Venerdì
13 maggio, alle ore 14,30, presso l’Università degli Studi Suor Orsola
Benincasa in Napoli
In
occasione della inaugurazione del Corso di Balistica Forense e Scena del Crimine
RIEVOCAZIONE DEL PROCESSO PER IL
DELITTO DEL SINDACALISTA SALVATORE CARNEVALE CON QUATTRO PERIZIE BALISTICHE
Sommario: Sarà l’Avv. Giuseppe Garofalo, penalista, che era il
difensore della mamma della vittima, a ricostruire il processo alla mafia siciliana. Ne furono protagonisti inoltre: Sandro
Pertini, Giovanni Leone, Pietro Nenni, Alfredo De Marsico, Ettore Botti, Pietro
Scaglione, (l’alto magistrato assassinato da Luciano Liggio) Giovanni e
Francesco Porzio. Lo scrittore Carlo Levi ne trasse il libro “Le parole sono
pietre”. Paolo e Vittorio Taviani dalla vicenda ne fecero il film “Un uomo da
bruciare”. Il delitto avvenne nel 1955 a Sciara, in Sicilia nel latifondo della famiglia della
principessa Notarbartolo. Il processo
fu assegnato nel 1961 per legittima suspicione alla Corte di Assise di Santa Maria Capua Vetere. Quattro perizie
balistiche.
Venerdì 13 maggio, alle ore 15.00, presso l’Università
degli Studi Suor Orsola Benincasa in Napoli, in occasione della inaugurazione
del Corso di Balistica Forense e Scena del Crimine, organizzato dal Formed di
Caserta, in convenzione con la suddetta Universita’, Giuseppe Garofalo, penalista, scrittore e storico terrà una “lectio magistralis” su un processo
celebratosi per legittima suspicione nel 1961, presso la Corte di Assise del
Tribunale di Santa Maria Capua Vetere.
Fu il primo processo in cui la perizia balistica
rappresentò un dato essenziale ai fini
dell’accertamento delle responsabilità.
In realtà, tre anni di dibattimenti, imperniati su controverse perizie
balistiche, non chiarirono se i proiettili trovati sul luogo
dell’uccisione furono sparati dalle armi degli imputati. Basterà ricordare
quale fu lo scontro degli “esperti” .
Infatti uno dei punti centrali su cui si svolgeva la lotta fra i difensori e i
legali della parte civile era questo: se i bossoli trovati vicino al cadavere
di Salvatore Carnevale appartenevano o no alle cartucce sparate da otto fucili
sequestrati durante le indagini, perché di proprietà di alcuni imputati. La
prima perizia, fatta però solo su quattro fucili (gli altri non erano stati
ancora trovati), fatta dal prof. Ideale
Del Carpio, dell’Istituto di Medicina Legale dell’Università di Palermo e
da un ufficiale di artiglieria, Paolo
Cutitta, lo escluse.
La seconda e la terza perizia, ( richieste
espressamente dall’avv. Giuseppe Garofalo) compiute dal tenente colonnello Giuseppe Brundo Cateno, pure del
servizio tecnico di Artiglieria e direttore pirotecnico di Capua, stabilirono
che quattro di quei bossoli erano stati esplosi dai fucili sequestrati. La
quarta perizia, compiuta da tre esperti di “chiara fama” tutti del servizio
tecnico di Artiglieria, il maggiore generale Roberto Boragine, il tenente colonnello Vincenzo Vecchione, e il maggiore Fulvio Pettirossi, dette pienamente torto al direttore del
pirotecnico, affermando che nessuno di quei bossoli era mai stato toccato dai
percussori delle otto armi da caccia (nel frattempo erano stati sequestrati anche
gli altri quattro fucili).
Fu un vero e proprio processo alla mafia e non
solo il processo agli assassini. Un delitto efferato, rimasto impunito. Due
colpi alla testa ed uno in bocca. Così muore Salvatore Carnevale, sindacalista, socialista, vicino a una cava di
pietra. Quel cervello non deve più funzionare, quella bocca non deve più
parlare. E’ il 6 marzo 1955, a Sciara in
Sicilia, Carnevale aveva organizzato i contadini e occupato le terre incolte.
Ora lavora nella cava, undici ore al giorno, per lui niente diritti. Organizza
uno sciopero, un successo.
Lo minacciano, non cede. Tre giorni dopo
l’ammazzano, perché chi deve capire capisca. Questa è la storia di un processo-farsa, con i testimoni che
fanno i nomi dei mafiosi, e alla fine non vengono creduti. Uno di loro
ritratta, viene messo in carcere. Ma nella stessa cella degli imputati. E la
sua memoria svanisce. Il processo che ne
seguì fu un
parterre sul quale si avvicendarono nomi importanti della storia del nostro
Paese. Sandro Pertini, (poi nominato
Presidente della Repubblica), in difesa di Francesca
Serio, madre del giovane assassinato barbaramente; Giovanni Leone, (altro Presidente della Repubblica) in difesa di un
imputato. Fu il magistrato Pietro Scaglione (che
sarà poi assassinato da Luciano Liggio nel
1971) a chiedere il rinvio a giudizio dei quattro “campieri” per l’omicidio del sindacalista.
Lo scrittore Carlo Levi, nel suo
libro “Le parole sono pietre”,
descrisse come una donna “di bellezza dura,
asciutta, violenta, opaca, come una pietra, spietata, apparentemente disumana”,
Francesca Serio, la madre coraggio
che – per la
prima volta – sfidò la mafia. Nel 1962, Paolo
e Vittorio Taviani dalla vicenda
realizzarono il film “Un uomo da briciare”, con Gian Maria Volontè, Marina Malfatti e Turi Ferro. Premiato dalla critica alla Mostra di Venezia. L’avv. Alfredo De Marsico, alla richiesta dei
quattro ergastoli pronunciò un’arringa di 4 ore in difesa degli imputati
esordendo con queste parole: “Signori
della Corte, voi parlate con una persona che è stata ministro della Giustizia e
poi condannata a morte in contumacia”.
A Santa Maria Capua Vetere, per la parte
civile anche l’avv. Giuseppe Garofalo,
su personale sollecitazione di Pietro
Nenni, allora leader del Partito Socialista. In appello la pubblica accusa
fu sostenuta dal famigerato Roberto
Angelone, mentre in Cassazione (molto criticato per le sue parole) dal
Procuratore Generale Tirro Parlatore.
La sentenza della Corte di Assise di Appello di Napoli “stracciò” letteralmente quella di primo grado, assolvendo tutti
gli imputati.
Un delitto, insomma che – con le stesse prove – merita a S. Maria
C.V. l’ergastolo e nello stesso tempo a Napoli l’assoluzione. Questa sembra
essere una delle grandi contraddizioni della giustizia in Italia. La Corte di
Assise di primo grado fu presieduta da Prisco
Palmiero, giudice a latere Giulio
Tavassi, Pubblico Ministero, Nicola
Damiani. All’ergastolo furono condannati per l’assassinio del
sindacalista: Giorgio Panzeca, Luigi
Tardibuono, (morto nel carcere di Santa Maria perché sofferente di
cuore, qualche mese prima del giudizio
di appello: 1963), Antonino Mangiafridda
e Giovanni Di Bella.
Nei tre gradi di
giudizio furono inoltre impegnati gli avvocati: Antonio Schettino, Ciro Maffuccini, Giuseppe Cordone, Ettore Botti, Carlo Cipullo,
Salvatore Mornino, Giuseppe Di Giovanni, Francesco Porzio, Giovanni Porzio, Pompeo
Rendina, Lelio Basso, Francesco Taormina, Antonino Sorge e Clemente La Porta.
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