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domenica 5 marzo 2017




              UCCISE A BRUCIAPELO 


                       IL FRATELLO 

                 

                 DEL DOTT. PIGNATA




Il delitto avvenne  il 28 gennaio del 1955 alle ore 23 
nel cortile della vittima a Casal di Principe



IL POSSESSO DEL FONDO 

“PANTANOZZO” ALLA BASE DEL 

DLEITTO.

Corvino gli aveva detto che il Coppola minacciava una schioppettata al Pignata ed una a chi avesse messo piede nella terra. Il Corvino, pur negando di aver parlato di schioppettate ammise che il Coppola aveva dichiarato che “si sarebbe dispiaciuto”… espressione che nel gergo casalese – come l’esperienza conferma – suona minaccia ed aperta dichiarazione di ostilità, specialmente quando il dissidio abbia per oggetto un pezzo di terra…                                                                                                                                                                         

                                                                                                                                                                           
Casal di Principe – La sera del 28 gennaio del 1955, verso le ore 23, Epaminonda Cerullo, dopo essersi nascosto nel cortile dell’abitazione di Cristofaro Pignata, possidente terriero (fratello medico Domenico Pignata) e atteso almeno un’ora e mezzo, uccideva costui con un colpo di rivoltella “Smith”, cal. 10,42 alla regione ascellare sinistra sparato quasi a bruciapelo. Nel predetto cortile venivano trovate le scarpe ed il cappotto del Cerullo, datosi alla fuga, il bossolo del proiettile, due cartucce dello stesso calibro e gli occhiali e la dentiera dello ucciso. Quest’ultimo presenta alla regione frontale ed al vertice del capo sei ferite lacero contuse da corpo contundente ed una ferita superficiale alla faccia interna del polso destro. Anche al Cerullo, tratto in arresto due giorni dopo, venivano riscontrate due ferite lacero contuse alla regione frontale. In un primo momento il Cerullo si protestava innocente,  ma poi confessava di essere l’autore del delitto, sostenendo che intendeva limitarsi a percuotere il Pignata e che il colpo era partito senza che egli se ne fosse neppure accorto mentre adoperava la rivoltella come corpo contundente. Circa la causale del delitto, riferiva che, dopo avere ottenuto in affitto dal Pignata il feudo “Pantanozzo” in agro di Casal di Principe era stato poi costretto a cederlo a tal Pasquale Coppola a seguito delle insistenze di Costantino Corvino, suo compare d’anello, il quale gli aveva riferito che il Coppola, già affittuario dello stesso feudo  e coltivatore di terreni limitrofi, aveva minacciato “una schioppettata al Pignata ed una a chi metteva piede nella terra”

Venuto a conoscenza che il Pignata si accingeva ad agire contro di lui perché aveva praticato il subaffitto si era deciso ad aggredirlo, convinto che i sospetti sarebbero caduti sul Coppola e  che una volta arrestato costui egli sarebbe tornato in possesso del feudo. Il Coppola tratto in arresto per estorsione negava di aver fatto pervenire minacce al Cerullo, sostenendo che questi gli aveva spontaneamente offerto il fondo. Costantino Corvino, dal canto suo, ammetteva di aver sollecitato il Cerullo a cedere al Coppola perché costui, pur non avendo parlato di schioppettate, gli aveva detto che si sarebbe dispiaciuto  se il fondo fosse stato coltivato da altri e che si sarebbero potuto verificare spiacevoli conseguenze, essendo guardiano in quella zona un suo fratello che già aveva commesso un omicidio.   Il fondo “Pantanazzo” era stato sempre motivo di attrito fra il Coppola ed i Pignata, fin dal 1923, epoca in cui espropriato in danno di un parente del Coppola, se ne rese aggiudicatario Camillo Pignata, zio della vittima. In tale occasione anche il Coppola avrebbe voluto diventare proprietario del fondo, ma la sua aspirazione fu ostacolata dal concorrente più ricco, perché, come egli stesso riferì, “data la ricchezza rilevante del Pignata non potetti gareggiare con lui nell’acquisto  del terreno”. Ne divenne peraltro affittuario e lo coltivò fino al 1934, epoca in cui lo rilasciò senza corrispondere il canone al Pignata costretto ad agire giudiziariamente per ottenere il pagamento. Dal 1934 al 1943 il fondo fu coltivato direttamente dal proprietario che lo diede poi in affitto a tale Paolo Del Vecchio. Senonchè venuto a conoscenza che questi era un prestanome  del Coppola, ingeritosi novellamente nella coltivazione del fondo il Pignata ne ottenne il rilascio  con sentenza del 21 febbraio del 1952. 

Da tale sentenza non risultava, però, che il Coppola fosse l’effettivo conduttore del fondo ma l’Avv. Antonio D’amore,  legale del Pignata, ha riferito che ebbe ad apprendere proprio dall’affittuario che il terreno era coltivato da duo o tre persone fra le quali il Coppola. Ed il teste Francesco Corvino ha ribadito che in sua presenza il Del Vecchio ebbe a confidare al Pignata che il Coppola era l’effettivo coltivatore. Infine, scrissero gli inquirenti nella loro motivazione, come si apprende dallo stesso Corvino, nell’agosto del 1954 il coppola aveva manifestato il desiderio di riprendere in affitto il fondo,  intanto migliorato dal proprietario con la costruzione di due pozzi artesiani, soggiungendo che, qualora il Pignata l’avesse coltivato personalmente “tutto il rispetto”, ma se lo avesse affittato ad altri egli si sarebbe “pigliato collera”.                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                   Questi precedenti smentiscono l’assunto difensivo del Coppola il quale ha osato affermare che non aveva nessun interesse a coltivare il fondo “Pantanazzo”, e dimostrano, invece, il suo particolare attaccamento al fondo medesimo. Né può trovare credito l’altro suo assunto che il fondo gli sarebbe stato ceduto spontaneamente dal Cerullo. Questi era un giovane bracciante agricolo, da poco sposato, che per la prima volta – mercé l’aiuto finanziario del suocero – aveva la possibilità di coltivare un fondo per conto proprio,  e non vi avrebbe certamente rinunciato se Costantino Corvino  suo compare di anello  non gli avesse riferito che il Coppola minacciava di vendicarsi qualora non gli fosse stato ceduto il fondo. A tali minacce il Cerullo accennò fin dal suo primo interrogatorio quando non si era ancora confessato autore dell’omicidio, e, il giorno successivo la suo arresto, anche la madre riferì ai carabinieri che il figlio era stato costretto dal Coppola, con continue minacce a subaffittargli il fondo. Lo stesso giorno posto a confronto con il Corvino, il Cerullo confermò di avere rinunziato alla coltivazione del fondo perché lo stesso Corvino gli aveva detto che il Coppola minacciava “una schioppettata al Pignata ed una a chi avesse messo piede nella terra”, ed il Corvino, pur negando di aver parlato di schioppettate ammise che il Coppola aveva dichiarato che “si sarebbe dispiaciuto”… espressione che nel gergo casalese – come l’esperienza conferma – suona minaccia ed aperta dichiarazione di ostilità, specialmente quando il dissidio abbia per oggetto un pezzo di terra…


Anche la moglie ed il suocero del Cerullo hanno deposto circa le minacce fatte dal Coppola, tramite il Corvino, ed il suocero ha precisato che il Cerullo, in un primo tempo, aveva pensato di affidare la coltivazione  del fondo ad un cugino del proprietario e cioè ad Alfonso Pignata,  circostanza confermata da quest’ultimo,  rinunziando poi a tale soluzione perché il corvino gli aveva fatto notare che essa sarebbe valsa a paralizzare le rappresaglie del Coppola. Nei successivi confronti con il Cerullo, il Corvino, pur tentando sempre di minimizzare l’attività del Coppola dovette ammettere che costui si era “interessato” nel proposito di ottenere il fondo e gli aveva dovuto più volte di invitare il Cerullo a cedergli il terreno. Allegata agli atti del processo vi una lettera del Dr. Domenico Pignata, fratello della vittima, indirizzata al giudice istruttore con la quale, rifacendo la storia delle proprietà del fondo “Pantanazzo,  il professionista chiede la punizione degli imputati e richiama l’attenzione sulle pericolosità e sulle minacce fatte al fratello. “Non fui presente all’assassinio di mio fratello – esordisce il dottore – dato che domicilio in Napoli. Dai famigliari appresi che egli fu barbaramente ucciso dal Cerullo il quale infierì su di lui agonizzante, vibrandogli colpi con il calcio della pistola. Ritengo che Cerullo non abbia agito soltanto per sua iniziativa in quanto è a mia conoscenza che mio fratello era odiato da Pasquale Coppola per il fatto che costui aveva delle mire sul fondo “Pantanozzo”. Dette mire erano di natura economica data la qualità del fondo reso maggiormente produttivo dall’esistenza di due pozzi semi artesiani fatti costruire dal mio fratello nel 1953;   la estensione del fondo è di circa 8 moggia ma come si evince da una perizia del Geom. Raffaele Tamburrino il suo reddito è molto alto ed arriva fino a 80 mila lire al moggia.                                                                                                                                                            

 La  condanna per Epaminonda Cerullo fu di anni 26 di reclusione. Pasquale Coppola colpevole di estorsione condannato ad anni due di reclusione.


La Corte di Assise di Santa Maria Capua Vetere, con sentenza del 2 aprile del 1957, condannava Epaminonda Cerullo, di anni 27, accusato di omicidio volontario, con l’aggravante della premeditazione e del motivo abietto nonché di violazione di domicilio in danno di Cristofaro Pignata alla pena di anni 26 di reclusione con la concessione delle attenuanti generiche. Mentre Pasquale Coppola veniva riconosciuto colpevole di estorsione e condannato, con le attenuanti generiche, ad anni due di reclusione. Contro tale sentenza proposero appello il Procuratore Generale (che ritenne le condanne troppo miti e che i giudici di primo grado non  avrebbero dovuto concedere le attenuanti generiche in ordine al delitto di omicidio) e gli imputati. Il Cerullo sostenne l’esclusione della volontà omicida e delle due aggravanti. Mentre il Coppola assumeva che mancava la prova che egli abbia minacciato il Cerullo e che, a tutto concedere, doveva ritenersi la ipotesi della violenza privata e non già l’estorsione essendo futuro ed incerto il profitto che egli avrebbe potuto ricavare dalla coltivazione del fondo controverso. Ma i giudici di secondo grado accolsero in pieno le doglienze della difesa  (ma fu una vera e propria beffa oppure potremmo definirla una di quelle sentenze che gli avvocati definiscono “suicida”) ed infatti la sentenza fu riformata ed al Cerullo venne contestato l’omicidio preterintenzionale (lui aveva usato la pistola come martello poi era partito accidentalmente il colpo mortale che aveva ucciso il Pignata) ma  la condanna “col gioco” delle attenuanti e delle aggravanti - fu la stessa: 26 anni e mesi sei di reclusione. La condanna fu inflitta con le aggravanti dell’arma, della premeditazione, del motivo abietto e con la esclusione della concessione delle attenuanti generiche (concesse dai primi giudici). 


 Nei processi furono impegnati gli avvocati: Pasquale De Gennaro, Cesare Loassis, Federico e Antonio SimoncelliAlfredo De Marsico, Giuseppe GarofaloCiro Maffuccini e Enrico Altavilla.   





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