LUNEDI’ 11 APRILE NELLA RUBRICA CRONACHE DAL PASSATO A
CURA DI FERDINANDO TERLIZZI
POTRETE LEGGERE IN ESCLUSIVA SU CRONACHE DI
CASERTA
IL SINGOLARE DELITTO
Il tentato omicidio avvenne il sette
febbraio
del 1952
FERI’ IL SUO SEDUTTORE NELL’AULA
DI UDIENZA DELLA PRETURA
DI CARINOLA
Il tentato omicidio avvenne
il sette del febbraio del 1952
FERI’
IL SUO SEDUTTORE NELL’AULA
DI
UDIENZA DELLA PRETURA DI CARINOLA
Si stava celebrando il
processo a carico di Stanislao Lanfranchi per sottrazione di minore e violenza
sessuale. Addolorata Di Toro esplose
otto colpi di pistola in mezzo al pubblico, il giovane cadde in una pozza di
sangue. Stette vari giorni tra la vita e la morte.
Carinola – Il mattino del 7
febbraio del 1952, nell’aula di udienza della Pretura di Carinola, mentre
fervevano i dibattiti ed il locale era gremito di avvocati, parti e curiosi, la
giovane Addolorata Di Toro,
esplodeva da brevissima distanza, otto colpi di pistola contro Stanislao Lanfranchi, attingendolo alla
regione mastodea destra, con ritenzione del proiettile nella scatola cranica,
alla coscia sinistra e dalla natica sinistra. Compiuta la delittuose azione e
approfittando dell’enorme trambusto verificatosi nella sala, ella si
allontanava indisturbata e nello scendere le scale dell’edificio si lasciava
docilmente disarmare dall’arma (ormai scarica si trattava di una pistola
automatica tipo “Eibar” calibro 7,65 ed accompagnare nella locale caserma da un
carabiniere accorso dalla strada alle grida della gente. Nell’interrogatorio
reso all’Arma dei carabinieri la Di Toro ammetteva, senza alcuna reticenza, di
aver sparato sul Lanfranchi per ucciderlo giacché costui, dopo averla convinta
nell’aprile del 1950 a fuggire di casa e averla violentata l’aveva trattenuta
con sè nella casa di suo fratello Luigi, fino al giugno successivo, l’aveva
abbandonata poi con l’infondato pretesto di averla trovata non vergine. Faceva
presente altresì che mentre sparava sullo Stanislao, il quale era caduto a
terra al primo colpo, da suo fratello Luigi era stata trattenuta per la mano
che impugnava la pistola, ma ella con una spinta l’aveva allontanato da sè,
continuando la sparatoria contro il suddetto fino all’esaurimento di tutti gli
otto colpi contenuti nel caricatore.
Lanfranco rintracciato il mattino stesso dei carabinieri è
sottoposto ad esame dichiarava che, trovandosi in mezzo fra suo fratello e la
di Toro ed accortasi subito che era stata costei ad esclusione due colpi di
pistola da lui uditi, si era scagliata su di esse per disarmarla, senonché il
di lei fratello Salvatore ed uno sconosciuto, marito di certa Ernestina
Farsetti, lo aveva attirato a sé e percosso consentendo così alla ragazza di
continuare liberamente a sparare su Stanislao e che era il quale ha già
stramazzato a terra. A seguito di tale dichiarazioni, i carabinieri,
provvedevano all'arresto di due suddetti che respinge l'accusa assumendo il
salvatore di Toro di essersi trovata al momento degli spari nel vano antistante
la sala di udienza, donde, di corsa, aveva infilato un Golino, andando a finire
negli uffici della pretura dove aveva trovato un suo padre, seduto su una
sedia, scosso dell'accaduto; deducendo l'altro identificata per Orazio Gervasi
ho, che i primi spari egli e sua moglie Ernestina D'Angelo avevano abbandonato
di corsa detto vano, dove in quel momento si trattenevano, portato sinistrate
di qui in un vicino caffè.
Essi D’Angelo e Gervasio spiegavano il motivo della loro
presenza, quel giorno, nella Pretura di Carinola, col dire di essere stati
citati a deporre come testimoni nel procedimento penale per sottrazione di
minorenne a carico di Stanislao
Lanfranchi. Il Salvatore Di Toro
assumeva, al riguardo, di aver
accompagnato il padre Giuseppe, avente
la veste di querelante in detto procedimento. A carico dei due denunciati con
rapporto dai carabinieri di Carinola nel
quale davano atto, tra l’altro, di aver rinvenuto sul pavimento della sala di
udienza otto bossoli e quattro proiettili schiacciatisi contro il muro. Nell’interrogatorio
giudiziale la Addolorata Di Toro, nel mantenere ferma la propria confessione (confermando
anche che da tempo aveva concepito il
disegno non potendolo attuare prima per difetto di occasioni propizie) di
sopprimere Stanislao, nonché di aver sottratto al suo fidanzato la pistola. Precisava che il Luigi Lafranchi, era stato da lei colpito nel respingerlo avendole egli
afferrato il braccio con le nocche delle dita alla bocca. Tale circostanza
smentita dal fretello della vittima, il quale assumeva di essere riuscito ad
immobilizzare la ragazza, afferrandola saldamente per il braccio armato di
pistola, quando era stato trascinato indietro dal Gervasio, mentre il Salvatore Di Toro gli aveva vibrato
reiterati pugni sul viso da produrre delle ecchimosi alla fronte.
Poiché la Di Toro, era stata accompagnata nella caserma dei
carabinieri di Carinola, dal carabiniere Salvatore
Gianfrani (che si trovava nella sala d’udienza essendo stato citato come
teste per un rapporto della Stazione di Sant Andrea del Pizzone) e dalla guardia comunale Bernardo Rozzera, i due chiarivano i fatti. Il carabiniere, dal canto suo,
dichiarava di essersi trovato nella sala di udienza ed aveva visto il givane
ferito che dava ancora segni di vita ed aveva subito provveduto a farlo
trasportare dell’ppuntato Pietro Riccitiello
all’ospedale civile di Sesso Aurunca. Intanto il brigadiere Alfredo Vaglieco aveva raccolto otto
bossoli calibro 7,65. Nel corso delle prime indagini i carabinieri venivano a conoscenze
che durante la celebrazione dei processi nella sala d’udienza erano stati
esplosi numerosi colpi di arma da fuoco. Nel
parapiglia verificatosi gli astanti (circa 40 persone: giudice,
cancelliere, avvocati, trestimoni e pubblico) si erano precipitati tutti delle scali e nei corridori portavano verso l’uscita,
alcuni si buttarono faccia a terra per
evitare di essere colpiti. Il primo ad essere identificato e fermato fu un fratello
del ferito Luigi Lanfranchi, nativo di da Frignano Maggiore, ma residente in
Mondragone al viale Margherita 118,
bracciante agricolo, il quale accompagnato in
caserma dichiarava: ”Stamattina sono partito da Mondragone, con
mio fratello Stanislao Lanfranchi,
diretto alla Pretura di Carinola, presso
la quale lui aveva una causa penale
perchè era stato denuciato dal padre della fidanzata per ratto e violenza
sessuale in danno di Addolorata Di Toro da Mondragone, ratto avvenuto nel mese
di parile del 1950. La ragazza era assieme al fratelo Salvatore e la moglie di
quest’ultimo Ernestina Frassetti. Improvvisa,mente ho sentito echeggiare dei
colpi mi sono precipitato nella sala ed ho visto che la Addolorata stava
sparando all’indirizzo di mio fratello, ho cercato di disarmarla, ma non ci
sono riuscito”. Tratta in arresto e
interrogata la ragazza così giustificò il suo insano gesto: “Mi fidanzai con Stanislao Lanfranchi nel
mese di ottobre del 1949. Detto fidanzamento era ostacolato dai miei genitori
che non volevano che sposassi il Lanfranchi, siccome costui era un forestiere
di Mondragone, essendo natio di Frignano
Maggiore. Ciononostante, ero d’accordo con il Lanfranchi di continuare la
tresca perché lo volevo bene ed infatti, di
nascosto, continuammo a vederci.
I miei genitori se ne accorsero della relazione e spesso mi ripercuotevano perché io lasciassi
Lanfranchi. Date che le percosse continuovano decisi di farlo presente al
Lanfranchi che tale stato di cose non poteva continuare. È così che in seguito
a colloquio con esso Lanfranchi la cognata di lui a nome Maria Treglia, presso quale
alloggiava e mangiava, essendo a lavorare insieme al fratello Luigi, accettai
di fuggire col mio fidanzato avendo la di lui cognat assicurato che ci avrebbe
dato la sua camera da letto, con il mobilio, fino a quando potevamo con
risparmio nostro mettere su casa. Difatti la sera del18 aprile del 1150 verso
le 20:00 il mio fidanzato si presentò a casa mia bussò alla porta e mi chiese
se volessi andare con lui e mi propose
di fuggire. Io credevo che lui mi portasse a casa dei suoi in Frignano
Maggiore, come precedentemente concordato,
ma usciti fuori dall’abitato di Mondragone, trovato quale pretesto che
non vi era il camion che ci doveva
portare a Frignano Maggiore, mi
accompagnò in un pagliaio posto alla contrada “Pennetelle”, in agro di
Mondragone”.
Un vero e proprio calvario per la povera ragazza. Lei si
ribellò ma inutilemente venne sedotta
con la forza e costretta ad avere continui rapporti sessuali nel pagliaio per
tre giorni, con la complicità della cognata
del fidanzato che provvedeva a portare anche da magiare. Dopo tre gorni
i “colombi” vennero ospitati nella casa del fratello di lui, Luigi Lanfranchi, in un appartamento di
Mondragone. Dopo tre mesi venne cacciata via perché pretendevano una “dote”.
Poi il fidanzato iniziò a sparlare in paese dicendo che non l’aveva trovata
“vergine” e che quindi non l’avrebbr più sposata. La ragazza fj costretta a
rifuggiarsi presso la nonna materna presso la quale rimase fino alla sua morte.
La Addolorata tentò in tutti i modi di convincere il giovane a sposarla
addirittuyra facendolo chiamare dal maresciallo dei carabinieri prima di
Mondragone e poi di Frignano. All’ennesimo rifiuto la denuncia (tardiva!) per
ratto. Poi il giorno dell’udienza, la vendetta con il conseguente tentato
omicidio.
Fonte: Archivio di
Stato di Caserta
La ragazza, con la
concessione di tutte le attenuanti: le generiche, quelle con la diminuente del particolare valore
morale e sociale; quelle dello stato d’ira, determinato da fatto ingiusto
altrui, venne condannata alla pena di
anni 3 e mesi 11. Pena ulteriormente ridotta, in virtù di un condono promulgato
nel dicembre del 1953, di anni 2 giorni 15.
Dopo la formale istruttoria,
vennero rinviati al giudizio della Corte di Assise di Santa Maria Capua Vetere
( Presidente, Giovanni Morfino; giudice a latere, Victor Ugo De Donato; giurati: Aniello
D’Angelo, Ferdinando Del Rosso, Vittorio Di Lorenzo, Gennaro Pagano, Paolo Corvino, Salvatore
Zimbardi e Aldo Funiciello; pubblico ministero, Nicola Damiani); Addolorata Di Toro, di anni 23, da Mondragone, per rispondere la Addolorata di “tentato
omicidio premeditato, aggravato, per avere a fine di uccidere, esploso da
breve distanza, contro Stanislao Lanfranchi otto olpi di pistola, attingendolo
alla regione occipitale, alla regione glutea sinistra ed alla coscia sinistra,
producendogli lesioni guarite in sessanta giorni con pericolo di vita; e Luigi Lanfranchi per concorso. Stanislao Lanfranchi, di anni 36, da
Frignano Maggiore, veniva intanto prosciolto perché la querela nei suoi confronti
era stata tardiva, cioè fuori termine. Dopo la istruttoria dibattimentale nel
corso della quale si era principalmente dibattuto sull’autore della lettera
minatoria (in quanto la imputata essendo stata arrestato in flagranza di reato,
non aveva potuto negare le proprie responsabilità ed anzi era stata rea
confessa) la ragazza, con ampia concessione di tutte le attenuanti (le
generiche, quelle con la diminuente del
particolare valore morale e sociale; quelle dello stato d’ira, determinato da
fatto ingiusto altrui) venne condannata
alla mite pena di anni 3 e mesi 11. Pena ulteriormente ridotta, in virtù di un
condono promulgato nel dicembre del 1953, di anni 2 giorni 15. La stessa fu
immediatament3e scarcerata. In definitiva poco più dio un anno di carcere per
il suo reato. Ma come detto – la parte
principale del processo fu dedicata alla perizia del prof. Attilio D’Angelo di Caserta, perito grafico che si occupò per
rispondere del quesito: “Accerti se il biglietto incriminato sia stato vergato
da una delle persone di cui alla scrittura di comparazione”. Il biglietto
indirizzato al padre della ragazza che lo definiva “disgraziato e cornuto”. Il perito – con la comparazione degli
altri scritti (compresa una dettatura innanzi al Pretore di Carinola) attribuì
lo scritto incriminato a Luigi Lanfranchi, fratello del fidanzato della sventurata
“svergognata”, come venivano definite le ragazze sedotte all’epoca dei fatti. Nel
processo furono impegnati gli avvocati: Ciro Maffuccini e Francesco Pagano.
Fonte: Archivio dello Stato di Caserta
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