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sabato 9 luglio 2016


UCCISE LO ZIO E FERI’ UN PASSANTE
IL GIORNO DI NATALE



IL DELITTO ACCADDE IN VIA CASOLLA
 IN GRICIGNANO D’AVERSA
 IL 25 DICEMBRE DEL 1952
La vittima fuori la sua abitazione 


Arturo Della Gatta, 26 enne colpì a morte con tre colpi di pistola lo zio paterno Graziano Della Gatta, di 63 anni e ferì il passante Nicola Di Foggia, di 46 anni – alla base del delitto dissapori familiari per un terreno in comune. Ordinata dal tribunale lo scioglimento della comunione al Graziano, si fecero pervenire sinistre minacce di morte  

 Gricignano d’Aversa – Il 25 dicembre del 1952 in via Casolla di Gricignano  Arturo Della Gatta di anni 26, manovale, esplodeva vari colpi di pistola contro lo zio paterno Graziano Della Gatta di 63 anni, da Gricignano,  cagionandone la morte. Uno dei colpi esplosi dall’omicida raggiungeva “per aberratio ictus”, il contadino Nicola Di Foggia di anni 46 che transitava in quella adiacenze producendogli  di una lesione al ginocchio. L’omicida si allontanava quindi dal luogo del delitto rendendosi irreperibile. Informato del fatto e i carabinieri della stazione di Cesa si portavano  sul posto per i primi accertamenti. Rinvenivano il cadavere all’altezza dell’edificio contrassegnato con numero 31, sul marciapiede che corre lungo quel lato della strada. Testimoni dell’aggressione risultarono Maria Ruffo, di anni 21 e Teresa Romano,  di anni 43.  La prima riferiva che accompagnandosi per un tratto di strada al Graziano Della Gatta, essendosi girata fortunatamente a guardare alle proprie spalle avevano notato il giovane. Costui seguendo dapprima lo zio ad un certo momento estrasse la pistola ed esplose un paio di colpi. Il Graziano si girò per rendersi conto di quanto accadeva; l’altro continuò a sparare colpendo la vittima al colle al torace. L’aggressione fu improvvisa  e tra le parti non  vi fu alcuno scambio di parola. La Teresa Romano confermava le dichiarazioni della Ruffo, aggiungendo che Arturo Della Gatta, nell’atto di esplodere i colpi si curvò alquanto come per meglio inquadrare il bersaglio.


 Il ferito Nicola Di Foggia, vittima a sua volta della brutale aggressione, dichiarò di non aver potuto fissare alcun particolare dell’azione che giunse assolutamente di sorpresa. Escluse comunque che tra la vittima e l’aggressore vi fosse stato scambio di frasi. In relazione al movente  criminoso i carabinieri accertavano che tra il  Graziano Della Gatta ed il fratello di costui Salvatore Della Gatta, padre dell’omicida, da tempo vi era un aperto  contrasto con complicazioni giudiziarie per avere il Salvatore ritenuto, per l’intera estensione, un appezzamento di terreno, acquistato in comune dai predetti germani Graziano e Salvatore nella rispettiva misura di 4/5 ed 1/5. 


Inutilmente il Graziano aveva per anni richiesto, in conformità del titolo,  la cessione dei 4/5 spettantigli. L’altro aveva in mille guise resistito alla rivendicazione del fratello, opponendo alle istanze legali di costui temerarie azioni dilatorie. Quando alla fine, ordinata dal tribunale lo scioglimento della comunione -  in conformità del progetto di divisione redatto dal consulente tecnico -  la lite volgeva al termine, favorevolmente al Graziano,  a costui si fecero pervenire sinistre minacce di morte, da parte del Salvatore e dei suoi congiunti per distoglierlo dalla presa di posizione del terreno di sua pertinenza. Sulla scorta infatti  di un esposto inoltrato ai carabinieri la sera stessa del fatto dalla vedova dell’ucciso Erminia Petrarca i carabinieri interrogarono una sorella dell’ucciso Giovannina Della Gatta maritata Brandi e certo Gennaro Russo i quali concordemente riferivano che circa due mesi prima del delitto Eufrasia Orabona, vedova di altro  fratello della vittima,  Luigi Della Gatta, si era portata in casa del Graziano alla presenza dei predetti Giovannina Della Gatta e Gennaro Russo aveva avvertito il Graziano  di tentare comunque  un accordo con Salvatore perché costui ed i di suoi familiari avevano deciso di ucciderlo ove  esso Graziano si fosse messo nel  possesso del fondo conteso come ella stessa aveva sentito pochi minuti prima. Il Graziano aveva allora replicato: ”Come mi uccidono se il fondo è mio?”. Eufrasia Orabona, pur ammettendo d’essersi recata in casa del Graziano, nelle circostanze di tempo indicato dalla Giovannina Della Gatta e dal Russo, che ella trovò presso il cognato, negava di aver udito in casa di Salvatore Della Gatta discorsi denuncianti propositi omicidi in relazione al cedendo possesso del fondo in contestazione, ed assumeva di avere di propria iniziativa suggerita al Graziano una intesa col fratello Salvatore, essenzialmente in funzione della necessità di una pacificazione pur doverosa tra fratelli. Altro tentativo di distensione dei rapporti tra i due fratelli era stato fatto da tal Nicola Giardelli per incarico di Salvatore Della Gatta,  ma le  trattative e non raggiunsero alcun risultato perché ciascuno degli interessati restò fermo sulle rispettive posizioni. Nel giugno di quello stesso anno 1952 in occasione di altra procedura di immissione in possesso del fondo in oggetto a beneficio del Graziano Della Gatta, i carabinieri rinvennero un fucile da caccia di sicura pertinenza di Salvatore celato in una siepe la cui esistenza in quel posto stava a denotare l’ostinato orientamento al delitto di quest’ultimo che mal tollerava il legittimo distacco dalla quota spettante al Graziano sull’appezzamento acquistato. Il 22 dicembre del 1952, e cioè tre giorni prima del delitto, vi era stata definitiva immissione del Graziano nel possesso del fondo. Tre giorni dopo si verificò il delitto. Delineandosi, in concorso di altri elementi indicativi di uno stato d’animo ostile in tutti i componenti la famiglia di Salvatore Della Gatta una compartecipazione delittuosa del fatto ascritta ad Arturo Della Gatta  - i carabinieri  denunciavano al magistrato costui,  i genitori ed i fratelli Guido e Pietro conventi segnalando tra l’altro che era opinione comune in Gricignano  che l’azione dell’Arturo era esecutiva di un disegno maturato in combutta con i suoi congiunti. Iniziatosi procedimento penale – Arturo Della Gatta tratto nell’intervallo in arresto - dichiarava a sua discolpa che la mattina del 25 dicembre si imbatté nello zio il quale, alludendo all’immissione in possesso effettuata in suo favore il 22 precedente, schernevolmente gli disse: ”Guagliò, maggio pigliato la terra e mò ci vado a seminare. Tu invece vai a seminare nfaccio o cazzo”.  Egli non  rispose e proseguì nel suo cammino. 


Ma l’altro incalzò, gli pose una mano sulla spalla e gli mostrò oscenamente il settore dei pantaloni in corrispondenza dei genitali. A tale gesto egli estrasse la pistola ed esplose più colpi. Il giovane dichiarava quindi prevenuto di avere agito esclusivamente sotto la spinta di quell’ultimo episodio, avendo egli sempre ignorato il dissidio che divideva il padre dal fratello Graziano. In successivi interrogatori aggiungeva che Graziano dopo quel gesto osceno portò la mano alla tasca del cappotto come per estrarne un’arma. Gli altri imputati proclamavano la loro innocenza asserendo di non aver mai divisato di fare ricorso al delitto come rimedio alla situazione creatasi nei rapporti con Graziano in relazione all’appezzamento di terreno. Il Salvatore anzi assumeva di aver definito bonariamente la contessa cedendo il possesso del terreno con l’intervento dell’ufficiale giudiziario. Il maresciallo dei carabinieri Federico Iannaccone riferiva in aggiunta a quanto contenuto nel rapporto che in sede di rilascio del terreno Salvatore Della Gatta aveva serbato un contegno nei riguardi del fratello tale da far presagire la tragedia; ciò fu riferito dal carabiniere Amedeo Cicchiello appena ritornato in caserma – dopo aver fatto parte della scorta all’ufficiale giudiziario - dicendo  gli il delitto si sarebbe certamente verificato di lì a qualche giorno. Il carabinieri riferiva anche di una minacciosa frase pronunciata dal Salvatore nei confronti del fratello: “Non so se te ne vedrai bene!”.  Ed il Graziano rispose: ”Se ne vedranno bene i miei figlioli”.  L’ufficiale giudiziario della Pretura di Aversa Carlo Santacroce, che procedette alle formalità della immissione in possesso del fondo “Pizzominicone” del Graziano Della Gatta il 22 dicembre del 1952, in conformità di quanto certificato  nel relativo processo verbale, attestava che Salvatore non volle rimuovere una staccionata che impediva il libero accesso nella quota assegnata a Graziano. Al che egli concesse al Salvatore un termine di tre giorni per provvedervi facultando, in difetto, il Graziano a rimuovere personalmente l’ostacolo allo scadere del termine medesimo. Il Salvatore si allontanò senza voler firmare il verbale delle operazioni. Pur mostrandosi nei riguardi dell’ufficiale giudiziario particolarmente ossequioso. Salvatore Della Gatta – riferì ancora l’ufficiale giudiziario -  scambiò col fratello sguardi ostili che  lo indussero a ritenere ormai matura la situazione per un tragico epilogo. L’autopsia del cadavere della vittima era stata effettuati dai periti sammaritani  Emiddio Farina e Michele Sanvitale. Sulla scorta di tali elementi il Giudice Istruttore  Bernardino De Luca dichiarava chiusa la formale istruzione, in difformità delle conclusioni del pubblico ministero, che aveva  richiesto l’assoluzione di Giulia Diretto, Guido Della Gatta  e  Giovanni Della Gatta rinviava tutti gli imputati  dinanzi alla Corte d’Assise di Santa Maria Capua Vetere per rispondere di concorso nel delitto di omicidio premeditato.


La pubblica accusa chiese l’ergastolo per padre e figlio. La Corte  condannò il figlio,  con le attenuanti generiche, ad anni 25 di reclusione e confermò l’ergastolo al padre. Assolti tutti gli altri familiari accusati di concorso morale nel delitto.
L'Avv. giovanni Leone, Presidente della Repubblica in visita a Caserta. In primo piano il sindaco avv. Vincenzo Gallicola e la moglie donna vittoria Michitto 

 Salvatore Della Gatta e Arturo Della Gatta, padre e figlio, furono processati innanzi la Corte di Assise di Santa Maria Capua Vetere (Presidente,  Giovanni Morfino; giudice a latere, Victor Ugo De Donato; Pubblico Ministero, Nicola Damiani) per rispondere  Arturo, dell’omicidio dello zio  Graziano Della Gatta,  con “aberratio ictus”  in pregiudizio di Nicola Di Foggia, e Salvatore, colpevole di concorso nel delitto di omicidio ascritto al figlio. In dibattimento Arturo Della Gatta confermò la sua tesi secondo la quale il giorno di Natale mentre andava a messa incontrò lo zio che alla sue spalle gridò “Guagliò maggio pigliato a terra e mò ce vaco a semmenà  o grano, tu invece  vai a semminà nfaccio o cazzo”… poi si voltò ed ebbe l’impressione che lo zio mettesse la mano in tasca per estrarre una pistola e lui fece fuoco ripetutamente tre o quattro volte, ma precisò che non aveva intenzione di uccidere lo zio. Il padre Salvatore Della Gatta dal canto suo  (accusato di concorso morale) si protestò innocente e chiarì che aveva appreso che l’omicidio era stato  commesso dal figlio dal maresciallo dei carabinieri;  che lui era a letto perché malato. Che non era ero affatto vero che in famiglia si era concertata la morte del fratello  e che si era dato incarico al giovane Arturo. Tutti gli altri familiari – accusati di concorso morale -  si protestarono innocenti. La  richiesta della pubblica accusa fu di ergastolo per entrambi. Dopo le arringhe degli avvocati: Antonio Simoncelli, Luciano Numeroso, Ciro Maffuccini, Francesco Lugnano e Giovanni Leone, la Corte – dopo cinque ore di camera di consiglio -  condannò il padre all’ergastolo ed il figlio, al quale fu  riconosciuta la scriminante delle attenuanti generiche a 25 anni di reclusione. 

Sen. Avv. Francesco Lugnano 

Con la stessa sentenza la Corte assolse, per insufficienza di prove  Giulia Diretto, Guido e Pietro Della Gatta dal concorso nell’odioso delitto. In effetti la Corte ritenne “il delitto ordito  nell’ambito familiare e l’esecuzione fulminea del giovane venne confermata dai testi oculari. Il destino del Graziano – scrissero i giudici nella loro motivazione – si compì allo scadere del termine concesso dall’ufficiale giudiziario al Salvatore per rimuovere la staccionata, ultimo simbolo del dominio di lui sul terreno conteso. Nel terzo giorno del compimento della formalità della procedura, il Graziano – autorizzato a svellare quei paletti – avrebbe di fatto preso possesso del fondo; possesso compromesso dall’esistenza di quell’ostacolo. La promessa si adempiva  nei suoi termini ripetutamente annunziati. Il Graziano sarebbe caduto nel momento in cui quel possesso si sarebbe trasferito. In questo unisono parallelismo – che corre tra la minaccia della vigilia e la spietata  esecuzione – è un altro eloquente sintomo dell’appartenenza del delitto al Salvatore, la cui responsabilità risulta aggravata dal fatto che oltre ad essere l’ideatore ed il propugnatore di quell’obliqua vendetta, egli conseguì il pravo intento attraverso l’opera del figliuolo contaminato dal suo odio e spinto alla perdizione per un basso di personale tornaconto”.



Fonte: Archivio di Stato di Caserta 

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