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domenica 12 giugno 2016

Violante: "attenti, siamo passati dalla società civile alla società giudiziaria"

di Giorgio Varano



Il Dubbio, 11 giugno 2016

C'è un valore che la giustizia, la giustizia penale di un Paese civile, deve avere a cuore almeno quanto la parità tra accusa e difesa, la presunzione di non colpevolezza e altri pilastri dell'ordinamento: è la "reputazione delle persone". A dirlo è un ex magistrato, ex presidente della Camera e tra le figure che in questi anni più hanno inciso nel dibattito sulla giustizia: Luciano Violante.
Il discorso va in aperto conflitto con altre "priorità" indicate di recente dalla magistratura. A cominciare dall'efficacia delle indagini, soprattutto contro la corruzione, posta per esempio da Piercamillo Davigo a difesa delle intercettazioni nel suo saggio pubblicato sull'ultimo numero di MicroMega. Violante va come al solito contro corrente, o almeno contro le correnti della magistratura, e lo ha fatto per l'ennesima volta a un convegno, organizzato dall'Unione delle Camere Penali Italiane in collaborazione con il Consiglio dell'Ordine degli Avvocati di Patti e con la locale Camera Penale, tenutosi nei giorni scorsi a Capo d'Orlando sulla separazione delle carriere.
La reputazione delle persone, ha detto dunque l'ex presidente della Camera, "è un enorme capitale sociale che può essere distrutto dalle indagini e dal racconto delle stesse, spesso deformato e comunque enfatizzato, anche se poi, a distanza di tempo, si viene assolti". Il racconto, dunque: cioè le indagini ma anche, anzi soprattutto i resoconti che se ne fanno sui media, spesso corredati dalla trascrizione di intercettazioni quasi sempre coperte da segreto. Non è insomma solo l'azione giudiziaria ad incidere negativamente sulla reputazione di un indagato, ma "l'effetto determinato dal risalto fornito alle indagini dai mezzi di informazione.
La sovraesposizione mediatica delle indagini, e la divulgazione di atti spesso coperti dal segreto", ha ricordato Violante, "non influenza solo l'opinione pubblica ma anche il magistrato che deve giudicare. Respingere la richiesta di un pm può diventare difficile per la pressione mediatica esercitata sul giudice, che può essere condizionato nella decisione finale".
È una particolare sfumatura, questa, di una questione molto particolare: la cosiddetta "verginità cognitiva del giudice". Nel momento in cui questa viene meno, non solo si tradisce il principio della formazione della prova nel contraddittorio tra accusa e difesa, ma si mette l magistrato giudicante anche nella condizione di sentirsi obbligato a rispondere all'opinione pubblica piuttosto che a cercare la verità.
"Occorrerebbe separare le carriere di alcuni pubblici ministeri da quelle di alcuni giornalisti perché spesso sono incrociate", è la battuta che Violante ha riproposto al convegno di Capo d'Orlando. "Il moltiplicarsi, ormai inarrestabile, dei processi sui media, costituisce preoccupante conferma del rischio che la giustizia penale sia sempre più virtuale e mediatica, con conseguenze, spesso irreparabili, sulla verginità cognitiva del giudice", ha detto appunto Violante.
Che ha poi rammentato quanto la diffusione di notizie non pertinenti al reato possa coinvolgere persone estranee e distruggere loro la vita: "Il coinvolto, soggetto estraneo ai fatti ma intraneo al processo, è spesso persona nota o conosciuta, che valorizza l'interesse per indagini in molti casi prive, altrimenti, di alcun risalto". Violante ha ancora ricordato come alcuni magistrati si ergano "a tutori morali della nazione", e per questo intendano "attribuire alle indagini un significato etico che queste non possono e non devono avere".
L'ex presidente della Camera ha concluso osservando che, accanto alla società politica e alla società civile, si è creata una terza società, che ha definito "la società giudiziaria", composta da un insieme di cittadini, di esponenti politici, di alcuni settori della magistratura e di alcuni mezzi di informazione che fanno della giustizia penale e della condanna "il punto di verità". Il che rappresenta una insidia, perché la "legittimazione della magistratura dovrebbe risiedere solo nella legge", e non "nella volontà della società giudiziaria". Tanto più che c'è poi "la delegittimazione del magistrato quando questi non risponde alla società giudiziaria".
Violante ha insomma sorpreso persino i presenti al convegno di Capo d'Orlando: i temi in questione sono gli stessi che da tempo solleva, per esempio, l'Unione delle Camere Penali anche con il proprio Osservatorio sull'informazione giudiziaria, e che sui giornali non hanno quasi mai il necessario spazio. O che ne trovano comunque assai meno delle intercettazioni coperte da segreto.


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