quale aveva perduto anche la speranza di poter ricevere il perdono paterno – tante volte invocato –questo elemento  toglie anche al reato – quella  gravità naturalmente insita nel fatto  di chi deliberatamente sopprime una vita umana”.
Fonte: Archivio di Stato di Caserta

  






    

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