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domenica 9 agosto 2015







L’OMICIDIO  DAL NOTAIO PER LA GESTIONE DELL’ESATTORIA COMUNALE DI PARETE

Scoppiò una rissa tra i gestori vecchi e quelli che dovevano subentrare. Nel cortile del notaio Dell’Aversano si sparò.  Rimase ucciso Raffaele Pezone per mano di Gennaro Balivo.  Furono feriti Gaetano Orabona,  Biagio, Michele e Antonio Pezone.




Accadde il 3 aprile del 1949 in Parete





Parete – Verso le ore 12 del 3 arile del 1949, il maresciallo dei  carabinieri comandate la stazione di Parete Eugenio Iannone,   nel percorrere una strada cittadine udì delle grida provenienti  da via Magenta. Portatosi nei pressi notò che tale Gaetano Orabona, si comprimeva con un fazzoletto alcune ferite al viso; nello stesso tempo il maresciallo notava  che  i fratelli Biagio e Michele Pezone, scappavano dall’altro lato della strada. Non sfuggì al valoroso sottoufficiale che i due fuggiaschi potevano essere i feritori dell’ Orabona e si lanciò al loro inseguimento,  ma questi si dispersero nei dedali dei vicoli che affluivano in via Magenta. Ritornato sui propri passi il comandante constatò che alla via Magenta, altezza del civico n°7, - dove nel frattempo si era adunata una gran folla di persone – era disteso a terra il cadavere di Raffaele Pezone che presentava una ferita di arma da fuoco (presumibilmente i pistola) con foro di entrata alla linea ascellare posteriore sinistra ed alcune escoriazioni all’indice e al medio della mano destra. Dalle indagini immediatamente esperite risultò che  quella mattina erano convenuti nello studio del notaio Silvestro Dell’Aversano (alla via Magenta n° 7), Domenico Pezone, gestore di fatto dell’Esattoria Comunale di Parete e Assunta Balivo, Vedova Orabona,  titolare e prestanome della Esattoria in virtù di una convenzione interceduta in passato fra i rispettivi danti causa. Al Pezone si erano accompagnati i figliuoli Antonio, Biagio, Raffaele, Ottavio e Michele; mentre con la Balivo vi erano i figli Gaetano, Alfonso e Domenico Orabona, nonché il fidanzato dell’altra figliuola Ernesto Balivo. Vi era anche presente il segretario comunale Giuseppe Igeo e tale Francesco Falco, intervenuti come amichevoli intermediari.
La clausola vessatoria che provocò il delitto

Quella seduta era l’ultima di una serie di incontri infruttuosi allo scopo di regolare mediante una speciale convenzione i loro reciproci rapporti ed eliminare alcune divergenze che erano derivate. Quando l’accordo sembrava ormai raggiunto e il notaio si era già accinto alla chiusura dell’atto,  Ottavio Pezone chiese di inserire sul  registro altra clausola in forza della quale la Balivo avrebbe dovuto cedere  il diritto di esercizio che le competeva solo formalmente nel caso che taluno dei figli del Domenico Pezone avesse conseguito l’abilitazione alla gestione esattoriale. Interveniva a sua volta Ernesto Balivo, il quale,  nell’interesse della futura suocera – passava come condizione per l’accettazione della clausola -  che si inserisse nell’atto il corrispettivo obbligo  del Pezone di corrispondere alla cedente una congrua indennità di buonuscita. Perdurando il contrasto e risentito Domenico Pezone perché la proposta del Balivo – estraneo del tutto a quell’affare – lo apostrofò con queste parole: “L’esattoria è mia e non tua, a te tuo padre ha lasciato il ‘bancariello’ da calzolaio”. Al che l’altro  di rimando: “Mio padre era calzolaio ma uomo onesto”.  Quasi a significargli che tale non fosse il suo avversario. A questo punto i due gruppi si azzuffarono sotto gli occhi esterrefatti del notaio. Domenico Pezone e Izzo si allontanarono rapidamente mentre il Falco si adoperava a dividere i contendenti nel frangente il notaio e la Assunta Balivo si traevano in disparte. Domenico Orabona, investito dalla violenza del gruppo avversario finiva in altra camera dell’appartamento del notaio evi si rinserrava e dal balcone prospiciente alla strada lanciava grida di allarme richiamando l’attenzione dei passanti. All’interno, intanto, la mischia nella quale riportavano lesioni quattro dei litiganti si era rivolta con la forza sugli Orabona e di Biagio, Michele e Antonio Pezone.
Il delitto nel cortile del notaio e il racconto dell’assassino



Fu in questo momento che intervenne  il maresciallo dei carabinieri attratto dal clamore che si diffondeva da via  Magenta e mentre si dava all’inseguimento dei fratelli Biagio e Michele Pezone, nell’interno del cortile dell’edificio si introduceva Gennaro Balivo, fratello dell’Ernesto che esplodeva contro Raffaele Pezone due colpi di pistola attingendolo al 5° spazio intercostale. Il ferito riuscì a varcare il portone e portarsi in strada ma qui si abbatte esamine. L’omicida, affrontato da Francesco  Falco, dopo breve colluttazione si liberò, minacciandolo  con l’arma impugnata (come si dice  in questi casi, con la pistola fumante) e fuggì attraverso il giardino, dileguandosi nelle campagne circostanti. Si costituiva la sera del 5 successivo nella caserma dei carabinieri di Carditello. Fu prelevato, poco dopo, dai carabinieri di Parete prontamente avvertiti. Egli rendeva il primo interrogatorio,  il giorno 6, assumendo di essere occorso dal cortile della sua abitazione sita nella stessa via Magenta, alle grida dalla strada. Incontrò prima Gaetano Orabona,  già malconcio, poi vide suo fratello Ernesto uscire dal portone del notaio col viso insanguinato. Allora entrò in quel cortile per rendersi  conto dell’ acccaduto dei fratelli Ottavio e Raffaele Pezone. Quest’ultimo, ad un certo momento, fece l’atto estrarre un’arma  dalla tasca posteriore dei pantaloni – per cui ritenendosi in pericolo egli, più svelto, cavò dalla tasca del panciotto la pistola e fece fuoco contro l’avversario. Mentre cercava di guadagnare il largo attraverso il giardino del Notaio, fu affrontato dal Falco che, dopo buona colluttazione, lo lasciò libero di fuggire. I carabinieri interrogarono anche il notaio e tutti coloro i quali erano intervenuti nel suo studio. Di costoro fornirono ragguagli dell’episodio finale soltanto Falco, Ottavio Pezone, gli Orabona  e Ernesto Balivo, essendosi  gli altri allontanati dal cortile prima ancora che il Balivo vi accedesse.

Le contrastanti versione dei fatti attraverso i testimoni oculari


Gli Orabona e Ernesto Balivo dichiararono che esauritosi la rissa  nello studio del notaio, questa si riaccese nel cortile ad opera di Ottavio e Raffaele Pezone, di danni del Balivo stesso, in soccorso del quale, improvvisamente, intervenne il fratello Gennaro, che esplodeva contro gli aggressori due colpi di pistola. Dal canto suo Ottavio Pezone dichiarò che – scendendo per ultimo – assieme a Falco dallo studio del notaio udì delle grida nella strada e poco dopo l’esplosione di un primo colpo proveniente dal cortile. Raggiunse lo stesso e soprese Gennaro Balivo nell’atto di esplodere il secondo colpo – all’indirizzo del fratello Raffaele che, presso lo sportello del portone cercava scampo nella fuga. L’Ottavio temendo anche per sé – facendosi  scudo dei congiunti dell’aggressore – raggiunse lo studio allontanandosi. Francesco Falco, invece, sostenne di aver udito due esplosioni nel cortile mentre scendeva le scale, di essere occorso e di aver visto Gennaro Balivo nell’atto di sparare contro Raffaele Pezone che si trovava presso o sportello del portone. Egli, allora, agguantò il Balivo gridando: “ Non sparare…sei pazzo?…”, trattenendolo, senza successo,  per pochi istanti. L’altro, divincolandosi, riuscì a liberarsi della stretta e dopo averlo minacciato con la pistola in pugno ottenne che lo di lasciasse andare. I carabinieri denunciarono all’A.G., Gennaro Balivo per omicidio volontario; Ernesto Balivo e gli Orabona e i Pezone per partecipazione a rissa e lesioni reciproche. Iniziatosi l’azione penale contro costoro (con l’istruttoria formale) Gennaro Balivo, però, continuava  ad insistere nell’assunto prospettato ai carabinieri, di aver dovuto respingere – ricorrendo  alle armi  – l’aggressione dei fratelli Pezone in suo danno, riconfermando questa versione anche su contestazione delle dichiarazioni rese dal fratello e dagli Orabona che diminuivano l’azione da lui esplicitata in difesa del fratello esposto al pericolo. Ottavio Pezone, ad integrazione delle dichiarazioni già riferite aggiungeva che quando colse Gennaro Balivo nell’atto di sparare per la seconda volta contro Raffaele – a ridosso del portone presso lo portello con la mano sul lucchetto era Ernesto Balivo ( fratello dell’assassino) a sbarrare il passo alla vittima.  Siamo, sul caso in esame a Parete, in un paese cioè, in cui l’affronto riveste carattere di un’offesa a tutto il parentado; e se l’affronto valica i limiti  di una ingiuriosa manifestazione verbale e si concreta in atti di violenza che lasciano sul volto l’impronta della mano avversaria o fanno sgorgare qualche goccia di sangue, esso assurge a gravità eccezionale e reclama vendetta immediata ed esemplare ritenendosi soltanto questo il rinvio valido a cancellare l’offesa. Comportarsi con moderatezza, evitando inutili spargimento di sangue che rappresenta il senso di ulteriori vendette, può incontrare la riprovazione e il discredito del pubblico. Questo modo di sentire – se da un canto esprime la generale mutalità dell’ambiante – dall’altro esercita a sua volta, lo stimolo alle nozioni, che assumono un grado diverso a ricordo dei soggetti sui quali agisce. In un individuo timido e pacifico,  ovvero prudente ed equilibrato, l’effetto sarò moderato, in un soggetto facilmente  adirabile e propenso al litigio e alla trasmodanza, l’effetto avrà un’intensità di gran lunga maggiore e diverse saranno pure le conseguenze. A sorreggere le opposte versioni dei fatti furono indubbiamente testimoni da entrambe le parti. La perizia necroscopica accertò che l’unico colpo che raggiunse il Pezone era stato esploso dall’alto in basso, il quale perforò il lato inferiore del polmone al pericardio. I periti affermarono che il colpo era stato esploso  - oltre la prima curva balistica – presentando la vittima al suo offensore il dorso leggermente voltato sul fianco sinistro.   


Fonte: Archivio di Stato di Caserta




 Condanna ad anni 17 e mesi 10 (anni 3 di libertà vigilata a pena espiata). In appello ad anni 15.

Chiusa l’istruttoria,  l’imputato venne rinviato al giudizio per omicidio volontario. Nel dibattimento di primo grado, Gennaro Balivo ribadì la legittima difesa pur confutando le tesi del fratello e degli Orabona; chiarì che intervenne in difesa del fratello,  curvo sotto le bastonate dei fratelli Ottavio e Raffaele Pezone. La Corte di Assise di Santa Maria Capua Vetere, (presidente Paolo De Lise, giudice a latere, Victor Ugo De Donato, pubblico ministero, Nicola Damiano; giudici popolari: Giuseppe De Rosa, Giuseppe Iavarone, Giuseppe De Chiara, Riccardo Ricciardi, Gennaro Cervo, Pietro Squeglia, Lucio Argo), con sentenza dell’11 febbraio del 1952, condannò Gennaro Balivo, di  anni 40  da Parete (arrestato il 5 aprile del 1949) ritenuto responsabile di omicidio volontario in danno di Raffaele Pezone, nonché di minacce aggravate dall’uso dell’arma che impugnava, contro Raffaele Falco, ad anni 17 e mesi 10 (anni 3 di libertà vigilata a pena espiata). Assoluzione per lo stesso Balivo e per Domenico Orabona, e per Alfonso e Biagio Pezone, per mancanza di querela. La sentenza venne appellata dall’imputato che addusse che doveva ritenersi responsabile quantomeno di omicidio colposo ed in subordine per legittima difesa, omicidio preterintenzionale, l’attenuante della provocazione e assoluzione per le minacce. 




Con sentenza del 17 marzo 1956,  in parziale riforma della sentenza emessa dai  primi giudici,  la Corte di Assise di Appello di Napoli, Sez. II°, (Presidente Guido Pisani, giudice a latere Giuseppe Conti, pubblico ministero Federico Putaturo), condannava l’imputato ad anni 15 di reclusione. I giudici di secondo grado rifiutavano di accogliere il motivo dell’eccesso colposo  di legittima difesa, ( non vi erano i presupposti); ritennero inoltre non veritiera la versione dei fatti secondo la quale lui era intervenuto perché il fratello era stato colpito; non era  vera la mossa che la vittima aveva fatto per estrarre dalla tasca una pistola, e confessò la “verità” solo parzialmente. “Se le azioni umane sono governate dalla logica  e dal buon senso – scrissero i giudici nella loro motivazione – questi  si rifiutano di prestar fede ad un gesto così inconsulto”. Il Raffaele, che non aveva estratto l’arma per servirsene contro i numerosi avversari diretti, nel furore della mischia, avrebbe spiritualmente ideato di servirsene contro Gennaro Balivo col quale nulla aveva avuto da dire e che per giunta si presentava  nell’atrio con l’aspetto tranquillo  e mansueto  del pacificatore?  Pezone non ha aggredito Balivo e non ha potuto estrarre un’arma che non aveva. Occorre, poi, rilevare che, nella particolare ipotesi, la causale non può essere ristretta entro angusti confini di una formula fissa ed invariabile, ma bisogna necessariamente porla in diretto rapporto con la personalità dell’agente, con l’ambiante, con la mutualità dei soggetti, con la loro educazione e persino nell’appagamento pubblico.   “Appare, pertanto, priva di valore reale – conclusero i giudici – la tesi sostenuta dalla difesa e diretta a dimostrare la mancanza di proporzione della spinta causale di gravità del delitto”. 



Gravità e volontà omicida è l’esplosione del secondo colpo! Non ci fu fatto ingiusto. Il gesto criminale fu lo sforzo della sua ira che ebbe origine non  già da una ingiustizia patita,  dal risentimento di aver visto il fratello ferito. La Cassazione, il 23 ottobre del 1959, rigettò il ricorso proposto dal Balivo. Nei tre gradi di giudizio, nel processo Gennaro Balivo più otto, si impegnarono gli avvocati: Vincenzo e Giuseppe Fusco, Giovanni Leone, Giacomo Giuseppone, Ettore  e Massimo Botti, Alfredo De Marsico e Luciano Numeroso.

Fonte: Archivio di Stato di Caserta


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