Translate

domenica 25 settembre 2016




UN CALZOLAIO DOPO AVER  SCONTATO UNA CONDANNA PER OMICIDIO  DIVENTATO  CIECO IN MANICOMIO  UCCISE LA MOGLIE PER GELOSIA.
 
IL SEGNO INDICA IL LUOGO DOVE FU COMMESSO IL DELITTO 
 IL DELITTO ACCADDE NELL’ABITAZIONE DI VIA 

FABIO MASSIMO N°18 A MADDALONI IL 26 

  LA SERA DI SANTO STEFANO NEL NATALE 1953



Lui  era cieco, violento e ubriacone, con tre figli, la moglie malata e quasi cieca fu accoltellata ma morì  per emorragia anche perché fu ricoverata in ospedale dopo molte ore.


 
LA MICIDIALE ARMA DEL DELITTO 



Maddaloni - Nella mia lunga milizia di cronista (da quasi 50 anni frequento i postriboli giudiziari) nel corso della quale mi sono capitati delitti con i più strani ed a volte fantastici episodi questo, di oggi, è veramente singolare per non dire unico. Un uomo, che ha già commesso un delitto, condannato al manicomio criminale, divenuto nel frattempo cieco, uccide poi la moglie a coltellate per motivi di gelosia; rinviato a giudizio per  “uxoricidio” muore nelle carceri prima di essere giudicato. Ma veniamo alla storia. Il 26 dicembre del 1953 i carabinieri di Maddaloni con apposito fonogramma segnalavano all’A.G. che alle ore 18 di quel giorno Sebastiano Pengue, di anni 66, nella sua abitante di via Fabio Massimo, 18 aveva accoltellato la moglie Maria Cotugno di anni 61, presunti motivi di gelosia riducendola in fin di vita. La donna, prontamente ricoverata i Ospedale cessava di vivere intorno alle 22. Il Pengue, pregiudicato, già autore di un efferato delitto fu arrestato subito e gli furono sequestrati acuminati coltelli.  Nel primo interrogatorio, reso al comandante della Stazione Mar. Giuseppe Palumbo, con l’assistenza del Brig. Enrico Paradiso e degli appuntati Luigi Savino e Antonio Varria, il Pengue dichiarò. “Ieri sera mi trovavo nella mia abitazione unitamente a mia moglie siccome la cena non era ancora pronta venni a diverbio con la stessa. Nel mentre questionavamo, mia moglie si è portata fuori dall’abitazione dicendo che sarebbe andata dai carabinieri a riferire il fatto. Poco dopo sono venuti i carabinieri e mi hanno accompagnato in questa caserma. Per quando riguarda le ferite riportate da mia moglie Maria Cotugno ritengo che se le abbia prodotte lei stessa. In precedenza tra me e mia moglie sono successe sempre delle liti dovute allo stato di miseria che regna nella nostra famiglia.” Una chiosa del maresciallo: “Il presente non viene sottoscritto dal dichiarante perché cieco”. Le prime testimonianze chiarivano il movente: una gelosia fondata sul presupposto che la donna, madre di tre figli, gia nonna, avesse un amante.

La vicina di casa Giuseppina Della Valle  dichiarò ai carabinieri: “Mentre cercavo di soccorrere la Cutugno è uscito dall’abitazione il marito Sebastiano e dato che io avevo paura che questo si potesse avventare contro di me un po' sollevandolo un po' trascinandola cercavo di portare la Cutugno sulla strada.  Nel mentre facevo questo poiché vicino abitava un figlio abbiamo accompagnato la stessa all’abitazione del figlio. Tra il Pengue e  la Cutugno si verificavano continuamente dei bisticci, la ragione era da ricercarsi nel fatto che il vecchio riteneva che la moglie gli fosse infedele; questa cosa è impossibile, sia per l’età della donna  e sia dalle sue condizioni fisiche. Io sono intervenuta per far da paciere in altre questioni verificate tra i due.  Il vecchio si è sempre dimostrato un tipo violento e mi minacciava persino”.

Stesso motivo fu dedotto dall’altra vicina Maria Lombardi la quale confermò per filo e per segno quanto già a conoscenza dai carabinieri ma volle aggiungere: “Io abito vicino alla Cotugno da  circa 15 anni e le liti con il marito  erano continue.  Altre volte il Pengue ha percosso la moglie e sempre  minacciava che la doveva uccidere. L’origine delle liti era dovuta al fatto che il vecchio si era fissato che la moglie lo tradiva. Questo è impossibile in quanto la Cutugno non solo era una donna onesta ma poi per le sue condizioni fisiche era impossibile. Il Pengue  è proprio di istinto malvagio;  egli anche se io e altri vicini intervenivano per le liti che avvenivano,  questo non faceva altro che offenderci e minacciarci”.  La nuora della vittima Carmela Moia, di anni 22, sposata con il figlio dell’assassino Francesco Pengue, ricostruì i momenti drammatici della tragedia:


“Verso le ore le 19 circa io ero al letto unitamente a mia madre Antonietta Carangelo quando vennero le mie vicine di abitazioni Maria e Peppina che portando fra le braccia la madre di mio marito  che era tutta insanguinata mi riferivano di averla tolta da sotto al vecchio che l’aveva accoltellata. Subito ho provveduto ad adagiare mia suocera sul letto poco dopo sono sopraggiunti i vicini che hanno provveduto ad avvertire i fratelli di mio marito (assenti perché andati al cinema) che poi hanno avvertito questa caserma dei carabinieri L’origine della lite va ricercata nel fatto che mio suocero si era fissato che la moglie cioè mia suocera aveva un’amante cosa questa del tutto impossibile sia per l’età che per le sue condizioni fisiche;  spesso mio suocero si litigava con la moglie Maria Cotugno altre volte mio suocero ha minacciato la moglie di accoltellarla anzi preciso una volta dovetti io intervenire  per toglierci il coltello che aveva in tasca; le questioni si verificavano spesso perché cieco dubitava della fedeltà della moglie”. Il figlio della vittima Francesco Pengue che non era presente al fatto di sangue  però chiarì: “ Ieri sera verso le 21 circa, ero nel locale cinema “Margherita”, quando un mio amico mi avvisò di portarmi subito a casa mia in quanto mio padre aveva dato tre o quattro coltellate  a mia madre. Subito mi portai alla mia abitazione trovai mia madre che era distesa sul letto, alle mie domande rispondeva figlio mio vai a chiamare  un medico subito, io volevo recarmi a casa di mio padre perché ormai ero acceso dall’ira ma le persone presenti me lo impedirono. Subito mi diedi alla ricerca di un medico ma non fu possibile trovarne nessuno. Successivamente vista l’impossibilità di rintracciare un medico mi portai in questa caserma poi unitamente a voi - a mezzo di autovettura provvedemmo al trasporto presso il locale ospedale civile. Non posso aggiungere nessun particolare sul come ebbe a verificarsi il grave fatto tra mia madre e mio padre in quanto io vivo per conto mio essendo sposato. Le liti tra mio padre e mia madre erano continue sempre mio padre a minacciare mia madre di morte quando questa gli nascondeva i coltelli che riusciva ad avere tra le mani e ripeteva sempre la frase” Tu mi nascondi i coltelli ma io sempre ti ucciderò”. Mio padre era fissato che mia madre lo tradiva. Più volte mio padre ha minacciato con un coltello mia madre anzi non molto tempo addietro se non erro era il giorno di Pasqua dell’anno 1950 quando l’ha rincorso con un coltello tra le mani io mi frapposi ai due  e per disarmarlo mi ferì alla mano destra che tuttora porto i segni. Lui non appena riusciva ad avere qualche soldo non faceva altro che ubriacarsi”.



Che il Pengue fosse un “beone”, dedito al vino, bestemmiatore e violento, lo confermano sia  Vincenzo Barletta, figlio dell’oste ubicata nei pressi della casa del delitto, sia un avventore, tale Aniello Vinciguerra, anch’egli in quel momento nella osteria di via Fabio Massimo: “Verso le 18 di ieri mi trovavo nell’osteria ubicata in questa via Fabio Massimo, quando è sopraggiunta una donna tale Maria Lombardi, ed ha  chiesto aiuto perché bisognava trasportare una donna. Io unitamente al figlio dell’oste ci siamo portati sulla strada ed abbiamo notato una donna anziana che era sorretta da tale Giuseppina Della Valle per le gambe. Unitamente alle due donne siamo riusciti a portare nell’abitazione del figlio poco distante la ferita che continuava a dire: “Mi ha uccisa, mi ha uccisa”.  Dal canto suo il  figlio del gestore dell’osteria, Vincenzo Barletta dal canto suo dichiarò: “Ero nell’osteria gestita da mio padre ed ero intento al banco di vendita per distribuire le richieste di vino fatte dai clienti, quando è sopraggiunta nell’osteria la vicina della nostra casa Maria Lombardi la quale ha chiesto aiuto in quanto nel vicino cortile si era  verificata una grave lita; subito mi sono portato sulla strada ed ho notato che sulla strada all’altezza dell’uscita del portone  del fabbricato numero 16, una donna aveva tra le braccia un’altra donna anziana, che io conosco per essere vicini di abitazione, e cioè la Maria Cutugno. Poiché la donna non aveva forza sufficiente per reggere sulle braccia la ferita prestato aiuto. Riusciamo a portare la Cotugno - che non dava segni di vita – dopo aver chiamato un altro giovane che era nell’osteria e siamo riusciti a portarla a casa del figlio”. I carabinieri con rapporto del 29 dicembre del 1953 denunciarono il calzolaio assassino per omicidio volontario premeditato e lo associarono al carcere di Via Tanucci a Caserta. Altri tempi. Come facesse per i suoi bisogni personali un cieco in un carcere (già appariva strano che da cieco era riuscito ad uccidere la moglie) non è dato sapere. Forse, a seguire poi l’epilogo, lui  fu veramente punito – se non dalla giustizia degli uomini – certamente da quella divina che lo predestinò a morte precoce, solo, senza l’assistenza morale di alcun familiare.  










L’ EPILOGO DELLA VICENDA.  ESTINTO   IL REATO PER MORTE DEL REO.
RINVIATO A GIUDIZIO E POI TRASFERITO NEL CARCERE DI POGGIOREALE FU COLPITO DA ICTUS.





Sebastiano Pengue era un criminale. Si era macchiato di un orrendo delitto sempre con un coltello a serramanico e sempre in stato di ebrezza per una storia di donne e di gioco. La Corte di Assise di Santa Maria Capua Vetere lo aveva infatti già condannato nel 1907, quando aveva soltanto 20 anni, col beneficio della seminfermità mentale a 7 anni di manicomio criminale. Dopo 46 anni un altro delitto. Un uxoricidio.

 L’assassinio della moglie la quale tutto aveva per la testa (date le sue condizioni di salute) al di fuori di fargli le corna. L’autopsia del cadavere della povera Maria Cottugno, eseguita dai periti settori Dott.  Emiddio Farina e Claudio Scapaticci,  parla chiaro, la donna è stata colpita in varie parti del corpo da un acuminato coltello “delle ferite riscontrate tre sono gravi: una al ventricolo sinistro, che non penetra nella cavità ventricolare,  ma si approfonda in direzione del muscolo cardiaco. Le altre due al polmone sinistro”. “La morte della Cotugno – scrissero i medici – fu causata dalla profonda emorragia avutasi in seguito alle ferite agli organi vitali ( cuore e polmone) con arma letale da punta e taglio (coltello affilato) il numero dei colpi furono 5 ed il coltello era lungo ed affilato. Infine ricevette un colpo alle spalle e in posizione prona”. Lui approfittò quella sera di festa, era Santo Stefano, il giorno successivo al Natale ed i due figli che vivevano con lui   erano andati al cinema. Rinviato a giudizio – dopo la chiusura della formale istruttoria – il Giudice Dr. Bernardino De Luca, con sentenza del 16 luglio 1954, su conforme richiesta del pubblico ministero, per omicidio volontario premeditato (con i precedenti che si ritrovava era anche pregiudicato per furto e lesioni) avrebbe certamente subito una condanna all’ergastolo.  Ma dopo un anno dal delitto, dal carcere di Santa Maria Capua Vetere fu tradotto a quello di Poggioreale e ricoverato in infermeria per cataratta e emorroidi. Il sanitario del carcere napoletano Dr. Gennaro Pinnarò descrisse all’A.G. la sua preoccupazione paventando un urgente trasferimento in struttura idonea. “Il detenuto da diversi giorni si trova in questa infermeria. In un primo tempo presentava scompenso cardiaco con edemi agli arti inferiori, stasi epatica aritmia. Dopo qualche giorno è stato colpito da ictus cerebrale con emiplegia sinistra e le sue condizioni si sono aggravate. Sono state praticate le cure del caso e nei giorni scorsi era alquanto migliorato. Poiché le sue condizioni si sono nuovamente aggravate ritengo necessario che il detenuto sia ricoverato di urgenza con autoambulanza e accompagnato da un agente nell’Ospedale Loreto per essere sottoposto ad accertamenti e cure che qui non è possibile praticare”. Il tragico epilogo di una orribile vicenda che ha attraversato momenti da tregenda. Il tre settembre del 1954 il Pengue cessò di vivere nell’ospedale Loreto.



Il pubblico ministero che aveva seguito il processo presentò un’istanza alla Corte di Assise che visti gli atti processuali a carico di Sebastiano Pengue,  rinviato a giudizio della Corte di Assise di Santa Maria Capua Vetere con  sentenza del giudice istruttore in data 16 luglio del 1954,  per il reato di omicidio premeditato per avere mediante più colpi di arma da punta e taglio volontariamente con premeditazione cagionato la morte della moglie Maria Cotugno. Reato avvenuto in Maddaloni il 26 dicembre del 53. Visto il certificato di morte del municipio di Maddaloni dal quale risulta che il giorno 3 settembre 54 morì in Napoli all’età di anni 67 Sebastiano Pengue chiedo alla Corte di Assise - riunita in camera di consiglio - di dichiarare estinto il reato per la morte dell’imputato avvenuta prima della condanna. Il collegio della Corte di Assise dichiarò con sentenza “non doversi provvedere contro il Sebastiano Pengue in ordine al reato di omicidio premeditato in danno della  moglie perché “estinto il reato per morte del reo”.











Nessun commento:

Posta un commento