Oggi al vaglio del Tribunale della
Libertà la sorte dell’uxoricida Emilio Lavoretano
Pericolo di fuga e reiterazione del
reato alla base dell’arresto
“Quanto al profilo delle esigenze cautelati –
è scritto nella ordinanza - devono
ritenersi sussistenti esigenze di cautela personale, in rapporto al pericolo di
ricaduta nel delitto. Rileva in tal senso, in primo luogo, l’elevatissimo
disvalore del fatto commesso dall’imputato, il quale ha aggredito fisicamente
la sua giovane moglie alla presenza del figlio di pochi mesi, fino a provocarne
la morte per strangolamento; e ciò ponendo in essere una condotta che, seppur
animata da un dolo d’impeto, ragionevolmente innescato da un litigio intercorso
con la stessa, si contraddistingue per la sua pervicacia ed intensità, avendo
egli mantenuto la stretta mortale sul collo della donna per un arco temporale
di almeno 15 secondi nonostante la stessa si dibattesse, rifuggendo ogni
residua occasione di resipiscenza offerta dalla intensità materiale ed emotiva
del momento, fino a spegnere la vita della madre di suo figlio”.
“Del resto, anche nella fase
successiva al reato, il Lavoretano ha abbandonato la casa coniugale ed
architettato un articolato piano di azione funzionale, a costruirsi un alibi e
ad occultare agli inquirenti le reali modalità verificative dei fatti. Tale
modalità operativa, attuata con freddezza in un frangente temporale in cui il
Lavotetano aveva appena spento la vita della moglie, contribuisce a manifestare
la personalità estremamente negativa e la elevata capacità criminale del
soggetto, nonché il significativo spregio in riferimento ai valori tutelati
dall’ordinamento penale, riferibili ad una gerarchia costituzionale all’interno
della quale la vita umana sì colloca in posizione di vertice”.
“Ritenuto quindi che il
pericolo di condotte reiterative è fondato non solo sulle modalità realizzative
del fatto (che appaiono ex se connotate da elevatissima attitudine
trasgressiva), ma anche sul negativo profilo personalistico del soggetto,
evincibile dalla nefandezza del suo crimine, rivolto nei confronti del suo più
stretto congiunto; e tenuto conto altresì della circostanza che lo stesso,
proprio in considerazione di tale elevata attitudine trasgressiva e del suo
scarso controllo degli impulsi soggettivi, ben potrebbe determinarsi ad attuare
propositi di vendetta nei confronti delle persone che hanno aggravato la sua
posizione processuale, molte delle quali abitano nel medesimo contesto
territoriale dell’imputato”.
Natatalina
Mastellone, avvocato difensore di Emilio Lavoretano confuta in ogni
punto la tesi dei giudici della Corte di Assise. Pericolo di fuga? Non lo ha messo in atto nei sei anni di
giudizio, ha sempre seguito le udienze ed anche il giorno del verdetto era
presente in aula. Ha sempre usato mezzi legali per difendersi dai detrattori
con querele e diffide. In ultimo più volte offeso sui social ha presentato –
anche di recente – querele per le offese ricevute. Reiterazione del reato? Non ha un’altra moglie da uccidere. Se
avesse voluto vendicarsi contro i parenti che come è scritto in sentenza –
hanno determinato la pesante condanna – lo avrebbe fatto dal primo momento. Ma
una volta conosciute le motivazioni addotte dalla Corte pare che i sostenitori
della sua innocenza si siano notevolmente assottigliati.
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