GIOVANNI D’ANTUONO
UCCISE VINCENZO BROCCOLI PERCHE’ INSIDIAVA LA GIOVANE MOGLIE
Castelvolturno |
Il delitto accadde a Castelvolturno nel Podere ONC n° 714 il 3 luglio del 1952
interno dell'abitazione |
La vittima circuiva la donna e la minacciava
di morte se non avesse ceduto alle sue bramosie sessuali. L’arma era della
vittima e la donna lo aveva disarmato nell’ennesimo tentativo di stupro poco
prima del delitto avvenuto nella sua camera da letto. Delitto d’onore?
la trebbiatura |
Verso le 17:00 del 3 luglio del
1952 i carabinieri di Castelvolturno avevano notizie tramite tale Eugenio
Di Bello che il contadino Giovanni D’Antuono
di anni 21 aveva esploso vari colpi di pistola per motivi d’onore contro il giovane
Vincenzo Broccoli uccidendolo sul colpo. I familiari del D’Antuono,
presenti sul posto e più tardi altri
testimoni oculari oltre al Di Bello (Armando
Marciaello, Pietro Liberatore,
Giovanni Manica) confermarono che ad uccidere il Broccoli era stato il
D’Antuono, datosi subito alla latitanza. La moglie di questi, Carmela Vigliotti, peraltro consegnava ai
verbalizzanti l’arma omicida, una grossa pistola tedesca calibro nove, che
aveva in canna solo una pallottola non
esplosa. Riferiva la donna che il Broccoli l’aveva da tempo circuito della corte assidua
giungendo fino a minacciarla di morte se non avesse aderito al suo insano
desiderio. Per essere lasciata in pace lei aveva convinto il
marito a trasferirsi da Mondragone
ove i coniugi abitavano con la loro
bambina, nel podere del suocero in
Castelvolturno adducendo a pretesto che il genitore aveva bisogno di aiuto
durante i lavori di trebbiatura. Il suo allontanamento, però, non era valso a
scoraggiare il Broccoli il quale la mattina del 28 giugno l’aveva raggiunta in
campagna rinnovando le sue profferte d’amore; alla sua ripulsa le aveva puntato
contro una grossa pistola dichiarando che si sarebbe dovuta preparare seguirlo non potendolo più
sfuggire. Per questo fatto, che pure aveva celato al marito, la Vigliotti aveva
sporto una denuncia ai carabinieri di Castel Volturno dove si era recata il
giorno stesso dell’accaduto insieme al suocero. Riferiva infine la donna che
verso le 12:00 del giorno dell’omicidio il Broccoli si era portato addirittura
nella masseria accompagnato da tali
Armando Marciello e Pietro Libertone
intrattenendosi poi insieme ad essi a
colazione col marito. Essa, col pretesto
di una indisposizione s’era invece trattenuta nella sua camera da letto. Verso
le 16 il Broccoli s’era però introdotto nella stanza cercando di baciarla
ricorrendo alla violenza. Insorta una
breve colluttazione s’era accorta che l’altro portava al fianco una grossa pistola per cui l’aveva persuaso a
consegnargliela ed allontanarsi subito temendo l’arrivo del marito.
Quest’ultimo, infatti, la sorprendeva
mentre cercava di nascondere l’arma. Essa era stata così costretta a informarlo
sommariamente dell’accaduto spiegandogli che il giovane la circuiva da tempo.
Il D’Antuono allora si era fatto consegnare la pistola con la quale, quasi
subito dopo, aveva esploso contro il Broccoli tre colpi.
il cadavere con curiosi |
Nel darsi alla fuga il marito le aveva
gridato: “Non vado in galera per ladro ma
ci vado per onore”. L’omicida,
costituitisi ai carabinieri il 7 luglio successivo ammetteva di aver ucciso il Broccoli. Spiegava in
proposito che in precedenza era stato in rapporti di amicizia con lui ma che poi
li aveva troncati allorchè erano giunte al suo orecchio spiacevoli dicerie
circa una presunta tresca fra questi e
sua moglie la quale però non gli aveva dato adito a dubbi sulla sua onestà. Verso
i primi di giugno il Broccoli, passando nei pressi di podere ove egli si
trovava a pascolare le pecore, lo aveva perfino chiamato “cornuto” e gli aveva fatto
un gesto offensivo con le mani per cui egli lo aveva inseguito con un
tridente. Due giorni prima del delitto
l’altro gli aveva proposto la pacificazione e così il giovane accompagnato dal
Marciello e dal Libertone si era recato presso il podere del padre presso il
quale egli si era trasferito presentandogli le sue scuse per le dicerie insorte.
Tutti e quattro avevano quindi fatto colazione insieme ed il Broccoli lo aveva anche
accompagnato con un biroccio ad attingere acqua della fontana distante circa un
chilometro dalla masseria, mentre gli altri due amici si erano allontanati per
proprio conto per vendere fichi nei vicini poderi. Dopo qualche tempo a dire del D’Antuono, era
sorta la nascita di attingere altra acqua per la trebbiatura. Questa volta però
il Broccoli si era rifiutato di accompagnare l’ospite che si era quindi recato
da solo. Al ritorno egli aveva notato l’amico uscire da una porta secondaria
della sua casa colonica per cui indispettito era salito sulla stanza della
moglie trovando questa piangente e sconvolta con una pistola in mano.
Alle sue domande la donna gli aveva risposto: “Quel disgraziato non mi ha voluto lasciare in pace né a Mondragone né qua!”.
Egli si era allora impadronito dell’arma aveva raggiunto il Broccoli - che nel
frattempo si era portato vicino alla trebbia e dopo averlo chiamato per nome gli
aveva esploso, alla distanza di tre o
quattro metri tre colpi di pistola uccidendolo. A seguito del rapporto dei carabinieri di Castelvolturno in data 10 luglio 52, con il
quale i verbalizzanti affermavano che
nulla si era potuto accertare in merito all’asserita tresca fra la Vigliotti il
Broccoli e che tuttavia quest’ultimo, di temperamento violento e dedito al furto, era considerato il Mondragone un libertino, si
procedeva a carico del D’Antuono per omicidio volontario.
schizzo della scena del crimine |
Al giudice istruttore
l’imputato confermava sostanzialmente la dichiarazione fatta ai carabinieri
arricchendola di altri particolari. Precisava infatti di aver intuito che per
il trasferimento proposto dalla moglie nel podere del padre fosse dettata dall’intento
di lei di sottrarsi alle dicerie che si erano propalate in paese; e che egli stesso, dopo pochi giorni dal
trasferimento aveva diffidato il Broccoli il quale aveva avuto l’audacia di presentarsi
in Castelvolturno con la scusa di proporgli la vendita di una partita di fieno
per un suo amico, a non farsi più vedere.
Dopo un paio di giorni da questo episodio il padre aveva osato di dichiarare pubblicamente,
anche in presenza della madre e del fratello, che egli si era mantenuto la moglie, non aveva paura di lui e che la moglie aveva
un neo a fianco sinistro ed una voglia alla natica. Particolare questi ultimi non rispondente alla
verità tanto che il D’Antuono aveva
ritenuto opportuno far accertare il contrario dei suoi genitori e dalle sorelle
facendo denudare in loro presenza la moglie. Siffatte circostanze venivano ben vero ritrattate
dallo stesso imputato a seguito di un confronto col padre che assumeva di non
aver mai parlato con il Broccoli e che la nuora era stata sottoposta a
ricognizione solo tramite la moglie del brigadiere dei carabinieri verbalizzante
essendosi propalata la voce che l’ucciso - per vanteria - aveva confidato che la Vigliotti aveva quei
segni caratteristici. Aggiungeva peraltro l’imputato che la sera stessa in cui
aveva intimato al Broccoli di non farsi
più vedere che l’altro si era invece ritornato
insieme a certo Achille Misuriniello (identificato poi per Achille D’Agostino) e gli
aveva gridato in faccia che “egli si era
mantenuta la moglie, che era meglio che lui la lasciasse perché l’avrebbe preso con sé”. Proprio
in quella occasione, a detta del D’Antuono – l’altro lo avrebbe chiamarlo “cornuto e scornacchiato “ e gli fece
gesti ingiuriosi, per cui egli si diede
a inseguirlo con la bicicletta armato di tridente. Precisava infine che quando
aveva raggiunto il Broccoli, vicino alla
trebbia tenendo con la pistola nascosta dietro la schiena con la
mano destra il giovane aveva esclamato.
mandato di cattura |
“Che
devi fare con questa pistola? la sapessi almeno maneggiare, me te la piglio e
te l’appendo in ganna”.Per il che
egli aveva subito esplosi i colpi mortali e si era
dato quindi alla fuga gridando che sarebbe “andato
in galera per onore”. Agli atti veniva allegato il rapporto del 2 luglio
del 1952 degli stessi carabinieri di Castelvolturno che rifletteva la denuncia
sporta dalla Carmela Vigliotti il 28 giugno procedente a carico del Broccoli
per l’episodio della minaccia subita. I verbalizzati chiarivano inoltre di non aver
potuto svolgere alcune indagini proposte per la mancanza di testimoni all’incidente
denunziato dalla donna. La perizia necroscopica accertava che la morte era
stata causata da lesione degli organi interni (cuore, polmone, intestino) da una serie di colpi di arma da fuoco esplosi
a breve distanza all’altezza del torace e all’addome. Espletata l’istruttore
nel corso della quale venivano escussi numerosi testi indicati dal difensore
dell’imputato e dai familiari della vittima, i quali deponevano su precedenti
episodi, il D’Antuono veniva rinviato al giudizio della Corte di Assise di
Santa Maria Capua Vetere per rispondere di omicidio volontario.
Fonte:
Archivio di Stato di Caserta
Avv. Giovanni Leone |
La
condanna per Giovanni D’Antuono fu mite: 8 anni in prima battuta e 6 in Appello.
Fu ritenuto un delitto d’onore.
La
Corte di Assise di Santa Maria Capua Vetere, (Presidente, Giovanni Morfino; giudice a latere, Victor Ugo De Donato; pubblico ministero Nicola Damiani), sentenza del 3 febbraio del 1955, che giudicava Giovanni D’Antuono da Castelforte, arrestato il 7 luglio del 1952, accusato
di omicidio volontario in danno di Vincenzo
Broccoli, con la concessione delle attenuanti generiche e la provocazione, nonché
del motivo di particolare valore morale e sociale condannava l’imputato ad 8
anni di reclusione. I giudici rilevarono “che la prima confessione del D’Antuono in ordine alla uccisione del Broccoli
e la sua specifica incolpazione da parte di tutti i testimoni (Pietro Libertone, Armando Marciello, Giovanni
Manica, Eugenio Di Bello) rendono
affatto ovvia la responsabilità dell’imputato per quanto attiene al delitto di
omicidio, non potendo sorgere peraltro dubbio alcuno sulle intenzioni omicide
del reo nel momento in cui ebbe ad esplodere contro la vittima i colpi di pistola che ne
provocarono la morte. Il mezzo adoperato - una grossa pistola da guerra tedesca calibro
nove - la reiterazione dei colpi e la zona vitale del corpo preso di mira (torace
ed addome), per giunta, da breve distanza (tre o quattro metri), costituiscono
nella loro evidenza obiettiva, accertata anche tramite i periti autoptici
un’esauriente prova che in effetti il D’Antuono volle determinare la morte del
Broccoli. Ed invero in questo primo
punto dell’indagine nessuna questione poteva sorgere alla stregua delle risultanze processuali le
quali offrono invece il campo ad un esame non meno complesso ed importante: quello
cioè relativo alla imputabilità del reo essendo precipuo obbligo del giudice di
aver riguardo a tutte le circostanze di fatto, anche anteriori alla fattispecie
criminosa, che si inseriscono nella dinamica del delitto; ai motivi
determinarono ad ogni altro elemento relativa alla personalità del colpevole e
dell’ambiente e che valgono a conferire al delitto stesso il peculiare
carattere che lo sopradistingue fra gli altri fenomeni giuridici per l’aspetto
profondamente individuale che deve essere considerato.
Avv. Antonio Simoncelli |
Deve ritenersi inoltre
per certo che il Broccoli ebbe a circuire per lungo tempo la giovane moglie del
D’Antuono e che si adoperò in tutti i
modi per goderne i favori. Siffatto convincimento non soltanto lo si può
dedurre dalle dichiarazioni della donna e dal marito ma trova conforto nella
parola di tutti i testimoni che sono
stati escussi sull’argomento; mentre
peraltro nessun diverso motivo di rancore fra l’uccisore e la vittima traspare
dagli atti. Ed in realtà se un divario esiste in proposto tra le varie
deposizioni, esso non riflette il comportamento del Broccoli nei confronti
della Vigliotti bensì la circostanza,
negata dall’imputato e dalla di lui moglie e da qualche altro teste che la
donna avesse ceduto allo insano desiderio del giovane. Di certo le affermazioni
della Vigliotti non possono ritenersi di piena attendibilità apparendo
pressoché assurdo - in circostanze del genere - che una donna ammette la propria infedeltà
coniugale per l’inevitabile disdoro che
le deriverebbe specie in un piccolo paese”. La Corte di Assise di Appello, in data 25 febbraio del 1965 - in parziale riforma della sentenza – riduceva
la pena a 6 anni di reclusione. Nel processo, ritenuto un delitto d’onore,
furono impegnati gli avvocati Ettore Botti,
Giovanni Leone e Antonio Simoncelli.
il fiume |
Fonte:
Archivio di Stato di Caserta
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