UCCISE A BRUCIAPELO
IL FRATELLO
DEL DOTT. PIGNATA
Il delitto avvenne il 28 gennaio del 1955 alle ore 23
nel
cortile della vittima a Casal di Principe
IL
POSSESSO DEL FONDO
“PANTANOZZO” ALLA BASE DEL
DLEITTO.
Corvino gli aveva detto che il Coppola
minacciava una schioppettata al Pignata ed una a chi avesse messo piede nella
terra. Il Corvino, pur negando di aver parlato di schioppettate ammise che il
Coppola aveva dichiarato che “si sarebbe dispiaciuto”… espressione che nel
gergo casalese – come l’esperienza conferma – suona minaccia ed aperta
dichiarazione di ostilità, specialmente quando il dissidio abbia per oggetto un
pezzo di terra…
Casal
di Principe – La sera del 28 gennaio del 1955, verso le ore
23, Epaminonda Cerullo, dopo essersi
nascosto nel cortile dell’abitazione di Cristofaro
Pignata, possidente terriero (fratello medico Domenico Pignata) e
atteso almeno un’ora e mezzo, uccideva costui con un colpo di rivoltella
“Smith”, cal. 10,42 alla regione ascellare sinistra sparato quasi a bruciapelo.
Nel predetto cortile venivano trovate le scarpe ed il cappotto del Cerullo, datosi
alla fuga, il bossolo del proiettile, due cartucce dello stesso calibro e gli
occhiali e la dentiera dello ucciso. Quest’ultimo presenta alla regione
frontale ed al vertice del capo sei ferite lacero contuse da corpo contundente
ed una ferita superficiale alla faccia interna del polso destro. Anche al
Cerullo, tratto in arresto due giorni dopo, venivano riscontrate due ferite
lacero contuse alla regione frontale. In un primo momento il Cerullo si
protestava innocente, ma poi confessava
di essere l’autore del delitto, sostenendo che intendeva limitarsi a percuotere
il Pignata e che il colpo era partito senza che egli se ne fosse neppure
accorto mentre adoperava la rivoltella come corpo contundente. Circa la causale
del delitto, riferiva che, dopo avere ottenuto in affitto dal Pignata il feudo “Pantanozzo” in agro di Casal di
Principe era stato poi costretto a cederlo a tal Pasquale Coppola a seguito delle insistenze di Costantino Corvino, suo compare d’anello, il quale gli aveva
riferito che il Coppola, già affittuario dello stesso feudo e coltivatore di terreni limitrofi, aveva
minacciato “una schioppettata al Pignata
ed una a chi metteva piede nella terra”.
Venuto a conoscenza che il Pignata
si accingeva ad agire contro di lui perché aveva praticato il subaffitto si era
deciso ad aggredirlo, convinto che i sospetti sarebbero caduti sul Coppola
e che una volta arrestato costui egli
sarebbe tornato in possesso del feudo. Il Coppola tratto in arresto per
estorsione negava di aver fatto pervenire minacce al Cerullo, sostenendo che
questi gli aveva spontaneamente offerto il fondo. Costantino Corvino, dal canto
suo, ammetteva di aver sollecitato il Cerullo a cedere al Coppola perché
costui, pur non avendo parlato di schioppettate, gli aveva detto che si sarebbe
dispiaciuto se il fondo fosse stato
coltivato da altri e che si sarebbero potuto verificare spiacevoli conseguenze,
essendo guardiano in quella zona un suo fratello che già aveva commesso un
omicidio. Il fondo “Pantanazzo” era stato sempre motivo di attrito fra il Coppola ed i
Pignata, fin dal 1923, epoca in cui espropriato in danno di un parente del
Coppola, se ne rese aggiudicatario Camillo
Pignata, zio della vittima. In tale occasione anche il Coppola avrebbe
voluto diventare proprietario del fondo, ma la sua aspirazione fu ostacolata
dal concorrente più ricco, perché, come egli stesso riferì, “data la ricchezza rilevante del Pignata non
potetti gareggiare con lui nell’acquisto
del terreno”. Ne divenne peraltro affittuario e lo coltivò fino al
1934, epoca in cui lo rilasciò senza corrispondere il canone al Pignata
costretto ad agire giudiziariamente per ottenere il pagamento. Dal 1934 al 1943
il fondo fu coltivato direttamente dal proprietario che lo diede poi in affitto
a tale Paolo Del Vecchio. Senonchè
venuto a conoscenza che questi era un prestanome del Coppola, ingeritosi novellamente nella
coltivazione del fondo il Pignata ne ottenne il rilascio con sentenza del 21 febbraio del 1952.
Da
tale sentenza non risultava, però, che il Coppola fosse l’effettivo conduttore del
fondo ma l’Avv. Antonio D’amore, legale
del Pignata, ha riferito che ebbe ad apprendere proprio dall’affittuario che il
terreno era coltivato da duo o tre persone fra le quali il Coppola. Ed il teste
Francesco Corvino ha ribadito che in
sua presenza il Del Vecchio ebbe a confidare al Pignata che il Coppola era
l’effettivo coltivatore. Infine, scrissero gli inquirenti nella loro
motivazione, come si apprende dallo stesso Corvino, nell’agosto del 1954 il
coppola aveva manifestato il desiderio di riprendere in affitto il fondo, intanto migliorato dal proprietario con la costruzione
di due pozzi artesiani, soggiungendo che, qualora il Pignata l’avesse coltivato
personalmente “tutto il rispetto”, ma
se lo avesse affittato ad altri egli si sarebbe “pigliato collera”. Questi
precedenti smentiscono l’assunto difensivo del Coppola il quale ha osato
affermare che non aveva nessun interesse a coltivare il fondo “Pantanazzo”, e dimostrano, invece, il
suo particolare attaccamento al fondo medesimo. Né può trovare credito l’altro
suo assunto che il fondo gli sarebbe stato ceduto spontaneamente dal Cerullo.
Questi era un giovane bracciante agricolo, da poco sposato, che per la prima
volta – mercé l’aiuto finanziario del suocero – aveva la possibilità di
coltivare un fondo per conto proprio, e
non vi avrebbe certamente rinunciato se Costantino
Corvino suo compare di anello non gli avesse riferito che il Coppola
minacciava di vendicarsi qualora non gli fosse stato ceduto il fondo. A tali
minacce il Cerullo accennò fin dal suo primo interrogatorio quando non si era
ancora confessato autore dell’omicidio, e, il giorno successivo la suo arresto,
anche la madre riferì ai carabinieri che il figlio era stato costretto dal
Coppola, con continue minacce a subaffittargli il fondo. Lo stesso giorno posto
a confronto con il Corvino, il Cerullo confermò di avere rinunziato alla
coltivazione del fondo perché lo stesso Corvino gli aveva detto che il Coppola
minacciava “una schioppettata al Pignata
ed una a chi avesse messo piede nella terra”, ed il Corvino, pur negando di
aver parlato di schioppettate ammise che il Coppola aveva dichiarato che “si sarebbe dispiaciuto”… espressione che
nel gergo casalese – come l’esperienza conferma – suona minaccia ed aperta
dichiarazione di ostilità, specialmente quando il dissidio abbia per oggetto un
pezzo di terra…
Anche la moglie ed il suocero
del Cerullo hanno deposto circa le minacce fatte dal Coppola, tramite il
Corvino, ed il suocero ha precisato che il Cerullo, in un primo tempo, aveva
pensato di affidare la coltivazione del
fondo ad un cugino del proprietario e cioè ad Alfonso Pignata, circostanza
confermata da quest’ultimo, rinunziando
poi a tale soluzione perché il corvino gli aveva fatto notare che essa sarebbe
valsa a paralizzare le rappresaglie del Coppola. Nei successivi confronti con
il Cerullo, il Corvino, pur tentando sempre di minimizzare l’attività del
Coppola dovette ammettere che costui si era “interessato” nel proposito di
ottenere il fondo e gli aveva dovuto più volte di invitare il Cerullo a
cedergli il terreno. Allegata agli atti del processo vi una lettera del Dr.
Domenico Pignata, fratello della vittima, indirizzata al giudice istruttore con
la quale, rifacendo la storia delle proprietà del fondo “Pantanazzo, il
professionista chiede la punizione degli imputati e richiama l’attenzione sulle
pericolosità e sulle minacce fatte al fratello. “Non fui presente
all’assassinio di mio fratello – esordisce il dottore – dato che domicilio in
Napoli. Dai famigliari appresi che egli fu barbaramente ucciso dal Cerullo il
quale infierì su di lui agonizzante, vibrandogli colpi con il calcio della
pistola. Ritengo che Cerullo non abbia agito soltanto per sua iniziativa in
quanto è a mia conoscenza che mio fratello era odiato da Pasquale Coppola per
il fatto che costui aveva delle mire sul fondo “Pantanozzo”. Dette mire erano
di natura economica data la qualità del fondo reso maggiormente produttivo
dall’esistenza di due pozzi semi artesiani fatti costruire dal mio fratello nel 1953; la estensione del fondo è di circa 8 moggia
ma come si evince da una perizia del Geom. Raffaele
Tamburrino il suo reddito è molto alto ed arriva fino a 80 mila lire al
moggia.
La Corte di Assise di Santa Maria Capua
Vetere, con sentenza del 2 aprile del 1957, condannava Epaminonda Cerullo, di anni 27, accusato di omicidio volontario,
con l’aggravante della premeditazione e del motivo abietto nonché di violazione
di domicilio in danno di Cristofaro
Pignata alla pena di anni 26 di reclusione con la concessione delle
attenuanti generiche. Mentre Pasquale
Coppola veniva riconosciuto colpevole di estorsione e condannato, con le
attenuanti generiche, ad anni due di reclusione. Contro tale sentenza proposero
appello il Procuratore Generale (che ritenne le condanne troppo miti e che i
giudici di primo grado non avrebbero
dovuto concedere le attenuanti generiche in ordine al delitto di omicidio) e
gli imputati. Il Cerullo sostenne l’esclusione della volontà omicida e delle
due aggravanti. Mentre il Coppola assumeva che mancava la prova che egli abbia
minacciato il Cerullo e che, a tutto concedere, doveva ritenersi la ipotesi
della violenza privata e non già l’estorsione essendo futuro ed incerto il
profitto che egli avrebbe potuto ricavare dalla coltivazione del fondo
controverso. Ma i giudici di secondo grado accolsero in pieno le doglienze
della difesa (ma fu una vera e propria
beffa oppure potremmo definirla una di quelle sentenze che gli avvocati
definiscono “suicida”) ed infatti la sentenza fu riformata ed al Cerullo venne
contestato l’omicidio preterintenzionale (lui aveva usato la pistola come
martello poi era partito accidentalmente il colpo mortale che aveva ucciso il
Pignata) ma la condanna “col gioco”
delle attenuanti e delle aggravanti - fu la stessa: 26 anni e mesi sei di
reclusione. La condanna fu inflitta con le aggravanti dell’arma, della
premeditazione, del motivo abietto e con la esclusione della concessione delle
attenuanti generiche (concesse dai primi giudici).
Nei processi furono impegnati gli avvocati: Pasquale De Gennaro, Cesare Loassis, Federico e Antonio
Simoncelli, Alfredo De Marsico, Giuseppe
Garofalo, Ciro Maffuccini e Enrico
Altavilla.
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