RIGETTA LE ACCUSE CON SCUSE
PUERILI QUELLA FACCIA DA MARIUOLO
DI LORENZO DINA
Non ha provato a fornire spiegazioni alternative, non ha raccontato versioni contrarie a quelle della Procura. Anzi. Ha sfoderato una buona dose di umanità e ha raccontato come sono andate le cose a proposito di un certificato falso che avrebbe dovuto attestare un’esperienza manageriale del figlio, in realtà mai avvenuta.
Eccolo Lorenzo Diana, l’ex senatore per anni componente della commissione parlamentare antimafia, uno dei paladini della legalità del territorio, a tu per tu con il gip e i pm di Napoli. Da otto giorni è alle prese con un divieto di dimora in Campania, è accusato di un abuso d’ufficio per aver provato a confezionare un attestato falso, attraverso una sorta di partita di giro. La storia è nota ed è soltanto un capitolo parallelo delle indagini sulla Cpl Concordia, che vedono Diana indagato di concorso esterno in associazione camorristica per aver favorito i casalesi nel progetto di metanizzazione di sette comuni del concorzio 30, nel cuore del Casertano.
Stando alle indagini napoletane, Diana non avrebbe esitato a promettere al professionista Manolo Iengo una collaborazione nel Caan (di cui Diana è stato referente indiscusso negli ultimi anni), in cambio di un attestato prodotto da una squadra di calcio di Frattamaggiore. Difeso dal penalista napoletano Francesco Picca e dall’avvocato Fausto Maria Amato, legale di Sos Impresa, (l’associazione Confesercenti nata per difendere la libera iniziativa imprenditoriale e per opporsi al racket e alla criminalità organizzata), Diana ha compiuto alcune ammissioni: «Ammetto che la certificazione rilasciata dalla Frattese era falsa, perché mio figlio non ha mai svolto alcuna attività di collaborazione».
Rammaricato, ha provato poi a chiarire quali sono state le motivazioni che lo hanno spinto a tradire un principio di legalità e di rispetto delle regole, dopo una carriera spesa a denunciare il crimine organizzato (tanto da finire sotto scorta di fronte a minacce dei clan casalesi). Ed è forse questo il punto più difficile dell’interrogatorio, quando sia il gip Federica Colucci, sia i pm Catello Maresca e Cesare Sirignano gli ricordano il suo ruolo di componente della Commissione antimafia: «Ho dato corso a una richiesta di mio figlio - ha chiarito - anche se intendo sottolineare che non c’è alcun collegamento tra questa vicenda e l’affidamento dell’incarico a Iengo. Conoscevo Iengo dal 2005, poi l’ho rivisto quando era nello staff del vicesindaco Tommaso Sodano, a luglio del 2014 poi l’ho tenuto in considerazione per l’affidamento di incarichi giudiziali».
Insomma, stando a quanto sostenuto da Diana, l’ex parlamentare non avrebbe messo il suo ufficio al servizio di interessi personali e non avrebbe speso il proprio ruolo di presidente del Caan per andare all’incasso e ottenere benefici per i propri stretti congiunti. Una vicenda su cui è stato ascoltato - in qualità di persona informata dei fatti - anche l’imprenditore Francesco Celentano, amministratore della «Asd Nerostellati Frattese». Ascoltato lo scorso sei luglio, Celentano ha confermato alcuni punti centrali dell’accusa, ha poi ricordato di aver incontrato Diana, anche in vista di definire possibili iniziative imprenditoriali con il Caan: accordi di lavoro - chiarisce il manager della Frattese - che non si sono mai definiti in modo compiuto».
Ora la parola passa al gip, mentre su un altro versante vanno avanti gli accertamenti su Diana, in relazione all’accusa di legami con la camorra casalese. È il punto delle indagini sul consorzio bacino 30, in una ricostruzione che risale a una decina di anni fa, quando prese forza il progetto di metanizzazione del Casertano. Contro Diana, anche le accuse del pentito Antonio Iovine, in uno scenario che fa leva sulla presunta triangolazione tra politica, imprenditori in odore di camorra e clan casalesi.
FONTE: IL MATTINO ON LINE
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