Due balordi Giovanni Busico e Elpidio Aprileo
strangolarono e rapinarono
l’ omosessuale Ferdinando Marcone
Con la scusa di avere
un rapporto con lui si coricarono nello stesso letto. Sparirono dall’abitazione
soldi, preziosi e titoli. “O’
bacchettaro” era un ricco commerciante di stoffa. Dopo il
delitto uno fuggì a Milano, l’altro si fece prendere nel Bar Florio a
giocare alla “zecchinetta”.
Santa Maria Capua Vetere - “Le ricerche tossicologiche eseguite sui
visceri repertati sono risultate negative sia rispetto a sostanze narcotiche,
sia rispetto a sostanze tossiche. La frattura dell’osso ioide è da riportasi
alla costrizione che il collo del Marcone ha subito a mezzo del laccio. La
morte di Ferdinando Marcone si può
retrodatare di 48-76 ore rispetto all’autopsia (2 gennaio 1953). La morte è
stata di natura omicidiaria ed è stata dovuta ad “asfissia meccanica per
strangolamento”. Il mezzo adoperato è stato il laccio riscontrato al collo del
cadavere. La morte è avvenuta subitaneamente”.
Questo fu il responso dei periti
nominati dagli inquirenti Dott.ri Mario Pugliese, Michele
Sanvitale e del Prof. Francesco
Tarsitano, al termine dell’autopsia
sul cadavere di Ferdinando Marcone, commerciante, celibe, omosessuale, di anni
67, nato a Soccavo (Napoli) e residente al Corso Umberto I°, n°290 in Santa Maria C.V. conosciuto come “O’ bacchettaro”. Fu un
delitto tra i più efferati avvenuto nella città del Foro. E fino al giorno 10
del gennaio di quell’anno degli assassini non vi era stata nessuna traccia.
Verso le 8:00 del 1° gennaio del 1953 tale Michelucci
Primo, 30 anni, domiciliato il Corso Umberto I°, n° 146, assistente edile,
informava il mar. dei carabinieri Giovanni
Pittari, che aveva appreso dalla
propria moglie Giuseppina Merola che
lo zio di costei sessantaduenne, Ferdinando Marcone, era irreperibile pur
avendo lasciata aperta la porta del negozio da lui gestito e si era portata del
negozio medesimo, dove già vi erano i due nipoti Mario Marcone e Gaetano
Merola, constatando che nell’attiguo
vano il Marcone giaceva strangolato nel letto. I carabinieri, Claudio Balestrieri, Nicola Ianniuzzo,
Vincenzo Mazzuoccolo e Giovanni
Napolitano, al comando del Ten. Fortunato
Messina, prontamente si portavano sul luogo e constatavano che
effettivamente il Marconi giaceva cadavere nel letto, supino sotto due coperte
e con al collo una sottile cordicella di canapa a due capi fortemente strette
contenuti sulla sinistra. Alle dita indossava un anello d’oro ed uno d’argento.
L’autopsia immediatamente disposta dal Giudice Istruttore – pure esso acceduto
sul posto - confermavano i primi accertamenti assodando che la morte del
Marcone, subitamente sopravvenuta, era stata provocata dall’”asfissia meccanica
per strangolamento” mediante il laccio ritrovato al collo che presentava la
frattura. Gli inquirenti cercarono di allargare il cerchio delle indagini
indagando a 90 gradi e interrogando parenti ed amici della vittima.
Il portone dell'ingresso sbarrato |
Si effettuò
un sopralluogo nell’abitazione del Marcone, alla presenza del Domenico De Gennaro, 43 anni, abitante
al Corso Umberto 292, proprietario dell’immobile, al quale presero parte gli
uomini del Commissariato di P.S. di S. Maria C.V., Domenico Sbordone, Marino Maiorano e Antonio Della Valle, alla
presenza della sorella della vittima Carmela
Marcone, dei nipoti Anna Marcone,
Teresa Barbato e Angela Nappi.
Il giorno dopo il delitto il meccanico Gaetano
Picazio, alle 7 del mattino,
apprendeva dalla moglie Rosa Ciriello
che alcune persone chiedevano del defunto Marcone per acquistare della stoffa
ma essendo il venditore assente in bottega assieme alla sorella Gioconda Federico si recava presso la
Chiesa di Sant’ Erasmo dove la vittima era solita andare ad ascoltare la messa.
Il meccanico riferiva alla polizia che la vittima era suo amico e con lui
spesso si confidava e appunto circa un mese prima del delitto gli aveva
confidato che aveva investito in buoni fruttiferi la somma di lire 400.000
intestandoli ad un suo nipote. mPer tali dichiarazioni il meccanico venne
fortemente indiziato ma fu subito rilasciato. Anche il nipote della vittima
Gaetano Merola (che aveva appreso dalla sorella Giuseppina del delitto) venne
fermato per sospetti e poi liberato. Intanto la chiave della camera da letto fu
rinvenuta sul bancone della bottega (la camera era all’interno del cortile nel
caseggiato medesimo) e con l’intervento di tale Aniello De Pasquale (amico di famiglia) il quale procedette
all’apertura del locale ed ebbe la sorpresa di rinvenire il Marcone immobile disteso sul letto. Il De
Pasquale dichiarò alla polizia che il Marcone era ricco ed avaro e per questo
non andava d’accordo con i parenti. Il giovane per queste sue affermazioni fu
sospettato, fermato e poi liberato. Il giovane Paolo Santoro, di anni 24, abitante alla via Masucci 5, erbivendolo
venne sospettato fermato e poi rilasciato.
LA VITTIMA NEL SUO LETTO DI MORTE |
Stessa sorte per Vincenzo Santone, 28 anni, domiciliato
al Corso Umberto, poco distante dalla casa della vittima, venditore ambulante
di terraglie venne sospettato, fermato, interrogato e rilasciato. La sorella
Carmela di Ferdinando Marcone ricostruì le ultime ore di vita del fratello. La
sera di S. Silvestro aveva cenato presso la sua famiglia con un menù a base di
vermicelli al sugo, con telline, baccalà fritto e in bianco e aveva bevuto
soltanto mezzo litro di vino. La stessa confessò anche che le era noto che il
fratello era un omosessuale e che alcuni giovani del luogo lo frequentavano.
Uno dei suoi conoscenti Raffaele
Martusciello, di anni 18, abitante in via Pratilli 18, confermò agli inquirenti che la vittima era
notoriamente omosessuale. Le indagini per la identificazione dell’efferato
crimine, che aveva fortemente impressionato la pacifica popolazione della città
del Foro e che appariva consumato a scopo di furto come il disordine notato nel
negozio e nell’attiguo vanno chiaramente dimostravano, venivano alacremente
condotte dalla Questura di Caserta in collaborazione con i carabinieri e avendo
assodato che la vittima era un omosessuale e riceveva spesso nel suo negozio
dei pederasti del luogo i primi sospetti caddero su tale Giovanni Busico, di anni 24, nato a Santa Maria Capua Vetere,
domiciliato alla via Suffragio 9, celibe, vagabondo, che intratteneva – “continui e confidenziali rapporti” con il Marcone il quale si era
improvvisamente allontanato dalla propria abitazione, cercando poi di sfuggire
alle camionette degli agenti con lo rincorrevano. Senonché fermato il 3 gennaio
nel “Caffè Florio”, alla via
Mazzocchi di Santa Maria Capua Vetere, il Busico venne accusato di essere
l’autore del crimine ed ammetteva senz’altro di avere da “solo” strangolato con le mani il Marcone relegandoli poi al collo
una cordicella onde assicurarsi della sua morte ed aveva poi rovistato nei
mobili senza tuttavia rinvenire nè preziosi né denaro. Due bugie riscontrarono
gli inquirenti: la sparizione di denaro e tracce di un complice. In una successiva dichiarazione dello stesso
giorno egli precisava il modo con cui era riuscito a farsi ricevere –verso
le di ore 2,30 del 31 dicembre dal
Marcone - deducendo che all’ improvviso
gli era sorta la idea di strangolare il vecchio che si era ricoricato pensando che egli con lui
intendesse congiungersi; con tale idea aveva messo in esecuzione servendosi
delle mani, stringendo poi per la maggiore sicurezza il pezzo di spago che solo
per caso teneva in tasca; che infine egli aveva rovistato dappertutto alla
ricerca di preziosi e di denaro - di cui sapeva essere la vittima largamente fornita
- e che tuttavia non aveva rinvenuto alcunché.
UN INSIEME DELLA STANZA |
Il 5 gennaio il Busico, dopo
aver tali circostanze confermato al Dr. Berardino
De Luca, Giudice Istruttore, dichiarava invece alla Questura (sottoposto
evidentemente ad interrogatorio con maniere più convincenti) che il Marcone era
stato ucciso dal suo amico Elpidio
Aprileo di anni 20, domiciliato in via Anfiteatro 51, celibe, fabbro, dal
quale anzi era partita la proposta di uccidere mediante soffocamento il Marcone
onde rapinarlo. Un vero colpo di scena ed una perfetta chiamata di correità che
è un classico in molti delitti con più autori. Il Busico precisava anche che
l’Aprileo aveva afferrato per le mani la vittima onde immobilizzarla e
permettere a lui di strangolarla con le mani alla gola; che insieme con
l’Aprileo aveva poi rovistato nei mobili asportando soltanto L. 2.300 in quanto
il suo compagno impossessatosi di un orologio, lo aveva assicurato di aver
preso tutto. Con altra dichiarazione precisava l’ammontare del bottino ed il
modo in cui era stato diviso. A sentire ciò la Questura impartì delle opportune
disposizioni per la cattura dell’Aprileo resosi intanto irreperibile e fuggito
al Nord nel tentativo di espatriare. Con rapporto del 10 gennaio del 1953
denunciavano in stato di arresto il Busico, oltre che come detentori di una
baionetta, rinvenuta alla sua
abitazione, quale responsabile di “omicidio
premeditato ed aggravato a scopo di rapina in persone” di Marcone in
concorso con l’Aprileo”.
UN PRIMO PIANO DELLA VITTIMA |
Con successivo rapporto del 20 dello stesso mese la Questura informava gli inquirenti che
l’Aprileo era stato arrestato il giorno 16 in Milano e da una
prima dichiarazione aveva precisato che “circa sei o sette giorni prima
della fine del dicembre del 1952, il Busico lo aveva informato del suo disegno
di uccidere e quindi derubare Ferdinando Marcone spiegandogli che avrebbero
dovuto fingere, per introdursi nella di abitazione, di voler trascorrere una
notte in sua compagnia e di soddisfarlo nei suoi immondi desideri; che pur avendo allora respinta la istigazione
del Busico, l’aveva successivamente
accolta il 28 e 29 dicembre, così era stato fissato l’appuntamento per il 31
successivo durante la notte, verso le 23:30 si erano portati nel negozio del
Marcone con il quale si erano nello stesso letto coricati; che all’improvviso
il Busico aveva strangolato il vecchio legandogli quindi la corda al collo; poi
egli ed il Busico si erano dati a rovistare dappertutto riuscendo ad
impossessarsi soltanto di lire 15.000 di cui soltanto sei o 7000 gli erano
stata consegnate dal Busico”. Disse di aver sperperato i soldi e di essersi “intrattenuto” nel corso del suo
soggiorno a Milano, con un pederasta che aveva conosciuto la sera al cinema “Venezia” al Corso Buenos Ayres.
L’Aprileo, nuovamente interrogato a Caserta dai funzionari della Questura,
confermava che l’invito a prendere parte all’uccisione gli era stata fatta
una prima volta fra la vigilia del Natale e il Natale medesimo, che poi si era stabilita la notte di San
Silvestro; che egli ed il Busico si erano coricati insieme al Marcone che
questi ad un tratto era stato aggredito
dal suo compagno che lo aveva invitato a
tenere ferme le mani della vittima e che egli aveva fatto; che poi avevano
frugato dappertutto riuscendo trovare soltanto 2000 lire in contanti 14 dollari
e diversi buoni fruttiferi postali di cui non conoscevano la sorte avendo
ricevuto dal Busico soltanto una certa somma di denaro ricavata dal cambio dei
dollari. Giulio Aprileo, padre di
Elpidio (Via Anfiteatro,51) calzolaio, dichiarò che il figlio dopo il cenone
era stato visto al cinema “Politeama”, in compagnia di Giovanni Busico. Che il
giorno dopo era partito per Orvieto in cerca di lavoro presso uno zio Mario Crisileo.
FERDINANDO MASTROIANNI STRANGOLATO NEL SUO LETTO |
Non aveva bisogno di
denaro perché l’aveva vinto nella nottata giocando alla zecchinetta presso il
bar “Florio”. Si effettuarono vari
sopralluoghi in cerca della refurtiva, presso Mario Avizzano in Caiazzo, in quanto era notorio che il Busico era
l’amante della moglie dell’Avezzano, Maria
con esito negativo. Come pure presso l’abitazione di Nicola Farina, Vico Lucarelli 8, in San Andrea del Pizzone che era
stato datore di lavoro di Busico. Il Giudice Istruttore, con sentenza del 5
settembre del 1953, rinviò al giudizio della Corte di Assise entrambi gli
imputati – che continuavano ad accusarsi a vicenda – per rispondere del grave
omicidio.
Fonte: Archivio di Stato di Caserta
30 anni per Elpidio Aprileo
Nel dibattimento il Busico,
discostandosi anche dalle dichiarazioni rese al Giudice Istruttore, ha negato
che il delitto fosse stato ideato e concertato con l’Aprileo prima di portarsi
nel negozio del Marcone e tantomeno durante il periodo natalizio confermando
invece che la uccisione del Marcone si era verificata, ad opera sua soltanto e
senza che egli se ne rendesse conto, nel corso di una colluttazione col Marcone
che mentre era coricato con lui e con l’Aprileo
lo aveva improvvisamente aggredito senza motivo. Egli ha assunto altresì
di aver riferito che la vittima era stata immobilizzata dall’Aprileo solo
perché questi lo aveva accusato di essersi impossessato di buoni postali che
egli invece non aveva toccati. L’Aprileo, dal canto suo, pur insistendo ad onta
dei dinieghi del Busico nello affermare che effettivamente durante le feste di
Natale il Busico gli aveva parlato del suo proposito di sopprimere derubare il Marcone,
ha dichiarato che tuttavia tale idea era stata abbandonata e che la visita al
Marcone la notte sul 1° gennaio era stato solo fatta unicamente per acquistare
delle sigarette.
Egli ha anche chiarito che alla uccisione del Marcone il
Busico aveva provveduto da solo mentre egli dormiva nello stesso letto dove
erano coricati gli altri due. Ha infine affermato di non sapere dei buoni
postali assumendo di aver soltanto sospettato che di essi si fosse impadronito
il Busico che interpellato in proposito lo aveva rassicurato sulla sorte dei
titoli stessi ormai in “buone mani”. Al termine del dibattimento nel corso del
quale era stata respinta la istanza per perizia psichiatrica formulata dai
difensori degli imputati, i procuratori delle parti civili hanno concluso per
la condanna al risarcimento del danno degli imputati medesimi ed al massimo
della pena. Il pubblico ministero dal canto suo ha richiesto la condanna
all’ergastolo per entrambi. Il difensore dell’Aprileo ha concluso per la
condanna dello stesso soltanto in ordine all’articolo 116 codice penale (Qualora il reato commesso sia diverso da
quello voluto da taluno dei concorrenti, anche questi ne risponde, se l’evento
è conseguenza della sua azione od omissione.
IL SEN. AVV. GENEROSO JODICE |
Se il reato commesso è più grave
di quello voluto, la pena è diminuita riguardo a chi volle il reato meno grave)
e subordinatamente al termine all’articolo 114 dello stesso codice, (il giudice, qualora ritenga che l’opera
prestata da talune delle persone che sono concorse nel reato abbia avuto minima
importanza nella preparazione o nell’esecuzione del reato, può diminuire la
pena), con la concessione delle attenuanti generiche. Il difensore del
Busico ha insistito perché lo stesso fosse ritenuto “seminfermo di mente” subordinatamente per la concessione delle
attenuanti generiche. La Corte, in pieno
accoglimento delle doglianze della pubblica accusa, irrogava l’ergastolo per Giovanni Busico e 30 anni per Elpidio
Aprileo per concorso in omicidio premeditato con rapina in danno di Ferdinando Marcone, con le aggravanti
della recidiva specifica, con isolamento per due anni e la pubblicazione della
sentenza sui quotidiani. Una sentenza dura, con una condanna altrettanto dura,
come l’efferato delitto, emessa dalla Corte di Assise di S. Maria C.V. (Presidente
Giovanni Morfino; giudice a latere, Victor Ugo De Donato; pubblico
ministero, Nicola Damiani; giudici
popolari: Domenico Sgambato, Francesco
Cerreto, Pietro Boragine, Michele Izzo, Nicola Caizzo e Giuseppe Caliendo).
L'AVV. GIUSEPPE GAROFALO |
Confermata dai giudici di Appello (22 gennaio 1958) e dalla Suprema Corte di
Cassazione (28 febbraio 1960). Nel corso
dei tre giudizi si alternarono sui banchi della difesa e della parte civile gli
avvocati: Antonio e Federico Simoncelli,
Vittorio Lucarelli, Giuseppe Irace, Giuseppe Marrocco, Giuseppe Garofalo,
Antonio Giordano e Generoso Iodice.
Fonte:
Archivio di Stato di Caserta
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