L'arma del delitto fu comprata col sì dei Carabinieri,
la Difesa deve risarcire le vittime
UNA SENTENZA CHE POTREBBE SPIEGARE LA SUA INFLUENZA IN DUE
CLAMOROSI CASI DELLA NOSTRA PROVINCIA. IL DELITTO DEL FINANZIERE DI MONDRAGONE
CHE UCCISE LA FIDANZATA. LA STRAGE DELL’AGENTE
DI CUSTODIA CHE NEL 1995 UCCISE 7 PERSONE.
Vi sarebbero
responsabilità per il possesso delle armi. Sotto accusa la direzione del carcere di Carinola ove prestava servizio
il Cavasso e i vertici della Guardia di Finanza per il delitto passionale del
finanziere.
Santa Maria Capua Vetere ( di Ferdinando Terlizzi ) Il primo caso che
potrebbe avere deu risvolti civilistici è quello dell’agente penitenziario. Come
si ricorderà Il 15 marzo 1995, Domenico Cavasso,
agente di polizia penitenziaria, in servizio presso il carcere di Carinola
uccise sette persone con la sua pistola di ordinanza. Fu riconosciuto totale e
parziale infermo di mente e condannato a 15 anni di reclusione. Un’eredità
contesa fu all’origine del gesto. Iniziò la sua strage a Macerata Campania,
dove uccise sua cugina Luisa Piccerillo,
35 anni e il marito Mattia Trotta,
40. Poi sparò all’anziana zia, Antonia
Cavasso, 73 anni, e al suo convivente Giovanni
Merola, 71, che di fronte a tanto orrore si accasciò a terra ed e morì di infarto. Si salvarono per miracolo il padre
dell’omicida, Giovanni (a cui il figlio
mirò senza colpirlo), ed i quattro figli di Mattia e Luisa: Rossella, che all’epoca aveva 15 anni, Antonella, 13, Patrizia, 12, e da ultima la piccola Giovanna, di soli 4 anni, che, terrorizzata, assistette all’uccisione dei suoi genitori e si
salvò scappando da una vicina. In una seconda fase, però all’interno
della Conservatoria del Registro di Santa Maria Capua Vetere, ammazzò Anna Lombardi, 64 anni, Giuseppe Macchiarelli, 36, detto
Geppino, e Gianni Fusco, 36 anni. Domenico Cavasso, 37 anni, lavorava nel
carcere di massima sicurezza di Carinola. Era assistente capo, un agente
modello. Era però in cura presso uno psichiatrico di Santa Maria e portava la
sua pistola d’ordinanza. Nessuno gli vietò l’arma nonostante avesse problemi
psichici. L’agente è libero avendo scontato la pena.
Il secondo caso è quello del
finanziere di Mondragone che uccise la fidanzata. Era il 2006 quando Veronica
Abbate, una 19enne dagli occhi verde acqua, venne uccisa. L’omicida era l’allora
22enne Mario Beatrice, un allievo
della Guardia di Finanza: il primo amore di Veronica. Sette mesi prima il
giovane aveva chiuso per l'ennesima volta la relazione con la 19enne, e per l’ennesima
volta aveva poi preteso quando e come riaverla con sé. Solo che Veronica si era
stancata di quell’agonizzante tira e molla e aveva iniziato a uscire con un
altro ragazzo. L’ex fidanzato non accettò il rifiuto: le chiese di vedersi per
parlarne e quando lei scese dall’automobile le sparò un colpo alla nuca con la
pistola d’ordinanza. Era il 3 settembre,
di domenica. Veronica stava studiando per prepararsi ai test di ammissione alla
Facoltà di Medicina. Il finanziere è detenuto nel carcere di Bollate.
Ed ecco la sentenza che potrebbe
segnare una svolta ai due clamorosi casi. Ucciso dal vicino di casa nel 2002 dopo una
lite per il volume della tv. Le denunce sulle minacce del killer mai trasmesse
alla questura che acconsentì all’acquisto della pistola. Il giudice: “Comportamento
colposo dei carabinieri”. Uccise il vicino di casa “perché teneva troppo alto
il volume della tv”, e nel dicembre di 14 anni fa lo fece con una pistola
calibro 7.65 acquistata qualche mese prima con il “nulla osta” della Questura
di Milano, ma ora il Tribunale civile di Milano condanna il Ministero della
Difesa (in solido con l’assassino) a risarcire quasi 2 milioni di euro alla
vedova e ai figli per le omissioni colpose dei carabinieri della caserma di Pioltello
proprio attorno a quel “nulla osta”: rilasciato regolarmente nel giugno 2002 da
una Questura resa però cieca dal fatto che i carabinieri di Pioltello non le
avessero trasmesso le due denunce di minacce di morte che la famiglia della
futura vittima aveva già presentato in caserma in marzo e maggio. Nel
ragionamento della sentenza della giudice civile Annamaria Salerno si crea così una catena causale che dalla
condotta dolosa dell’assassino (l'omicidio commesso con la pistola) risale
all'acquisto dell'arma, legittimo in sé in forza del “nulla osta” della
Questura, ma propiziato dall'omessa trasmissione delle denunce e cioè dai “comportamenti
colposi dei carabinieri che hanno indotto la Questura a rilasciare
l'autorizzazione”.
E “il mancato riscontro di
elementi ostativi ha avuto incidenza causale diretta e immediata rispetto al
compimento dell’omicidio”, perché il processo ebbe già modo di ricostruire come
il delitto fosse stato determinato da "modalità impetuose e non premeditate"
dall'assassino, “in preda a un contingente stato di ira irrefrenabile” che non
avrebbe avuto sbocco letale se l'omicida non avesse avuto la disponibilità di
una pistola: “Il possesso dell’arma ha determinato la volontà omicida
repentinamente manifestatasi”.
Ministero condannato quindi al
maxi-risarcimento - Per l’omissione dei carabinieri nel 2002 (coperta ormai
dalla prescrizione penale, ma ancora non dalla prescrizione civile visto che i
familiari ne ebbero conoscenza per la prima volta nel 2011) paga quindi ora il
ministero della Difesa, con il quale l’Arma ha dipendenza organica: insieme all’assassino
(ma in realtà essendo l’unico portafoglio capiente) il ministero dovrà dunque
risarcire 666.000 euro alla moglie dell’ucciso, 575.000 a ciascuno dei due
figli, più 40.000 euro di spese legali.
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