L’avvocato Franco Coppi: "I diritti
valgono anche per i mafiosi"
Intervista a Franco Coppi,
professore emerito di diritto penale: "Se in prigione non si può essere
curati, si deve uscire: la Costituzione impedisce la disumanità. C'è anche la
grazia".
"Nessuna
isteria, nessuna emotività ma princìpi che vanno applicati nei confronti di
tutti". Nei giorni del coronavirus succede anche questo: Pasquale Zagaria,
super boss della Camorra e fratello di don Michele (capoclan dei Casalesi),
esce dal carcere per motivi di salute, a casa pure il capomafia di Palermo,
Francesco Bonura.
Su
questo tema ascoltiamo il parere di Franco Coppi, professore emerito di diritto
penale, nonché illustre avvocato di imputati come Giulio Andreotti e Silvio
Berlusconi. "Per me - insiste - lo Stato forte si dimostra tale
nell'amministrare la giustizia con equanimità e senza lasciarsi condizionare
dalla isteria del momento. Ripeto, ci sono dei princìpi che vanno applicati nei
confronti di tutti".
Professore Coppi, dunque ci sono
delle regole generali che garantiscono la salute di tutti i detenuti. Ma qui il
punto è un altro: è giusto o non è giusto che anche capi della mafia o della
camorra usufruiscano di queste garanzie?
Certo
che è giusto, non c'è una limitazione sotto questo punto di vista alla
eventuale gravità dei reati commessi o meno. È un principio di carattere
generale. D'altra parte, non deve dimenticare l'articolo 27 della Costituzione
che stabilisce che la pena non può consistere in trattamenti contrari al senso
dell'umanità. Ora lasciare in carcere una persona che è affetta da malattia,
che nel carcere non può essere curata, e potrebbe portare alla morte,
trasformerebbe quella pena in un trattamento disumano. Quindi si deve tener
conto di questi princìpi fondamentali. E lo stesso ordinamento penitenziario
vuole che vengano rispettati i diritti fondamentali dell'imputato detenuto, e
fra i diritti fondamentali c'è il diritto alla salute. Anche se può dispiacere
che un boss di quel calibro possa riavere "la libertà" sta di fatto
che la legge è questa e va rispettata nei confronti di tutti.
Però il 41bis prevede che si possa
anche fare in un regime ospedaliero. Non a caso c'è una frase presente nell'ordinanza
dei giudici di sorveglianza di Sassari, che hanno consentito l'uscita dalla
prigione sarda di Zagaria, che ha sollevato polemiche: "Il tribunale ha
chiesto al Dap se fosse possibile individuare altra struttura penitenziaria sul
territorio nazionale, [...], ma non è pervenuto alcuna risposta, neppure
interlocutoria". Dunque, la colpa è del capo del Dap, Francesco Basentini?
Il
problema è di verificare se correvano le condizioni per adottare il
provvedimento. Se ricorrevano le condizioni, doveva essere adottato il
provvedimento e non vedo perché possano essere affermate responsabilità di
questo o di quello.
Nel
frattempo il ministro della Giustizia Alfonso Bonafede si dice pronto a
intervenire per correre ai ripari, e Nicola
Morra, presidente della Commissione antimafia, rincara la dose: "Stiamo
tutti piangendo la morte a Napoli di un agente di polizia morto sul dovere.
[...] Ma è devastante assistere alla scarcerazione di boss mafiosi
contemporaneamente oggi con la morte di agenti di polizia". Si tratta
di una reazione emotiva di un certo tipo di giustizialismo che continua a
portare voti e soffia forte nel Paese?
Bene,
queste sono quelle cose che si possono dire sotto la spinta dell'emozione del
momento. Bisogna ragionare a mente fredda. Se anche un boss mafioso sta morendo
in carcere perché lì non ci sono le condizioni per poterlo curare, a quel punto
va trasferito in un posto dove essere curato. Comunque la detenzione può essere
trasformata in detenzione ai domiciliari per il periodo necessario a che lui
recuperi un grado accettabile di salute.
Anche alcuni magistrati, tra cui
Nino Di Matteo e Cafiero De Raho, sbottano: "Lo Stato è debole e cede ai
ricatti dei mafiosi". Qualcuno arriva a paventare una pax tacita tra lo
Stato e la mafia...
Lo
Stato dimostra la sua forza proprio anche nell'amministrare la giustizia con
equanimità. Lo Stato non è lì per vendicarsi o per castigare ciecamente. Il suo
distacco e la sua distanza dal delinquente sta proprio nel trattare
quest'ultimo come essere umano. E in questo sta proprio la grandezza dello
Stato. È la stessa ragione per la quale non si applica la pena di morte
all'assassino: il rispetto per la vita è tale che lo Stato lo tutela perfino
nei confronti di chi ha tolto la vita ad altri. Questo è il principio.
Così facendo però si reinserisce
nel suo ambiente originario un super boss. Non crede che siano necessarie delle
misure di sorveglianza e cautela per la tutela della popolazione?
Certo
poi il giudice può disporre delle eventuali misure, penso allo stesso
braccialetto elettronico che permette di controllare gli spostamenti.
Quando si parla di 41 bis i
detenuti sono tutti uguali, o si fanno delle distinzioni fra chi ha commesso
crimini sanguinari e chi ha comportamenti meno efferati? Zagaria è uguale a
Cutolo?
Il
problema è che uno, Zagaria, è affetto da una malattia e da uno stato di salute
incompatibile con il regime carcerario rispetto a Cutolo o altri che non si
trovano in questa situazione. Ecco per loro i rimedi per porre i termini a una
carcerazione che sia particolarmente lunga, rispetto alla quale non ha più un
senso una prosecuzione, ci sono. Ad esempio, si potrebbe pensare al rimedio
della grazia. Non è scritto da nessuna parte che a un certo momento una persona
non possa ottenere una riduzione della pena. O un provvedimento favorevole.
Qui, nel caso di Zagaria, stiamo parlando sì di un super-boss ma che si trova
in uno stato di salute non compatibile con il regime carcerario.
Insomma dopo quarantacinque anni di
carcere anche uno come Raffaele Cutolo, ribattezzato "Don Rafè", capo
della "Nuova Camorra Organizzata", ha chiuso la partita con lo Stato?
Senta,
io con riferimento a casi specifici non mi pronuncio. La pena deve tendere alla
rieducazione. Sono dell'idea che nella misura in cui fosse riconosciuto il
raggiungimento di questa finalità, la pena non avrebbe più ragione di essere
eseguita. Mi rendo conto che sono valutazioni molto difficili, molto delicate,
è scritto nella Costituzione che la pena deve tendere a quel risultato. Se lo
ha raggiunto, è legittimo chiedersi se ha un senso la prosecuzione della pena.
Per concludere questa intervista la
riporto all'inizio dell'emergenza Covid, a quando ci sono state le rivolte
carcerarie. Ecco, quale ruolo possono avere avuto? Qualcuno paventò una
regia...
Fonte: di Giuseppe Alberto Falci/ huffingtonpost.it, 29
aprile 2020
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