Enzo Tortora era innocente. La Rai e la magistratura invece no
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di Francesca Scopelliti
Il Dubbio, 18 maggio 2016
Il ventottesimo anniversario della morte
del giornalista "stritolato" dalla mala-giustizia. "Signora
Presidente, signor Ministro, signori colleghi, mezz'ora fa è mancato
all'affetto della sua famiglia il nostro Enzo Tortora. Mi si consenta, pur
non essendo stato un nostro collega, ma essendo stato un rappresentante del
nostro popolo - e quale, e come, e in che circostanze - nel Parlamento
Europeo, mi consenta, signora Presidente, senza usare violenza di sorta, di tacere
per mezzo minuto".
"Così Marco Pannella, con voce rotta dalla commozione ? vera
- alla
Camera dei Deputati il mattino del 18 maggio 1988, esattamente 28 anni fa.
Cinque anni prima, il 17 giugno 1983, Tortora era stato arrestato come un
volgare e pericoloso delinquente. Un arresto spettacolare per supportare
accuse infondate, infamanti quanto assurde: appartenenza alla camorra,
traffico di droga e - inchiesta facendo - altre invenzioni. Ad accusarlo un
manipolo di delinquenti che, con il nobile quanto inappropriato titolo di
"collaboratori di giustizia", era stato assunto a servizio della
Procura di Napoli dai procuratori Felice Di Persia e Lucio di Pietro. Le
farneticanti dichiarazioni di 17 gaglioffi e il libero convincimento di quei
magistrati rivoluzionano la vita di un uomo perbene: non uno straccio di
prova, non un riscontro, non un'indagine alla ricerca della verità, non una
intercettazione ma solo menzogne, calunnie, false accuse precostituite e
propagandate da giornalisti complici e asserviti alla procura. Perché? Perché
Tortora deve essere colpevole.
Enzo è un personaggio amato da milioni di telespettatori, una icona del
giornalismo italiano fino a quando un'assurda accusa lo trasforma da grande
giornalista in grande spacciatore di droga, da uomo di cultura in uomo di
malavita.
Enzo vive la gogna di una campagna di informazione pilotata dalla procura
napoletana che ha bisogno di compensare la mancanza di prove con la
costruzione del "colpevole". Ma anche da imputato, da detenuto,
Enzo Tortora non rinuncia ad essere se stesso, ad agire con la dignità e la
forza di un uomo perbene. Lo vogliono vittima? Lui si fa protagonista di una
nobile battaglia per la giustizia giusta, tesa a risolvere non soltanto il
suo processo, ma il ben più grave "caso Italia". Lo vogliono
camorrista e spacciatore con una condanna a 10 anni di galera scritta da
Luigi Sansone (presidente della corte) e suggerita da Diego Marmo (quel
Pubblico Ministero che recentemente ha chiesto scusa per aver commesso una
grave errore giudiziario)?
Lui si conferma galantuomo, si dimette dal
Parlamento Europeo per tornare in galera e presentarsi ai suoi giudici come
semplice cittadino. Innocente.
Tortora è innocente, gli altri no. Tortora non ha nulla da rimproverarsi, i
magistrati sì. Tortora potrà tornare al suo pubblico a testa alta, tanti
altri giornalisti no. Dopo aver affermato la verità e aver portato nelle sedi
istituzionali la denuncia del degrado giuridico italiano, Enzo muore per un
tumore al polmone "che mi hanno fatto scoppiare come una bomba al
cobalto" in quel dannato giorno di metà giugno 1983. Quei magistrati che
hanno firmato la più brutta pagina della storia della giustizia italiana
potranno invece godere di note di merito e promozioni di carriera (Felice Di
Persia viene addirittura eletto al Consiglio superiore della magistratura).
Ancora oggi c'è un problema "magistratura" da riformare: gli errori
giudiziari sono ancora tanti, la legge sulla responsabilità dei magistrati ?
pur nella sua inadeguatezza - non trova applicazione, esiste un libero
convincimento del giudice che si scontra con il sistema accusatorio, c'è una
stretta correlazione tra la magistratura giudicante e quella inquirente, e
sia l'una che l'altra sono troppo politicizzate. È una verità incontestabile.
Così come è vero che tanti magistrati concordano però sull'esigenza di una
vera, sana e profonda riforma. Per intervenire contro i mali reali del
sistema, facendosi garanti di una riforma a favore della giustizia giusta e
non a dispetto di qualcuno, tantomeno a dispetto della magistratura, alla
quale vanno ridati quella dignità e quel rispetto che la Costituzione le
assegna ma che la stessa magistratura deve guadagnare e mantenere sul campo.
Per questo credo che non sia più rinviabile un confronto con l'Anm per trovare
la giusta quadratura, per garantire a tutti giudizi equi e celeri, certezza
della prova e giusto processo. E invece assistiamo a una contrapposizione
pretestuosa, a un interminabile scontro ? tanto frontale quanto volgare - che
genera mostri e impedisce ogni modifica legislativa, ponendo una pietra
tombale su ogni possibile e necessaria riforma. Confermando - ahimè, ahinoi -
che il "sonno della ragione genera mostri".
Per ricordare Enzo nel ventottesimo della sua morte, uno Speciale del TG5
firmato da Andrea Pamparana è stato titolato "Quella giustizia che
uccise un galantuomo". Un servizio giornalistico equilibrato e vero, che
ha reso la giusta memoria a Tortora. Mediaset se ne è ricordato, d'altronde è
stato proprio Enzo il "papà" delle televisioni libere. Ma è stato
soprattutto "figlio" di quella Rai alla quale tantissimo ha dato in
termini di cultura, spettacolo e "guadagni". Eppure quest'ultima
tace (nonostante i miei solleciti a diversi consiglieri di amministrazione),
perché parlare di Tortora dà ancora fastidio: qualcuno potrebbe
indispettirsi, c'è il rischio di sollevare qualche suscettibilità. Tortora è
stato ed è un personaggio da dimenticare per non svegliare le coscienze.
"Hai visto la Tv? La Tv alla quale ho dato quasi tutta la mia vita, beh,
hai visto se, nella disgustosa celebrazione dei suoi 30 anni ha ricordato una
sola volta me, un mio programma? Silenzio. È il Potere, Francesca. È questo,
che ha deciso di stritolarmi". Così mi scrive Enzo dal carcere in una
lettera del gennaio 1984: parole profetiche. Quel silenzio dura da ben 28
anni.
Mamma Rai ingrata e distratta? No, perché non rinuncia a ricordare,
giustamente, gli altri suoi figli. Ma Tortora è il figlio ribelle, troppo
liberal per le paludate consuetudini della Tv di Stato, troppo innocente
nella inchiesta napoletana per richiamare alla memoria i carnefici, troppo
"antipatico" per meritare una citazione. Insomma, sembra proprio
che il principio costituzionale dell'uguaglianza dei cittadini non valga in
Rai e allora mi chiedo: ma se il servizio pubblico viola un sacrosanto e
semplice principio, perché io devo pagare il canone?
P. S. Subito dopo aver consegnato questo articolo, ricevo una telefonata di
RaiNews in cui mi si informa che, giorno 18 alle 18, il direttore Antonio Di
Bella dedicherà la sua trasmissione "Telegram" alla memoria di Enzo
Tortora. Ne sono felice: è una ennesima conferma della sensibilità del
direttore Di Bella sulla vicenda di Enzo. Plaudo quindi a lui, mentre
mantengo il mio giudizio sulla Rai.
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