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lunedì 14 marzo 2016


    IL GIORNO CHE USCI' DAL CARCERE MILITARE DI SANTA MARIA CAPUA VETERE C'ERO ANCH'IO TRA I GIORNALISTI CHE LO INTERVISTARONO...POVERO BRUNO DUE VOLTE VITTIMA...DEL DOVERE E DELLO STATO LADRONE E INGRATO 

Intervista a Bruno Contrada "doveva uccidermi la mafia e invece lo ha fatto lo Stato"





di Giancarlo Perna

Libero, 14 marzo 2016

L'ex superpoliziotto: "Hanno distorto le parole di Falcone e Borsellino per farmi passare da colluso. Ingroia ha creduto ai pentiti: lo disprezzo". Incarcerato per mafiosità e vilipeso in Italia, Bruno Contrada, classe 1931, è invece innocente secondo la giustizia Ue. Per la Corte europea dei Diritti dell'uomo il calvario giudiziario del superpoliziotto è stato un sopruso. E l'Italia deve rimediare.

È l'attuale punto d'arrivo della nota vicenda iniziata 23 anni fa. Fino al 1992, Contrada era il più famoso detective antimafia di Sicilia. Ma il 24 dicembre di quell'anno venne arrestato a ridosso del cenone di Natale per dare ridondanza alla faccenda. Iniziava il suo annichilimento. Queste le tappe. Due anni e sette mesi di carcere preventivo, quattro processi - in uno dei quali è assolto da tutto, definitiva condanna per "concorso esterno". Altri due anni di galera, quattro di domiciliari, due condonati per buona condotta. A 81 anni, nel 2012, è tornato in libertà.
Un quarto di secolo di angosce lo hanno ridotto una larva. Continua a gridare la sua innocenza e vuole la riabilitazione. Scrive un libro, fa qualche intervista ma è roba scritta sull'acqua. Poi, la sorpresa. La Cedu, dopo la bellezza di otto anni dal ricorso, con una micidiale doppietta ribalta i giochi: la vittima è Contrada; il carnefice la giustizia italiana. Una sentenza del 2014, condanna l'Italia per averlo tenuto in galera malato, violando i diritti umani. Con una seconda
decisione, nel 2105, la Corte annichilisce la nostra giustizia trattandola da asina, nell'interpretazione più benevola, e da staliniana in quella più realista. Contrada infatti - sentenzia la Cedu - non poteva essere processato perché il reato contestato - concorso mafioso esterno - non era previsto dall'ordinamento all'epoca dei fatti. Nullum crimen, sine lege. L'Abc del diritto.
Contrada, capelli bianchi, alto e un po' curvo, mi accompagna nel suo studio, piccolo come un boudoir. Ha il tappeto, le poltrone di cuoio rosso e un capitale in libri. C'è l'intera Treccani e tutta la serie Utet degli Scrittori italiani e latini. "Orazio è il mio preferito", dice Contrada e, aprendo a caso, me ne legge e traduce un passo. C'è un busto in bronzo di Seneca e un cartello con la scritta: "Il libro non è morto e la carta neppure". "Leggere è il mio passatempo prediletto - dice. Specie Storia, quella napoletana in particolare. Sia io che mia moglie, insegnante di latino, siamo di Napoli ma viviamo a Palermo da quarant'anni.

Abbiamo sempre abitato in questa casa popolare, prima in affitto, poi ho acquistato. Ho letto tutto Benedetto Croce storico. Ora, però, ho problemi di vista. Un ictus - una delle mie quindici patologie carcerarie - ha colpito gli occhi e mi stanco presto". "Quello è lei bersagliere?", chiedo indicando una sua foto col piumotto. Ogni spazio tra i libri è riempito da foto, attestati militari, polizieschi ecc. "Ho cominciato nell'Esercito, poi il concorso in Polizia e la laurea - racconta.
Eravamo nove fratelli. Mio padre avvocato e combattente, faceva guerre e cause. Era un ardente mussoliniano. I valori della mia infanzia erano Famiglia, Dio e Patria". "Classici della destra", osservo. "Mi sono sempre sentito di destra - prosegue - ma non fascista come mio padre. Liberale. Nelle mie vene, oltre al sangue paterno, scorre quello di mio nonno socialista e del bisnonno liberale e antiborbonico". "Segue ancora la politica?", chiedo. "Ne sono sconcertato - risponde.
Non vedo differenze tra Pd e Fi. Tutti uniformi, mandano avanti la baracca dello Stato, senza progetto". "Chi vota?", chiedo. "Non ho questo problema perché sono interdetto, causa condanna. Devo vedere che vota l'extracomunitario che ha appena avuto la cittadinanza e io, che ho sempre avuto l'amore per la Patria e lo Stato, non posso". E schiuma di rabbia.
"Non conosco l'odio. Sono pervaso di indignazione".


Com'è stilé.
"Dopo essermi tanto prodigato per lo Stato mi è stata fatta un'inenarrabile ingiustizia. Mai chiesto la grazia perché mi aspettavo invece il "grazie" dello Stato".


E ha ricevuto una pedata.
"Io rispetto le istituzioni, tutte. Compresa per la magistratura, ci mancherebbe. Ma ho anche disprezzo per chi - nel mio caso - non ha servito le istituzioni nel modo corretto avendone il dovere".



Diceva Richelieu: "Datemi sei righe scritte dal più onesto degli uomini e vi troverò di che farlo impiccare". E ciò che le accadde?
"Esatto. Se si vuole trovare qualcosa si trova, specie nella vita del poliziotto. Perché il mio mestiere era di restare con le mani pulite pur rimestando nel sudiciume della società".


Suoi più accaniti accusatori furono il Capo della Procura di Palermo, Gian Carlo Caselli, e il pm Antonio Ingroia.
"Caselli arrivava dal Piemonte senza conoscere nulla né della Sicilia, né della mafia. Così come irruppero nel 1861 i funzionari del Regno sardo. Gli concedo perciò qualche attenuante per ciò che mi è stato inferto".


Ingroia è sicilianissimo.
"E non gli concedo attenuanti".


Quando parla di disprezzo pensa a tipi come lui?
"Per disprezzo intendo non apprezzamento, non rispetto, non lode. Ingroia doveva capire la differente valenza tra le accuse che mi facevano criminali mafiosi - da me combattuti e arrestati - e le dichiarazioni in mia difesa di 140 uomini delle istituzioni che sfilarono nel processo".


Cinque capi della Polizia, con quello in carica, Vincenzo Parisi, Capi del Sisde, generali, prefetti. Le toghe però dettero retta solo alle coppole pentite. Perché?
"Bisognava dare sostanza giudiziaria al teorema della collusione tra mafia e Stato nelle sue varie espressioni: politica, incriminando Giulio Andreotti e Calogero Mannino; giudiziaria, con Corrado Carnevale; forze dell'ordine, incriminando Contrada, uomo della Polizia e del Sisde".



Perché lei?
"Avevo il physique du ròle come poliziotto più conosciuto di Palermo. Nelle mie previsioni c'era quella di lasciare la pelle per la mafia, non di essere ucciso civilmente dallo Stato".


Dichiarò di essere stato amico di Paolo Borsellino ma la famiglia smentì fermamente.
"Mai detto amico. Solo che tra me e il giudice c'erano ottimi rapporti professionali. Furono i parenti a dire che non ero suo amico per sottintendere che Borsellino diffidava di me".


Secondo Antonino Caponnetto, pure Giovanni Falcone non la stimava. Raccontò che, dopo averle dato la mano, se la pulì.
"Il giudice Caponnetto fu sbugiardato in tribunale: nella circostanza che aveva riferita, Falcone non c'era. Di Falcone ho elogi scritti".


Perché queste fandonie?
"Servivano a dare sostanza a un processo fondato sulla sabbia. Bisognava fare credere che tutti i caduti sotto il piombo della mafia diffidassero di me. Si facevano parlare i morti per fargli dire che mi consideravano un colluso. Provarono a mettermi contro anche Boris Giuliano ucciso anni prima da Leoluca Bagarella".

Era suo amicissimo!
"Ci chiamavano Castore e Polluce ed eravamo più che fratelli. Stesse scarpe e stesse cravatte perché compravamo tutto insieme negli stessi negozi. Sa cosa traspariva in tutta la mia vicenda processuale?".


Ormai mi aspetto di tutto.
"La domanda nell'aria era: perché non hanno ammazzato anche te, come Ninni Cassarà, Beppe Montana, Giuseppe Russo, Giuliano? Se non l'hanno fatto, è che eri d'accordo con loro".


Bella domanda: perché non l'hanno fatto?
"Ci avevano pensato. Mi raccontò il colonnello Russo che i mafiosi si riunirono per stabilire se uccidermi. Rinunciarono, dando di me questo giudizio: "È sbirro tinto ma non veste 'e pupe". Ossia, è un poliziotto cattivo ma non inventa le accuse. Uno giusto, insomma".

In cambio dì cosa, lei sarebbe stato colluso?
"La sentenza esclude che l'abbia fatto per denaro ma non dice il perché. Come se fosse un mìo hobby".


L'Italia ha ottemperato alla doppia condanna europea?
"Ha pagato la piccola somma di denaro prevista. Ora deve annullare la illegale condanna a dieci anni. Ho fatto ricorso in Cassazione".


Come si annulla un carcere già scontato?
"Applicando l'art. 46 della Convenzione europea con l'eliminazione dei danni provocati dalla condanna".


L'elenco?
"Ingiusta carcerazione, ricostruzione della carriera, danni esistenziali e morali, le quindici patologie che ho contratte in galera. Più i danni alla famiglia. Mia moglie ha avuto una cardiopatia che la immobilizza. Mio figlio, Antonio, poliziotto, è caduto in una depressione che gli impedisce ogni attività".


Le auguro giustizia, prima o poi.
"L'uomo ha diritto ad averla sulla Terra, non dopo la morte". Mi porta in un'altra stanza piena di faldoni del processo, almeno cinquanta, e dice: "Vorrei dare fuoco a tutto. Ma non posso lasciare un nome infangato. Lotterò fino all'ultimo respiro".





1 commento:

  1. Speriamo la CEDU non ci metta tanto (8 anni) ad esprimersi sul ricorso di Berlusconi.

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