UN CALZOLAIO DOPO AVER SCONTATO UNA CONDANNA PER OMICIDIO DIVENTATO
CIECO IN MANICOMIO UCCISE LA MOGLIE
PER GELOSIA.
FABIO MASSIMO N°18 A MADDALONI IL 26
LA SERA DI SANTO STEFANO NEL NATALE 1953
Lui era cieco,
violento e ubriacone, con tre figli, la moglie malata e quasi cieca fu
accoltellata ma morì per emorragia anche
perché fu ricoverata in ospedale dopo molte ore.
Maddaloni - Nella mia lunga milizia di cronista (da quasi 50
anni frequento i postriboli giudiziari) nel corso della quale mi sono capitati
delitti con i più strani ed a volte fantastici episodi questo, di oggi, è
veramente singolare per non dire unico. Un uomo, che ha già commesso un
delitto, condannato al manicomio criminale, divenuto nel frattempo cieco, uccide
poi la moglie a coltellate per motivi di gelosia; rinviato a giudizio per “uxoricidio” muore nelle carceri prima di
essere giudicato. Ma veniamo alla storia. Il 26 dicembre del 1953 i carabinieri
di Maddaloni con apposito fonogramma segnalavano all’A.G. che alle ore 18 di
quel giorno Sebastiano Pengue, di
anni 66, nella sua abitante di via Fabio Massimo, 18 aveva accoltellato la
moglie Maria Cotugno di anni 61,
presunti motivi di gelosia riducendola in fin di vita. La donna, prontamente
ricoverata i Ospedale cessava di vivere intorno alle 22. Il Pengue,
pregiudicato, già autore di un efferato delitto fu arrestato subito e gli
furono sequestrati acuminati coltelli. Nel
primo interrogatorio, reso al comandante della Stazione Mar. Giuseppe Palumbo, con l’assistenza del
Brig. Enrico Paradiso e degli
appuntati Luigi Savino e Antonio Varria, il Pengue dichiarò. “Ieri
sera mi trovavo nella mia abitazione unitamente a mia moglie siccome la cena
non era ancora pronta venni a diverbio con la stessa. Nel mentre questionavamo,
mia moglie si è portata fuori dall’abitazione dicendo che sarebbe andata dai
carabinieri a riferire il fatto. Poco dopo sono venuti i carabinieri e mi hanno
accompagnato in questa caserma. Per quando riguarda le ferite riportate da mia
moglie Maria Cotugno ritengo che se le abbia prodotte lei stessa. In precedenza
tra me e mia moglie sono successe sempre delle liti dovute allo stato di
miseria che regna nella nostra famiglia.” Una chiosa del maresciallo: “Il
presente non viene sottoscritto dal dichiarante perché cieco”. Le prime
testimonianze chiarivano il movente: una gelosia fondata sul presupposto che la
donna, madre di tre figli, gia nonna, avesse un amante.
La
vicina di casa Giuseppina Della Valle
dichiarò ai carabinieri: “Mentre cercavo di soccorrere la Cutugno è uscito dall’abitazione il
marito Sebastiano e dato che io avevo paura che questo si potesse avventare
contro di me un po' sollevandolo un po' trascinandola cercavo di portare la
Cutugno sulla strada. Nel mentre facevo
questo poiché vicino abitava un figlio abbiamo accompagnato la stessa all’abitazione
del figlio. Tra il Pengue e la Cutugno
si verificavano continuamente dei bisticci, la ragione era da ricercarsi nel
fatto che il vecchio riteneva che la moglie gli fosse infedele; questa cosa è impossibile,
sia per l’età della donna e sia dalle sue
condizioni fisiche. Io sono intervenuta per far da paciere in altre questioni
verificate tra i due. Il vecchio si è
sempre dimostrato un tipo violento e mi minacciava persino”.
Stesso motivo fu dedotto dall’altra
vicina Maria Lombardi la quale
confermò per filo e per segno quanto già a conoscenza dai carabinieri ma volle
aggiungere: “Io abito vicino alla Cotugno
da circa 15 anni e le liti con il
marito erano continue. Altre volte il Pengue ha percosso la moglie e
sempre minacciava che la doveva
uccidere. L’origine delle liti era dovuta al fatto che il vecchio si era
fissato che la moglie lo tradiva. Questo è impossibile in quanto la Cutugno non
solo era una donna onesta ma poi per le sue condizioni fisiche era impossibile.
Il Pengue è proprio di istinto malvagio;
egli anche se io e altri vicini
intervenivano per le liti che avvenivano, questo non faceva altro che offenderci e
minacciarci”. La nuora della vittima
Carmela Moia, di anni 22, sposata
con il figlio dell’assassino Francesco
Pengue, ricostruì i momenti drammatici della tragedia:
“Verso
le ore le 19 circa io ero al letto unitamente a mia madre Antonietta Carangelo quando vennero le mie vicine di abitazioni Maria e Peppina che portando fra le braccia la madre di mio marito che era tutta insanguinata mi riferivano di
averla tolta da sotto al vecchio che l’aveva accoltellata. Subito ho provveduto
ad adagiare mia suocera sul letto poco dopo sono sopraggiunti i vicini che
hanno provveduto ad avvertire i fratelli di mio marito (assenti perché andati
al cinema) che poi hanno avvertito questa caserma dei carabinieri L’origine
della lite va ricercata nel fatto che mio suocero si era fissato che la moglie
cioè mia suocera aveva un’amante cosa questa del tutto impossibile sia per l’età
che per le sue condizioni fisiche;
spesso mio suocero si litigava con la moglie Maria Cotugno altre volte mio suocero ha minacciato la moglie di
accoltellarla anzi preciso una volta dovetti io intervenire per toglierci il coltello che aveva in tasca;
le questioni si verificavano spesso perché cieco dubitava della fedeltà della
moglie”. Il figlio della vittima Francesco
Pengue che non era presente al fatto di sangue però chiarì: “ Ieri sera verso le 21 circa, ero nel locale cinema “Margherita”, quando
un mio amico mi avvisò di portarmi subito a casa mia in quanto mio padre aveva
dato tre o quattro coltellate a mia
madre. Subito mi portai alla mia abitazione trovai mia madre che era distesa sul
letto, alle mie domande rispondeva figlio mio vai a chiamare un medico subito, io volevo recarmi a casa di
mio padre perché ormai ero acceso dall’ira ma le persone presenti me lo
impedirono. Subito mi diedi alla ricerca di un medico ma non fu possibile
trovarne nessuno. Successivamente vista l’impossibilità di rintracciare un
medico mi portai in questa caserma poi unitamente a voi - a mezzo di autovettura
provvedemmo al trasporto presso il locale ospedale civile. Non posso aggiungere
nessun particolare sul come ebbe a verificarsi il grave fatto tra mia madre e
mio padre in quanto io vivo per conto mio essendo sposato. Le liti tra mio
padre e mia madre erano continue sempre mio padre a minacciare mia madre di
morte quando questa gli nascondeva i coltelli che riusciva ad avere tra le mani
e ripeteva sempre la frase” Tu mi nascondi i coltelli ma io sempre ti ucciderò”.
Mio padre era fissato che mia madre lo tradiva. Più volte mio padre ha
minacciato con un coltello mia madre anzi non molto tempo addietro se non erro
era il giorno di Pasqua dell’anno 1950 quando l’ha rincorso con un coltello tra
le mani io mi frapposi ai due e per
disarmarlo mi ferì alla mano destra che tuttora porto i segni. Lui non appena
riusciva ad avere qualche soldo non faceva altro che ubriacarsi”.
Che il Pengue fosse un “beone”, dedito
al vino, bestemmiatore e violento, lo confermano sia Vincenzo
Barletta, figlio dell’oste ubicata nei pressi della casa del delitto, sia
un avventore, tale Aniello Vinciguerra,
anch’egli in quel momento nella osteria di via Fabio Massimo: “Verso le 18 di ieri mi trovavo nell’osteria
ubicata in questa via Fabio Massimo, quando è sopraggiunta una donna tale Maria Lombardi, ed ha chiesto aiuto perché bisognava trasportare
una donna. Io unitamente al figlio dell’oste ci siamo portati sulla strada ed
abbiamo notato una donna anziana che era sorretta da tale Giuseppina Della Valle per le gambe. Unitamente alle due donne
siamo riusciti a portare nell’abitazione del figlio poco distante la ferita che
continuava a dire: “Mi ha uccisa, mi ha uccisa”. Dal canto suo il figlio del gestore dell’osteria, Vincenzo Barletta dal canto suo dichiarò:
“Ero nell’osteria gestita da mio padre ed
ero intento al banco di vendita per distribuire le richieste di vino fatte dai
clienti, quando è sopraggiunta nell’osteria la vicina della nostra casa Maria Lombardi la quale ha chiesto aiuto
in quanto nel vicino cortile si era
verificata una grave lita; subito mi sono portato sulla strada ed ho
notato che sulla strada all’altezza dell’uscita del portone del fabbricato numero 16, una donna aveva tra
le braccia un’altra donna anziana, che io conosco per essere vicini di
abitazione, e cioè la Maria Cutugno.
Poiché la donna non aveva forza sufficiente per reggere sulle braccia la ferita
prestato aiuto. Riusciamo a portare la Cotugno - che non dava segni di vita –
dopo aver chiamato un altro giovane che era nell’osteria e siamo riusciti a
portarla a casa del figlio”. I carabinieri con rapporto del 29 dicembre del
1953 denunciarono il calzolaio assassino per omicidio volontario premeditato e
lo associarono al carcere di Via Tanucci a Caserta. Altri tempi. Come facesse
per i suoi bisogni personali un cieco in un carcere (già appariva strano che da
cieco era riuscito ad uccidere la moglie) non è dato sapere. Forse, a seguire
poi l’epilogo, lui fu veramente punito –
se non dalla giustizia degli uomini – certamente da quella divina che lo
predestinò a morte precoce, solo, senza l’assistenza morale di alcun familiare.
L’ EPILOGO
DELLA VICENDA. ESTINTO IL
REATO PER MORTE DEL REO.
RINVIATO A
GIUDIZIO E POI TRASFERITO NEL CARCERE DI POGGIOREALE FU COLPITO DA ICTUS.
Sebastiano Pengue era un criminale. Si era macchiato di un orrendo
delitto sempre con un coltello a serramanico e sempre in stato di ebrezza per
una storia di donne e di gioco. La Corte di Assise di Santa Maria Capua Vetere
lo aveva infatti già condannato nel 1907, quando aveva soltanto 20 anni, col
beneficio della seminfermità mentale a 7 anni di manicomio criminale. Dopo 46
anni un altro delitto. Un uxoricidio.
L’assassinio della moglie la quale tutto aveva
per la testa (date le sue condizioni di salute) al di fuori di fargli le corna.
L’autopsia del cadavere della povera Maria
Cottugno, eseguita dai periti settori Dott.
Emiddio Farina e Claudio Scapaticci, parla chiaro, la donna è stata colpita in varie
parti del corpo da un acuminato coltello “delle ferite riscontrate tre sono
gravi: una al ventricolo sinistro, che non penetra nella cavità
ventricolare, ma si approfonda in
direzione del muscolo cardiaco. Le altre due al polmone sinistro”. “La morte
della Cotugno – scrissero i medici – fu causata dalla profonda emorragia
avutasi in seguito alle ferite agli organi vitali ( cuore e polmone) con arma
letale da punta e taglio (coltello affilato) il numero dei colpi furono 5 ed il
coltello era lungo ed affilato. Infine ricevette un colpo alle spalle e in
posizione prona”. Lui approfittò quella sera di festa, era Santo Stefano, il
giorno successivo al Natale ed i due figli che vivevano con lui erano
andati al cinema. Rinviato a giudizio – dopo la chiusura della formale
istruttoria – il Giudice Dr. Bernardino
De Luca, con sentenza del 16 luglio 1954, su conforme richiesta del pubblico ministero, per omicidio
volontario premeditato (con i precedenti che si ritrovava era anche
pregiudicato per furto e lesioni) avrebbe certamente subito una condanna
all’ergastolo. Ma dopo un anno dal
delitto, dal carcere di Santa Maria Capua Vetere fu tradotto a quello di
Poggioreale e ricoverato in infermeria per cataratta e emorroidi. Il sanitario
del carcere napoletano Dr. Gennaro Pinnarò
descrisse all’A.G. la sua preoccupazione paventando un urgente trasferimento in
struttura idonea. “Il detenuto da
diversi giorni si trova in questa infermeria. In un primo tempo presentava
scompenso cardiaco con edemi agli arti inferiori, stasi epatica aritmia. Dopo
qualche giorno è stato colpito da ictus cerebrale con emiplegia sinistra e le
sue condizioni si sono aggravate. Sono state praticate le cure del caso e nei
giorni scorsi era alquanto migliorato. Poiché le sue condizioni si sono
nuovamente aggravate ritengo necessario che il detenuto sia ricoverato di
urgenza con autoambulanza e accompagnato da un agente nell’Ospedale Loreto per
essere sottoposto ad accertamenti e cure che qui non è possibile praticare”. Il
tragico epilogo di una orribile vicenda che ha attraversato momenti da
tregenda. Il tre settembre del 1954 il Pengue cessò di vivere nell’ospedale
Loreto.
Il pubblico ministero che aveva seguito
il processo presentò un’istanza alla Corte di Assise che visti gli atti processuali
a carico di Sebastiano Pengue, rinviato
a giudizio della Corte di Assise di Santa Maria Capua Vetere con sentenza del giudice istruttore in data 16
luglio del 1954, per il reato di
omicidio premeditato per avere mediante più colpi di arma da punta e taglio
volontariamente con premeditazione cagionato la morte della moglie Maria Cotugno. Reato avvenuto in
Maddaloni il 26 dicembre del 53. Visto il certificato di morte del municipio di
Maddaloni dal quale risulta che il giorno 3 settembre 54 morì in Napoli all’età
di anni 67 Sebastiano Pengue chiedo alla Corte di Assise - riunita in camera di
consiglio - di dichiarare estinto il reato per la morte dell’imputato avvenuta
prima della condanna. Il collegio della Corte di Assise dichiarò con sentenza “non
doversi provvedere contro il Sebastiano Pengue in ordine al reato di omicidio
premeditato in danno della moglie perché
“estinto il reato per morte del reo”.
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