La costruzione dell’acquedotto “Torano” di Pignataro Maggiore
insanguinata da un truce delitto – Accadde ad agosto del 1954
Un minatore di 31 anni uccise il
suo capo cantiere dopo una proposta oscena.
Sette colpi di pistola contro il
presunto omosessuale che ricattava il
giovane manovale
Pignataro Maggiore - Marconigramma della Stazione dei Carabinieri
di Pignataro Maggiore. Segnalazione alla Pretura di Capua: “Ore una venti corrente
località Monteoliveto, comune Pignataro Maggiore (Caserta) Giuseppe Belluomo, di anni 31 da
Lusciano, domiciliato a Pignataro
Maggiore, minatore, per rancori personali, esplodeva 4 colpi di pistola
calibro nove contro Michelangelo Foglia,
anni 48 da Manfredonia, residente a Pignataro Maggiore, capocantiere costruendo
acquedotto “Torano” uccidendolo. Autore omicidio costituivasi ore 7
stamane Arma Calvi Risorta. Pistola automatica Beretta west stata
sequestrata. Segue rapporto. Firmato: l’appuntato comandante interinale la
stazione, Benedetto Vastano. 20 agosto 1954”.
Nel
rapporto inoltrato all’A.G. i carabinieri denunciarono il Belluomo per omicidio
premeditato. Segnalavano che il 20 agosto del 1954, tale Giuseppe Cirelli si era recato presso la stazione dei carabinieri
ed aveva indicato nella zona di Monteoliveto la presenza del cadavere di tale Michelangelo Foglia. Dal pronto sopralluogo – alla presenza del
dottore Francesco Simeone, con
studio in Pignataro Maggiore, erano state riscontrate vaste feriti sulla
vittima. A poca distanza dal cadavere
furono rinvenuti 5 bossoli, una pistola Beretta cal. 9 ed una maglia nera
appartenente alla vittima. I primi ad
accusare il Belluomo, opportunamente interrogati dai carabinieri, al comando
del maresciallo Ippolito Cozzolino, furono
i suoi colleghi di lavoro: Antonio
Napolitano, Pasquale Borrelli e Alberto
De Lucia.
Il Belluomo, costituitosi il giorno successivo nella caserma dei carabinieri e interrogato sul
delitto chiarì: “Ieri sera con altri
amici e col capocantiere della ditta Rotundi mi trattenni nell’osteria sita in
via Principe di Napoli, detta “O fuosso”,
fino alle ore 23,30 circa. Uscimmo dall’osteria e accompagnammo il
Foglia fino alla sua abitazione. Ivi mentre il Foglia fece cenno agli altri di
andar via, invitò me a recarsi con lui al cantiere che rimane nella parte alta
e cioè verso S. Giorgio. Giunti proprio al punto dove esiste la condotta nei
pressi del cantiere il Foglia mi invitava a togliermi i pantaloni per sfogarsi
con me ed insisteva nel farmi delle proposte illecite. Il Foglia faceva questo
spesso promettendomi il lavoro e poichè non trovava il momento adatto per fare
il suo comodo mi rimandava di giorno, in giorno. Preciso anche che lo stesso
Foglia, poichè, ho la qualifica di minatore e sono disoccupato egli mi fece
cambiare tale qualifica presso l’ufficio di collocamento di Pignataro Maggiore
. Dopo un tu per tu e dopo che io gli avevo detto di smetterla facendogli
notare che le sue intenzioni erano tali e non vi era il fatto di mettermi a
lavorare, non potendo più contenermi di fronte a tale atteggiamento, ho
estratto la pistola che avevo in tasca e gli ho esploso contro sette colpi
contenuti nel caricatore. Dopo di ciò mi sono allontanato nella campagna
viciniore, mentre non so quale sorte ha avuto il Foglia”.
Anche
gli accompagnatori del capo cantiere deposero sulla circostanza. Antonio Napolitano pur confermando di
essere stato a bere all’osteria O’ Fuosso
negò recisamente che il Foglia fosse affetto da Pederastia. Pasquale Borrelli rese la stessa
dichiarazione del suo collega: osteria, bere, ma Foglia non gli risultava che
fosse omosessuale. Altrettanto Alberto De Lucia: Non gli constava che
il Foglia fosse affetto da pederastia. Lo riteneva, anzi, uomo onesto e
stimato. Gli risultava che il Belluomo, invece, era stato licenziato per poco
attaccamento e che per interessamento del Foglia stesso era stato riassunto in
altra squadra che da poco aveva sospeso i lavori di scavo del tunnel per
l’acquedotto.
Le
versioni sulla personalità della vittima erano contrastanti con quanto aveva
dichiarato l’assassino. Perfino Crescenzo
Belluomo, fratello dell’omicida, che svolgeva il ruolo di guardiano per
conto dell’impresa definì strano il comportamento del fratello (con il quale
però non correva buon sangue) e descrisse invece – parimenti come gli altri
operai – il carattere bonaccione e stimato del Foglia.
I
carabinieri intanto avevano accertato che il Belluomo, assunto come capo
cantiere era stato poi declassato a manovale per scarso rendimento e che si era
licenziato ritenendo disdicevole per lui tale qualifica e che lo stesso
attribuiva al Foglia tale incresciosa situazione. Lo denunciarono per omicidio
volontario premeditato.
La
perizia necroscopica affidata al Prof. Francesco
Tarsitano ed al Dr. Mario Pugliese,
con studio in Santa Maria Capua Vetere, accertò che la vittima era stata
attinta in varie parti del corpo ed alcuni colpi erano stati sparati a
bruciapelo. Il 27 marzo del 1956 il giudice istruttore Bernardino De Luca, del tribunale di Santa Maria Capua Vetere
depositava la sentenza con la quale rinviava al giudizio della Corte di Assise
il Belluomo per rispondere di omicidio volontario.
Mentre
era chiaro che l’assassino era il Belluomo per avere questi confessato non era
invece chiaro il movente che ha spinto
l’imputato a commettere il reato contestatogli. Secondo le dichiarazioni fatte
dallo stesso, nel corso degli interrogatori da lui resi ai Carabinieri e poi
alla Autorità giudiziaria egli avrebbe ucciso il Foglia per sottrarsi alle
proposte oscene che questi, affetto da
pederastia, gli avrebbe fatto in quella occasione.
Le dichiarazioni di coloro che
più frequentemente erano a stretto contatto con l’ucciso, lasciano sorgere
molti dubbi sulla attendibilità delle testimonianze. Sicché, ben può dirsi in
proposito che tutto si riduce a voci incontrollate.
Pignataro Maggiore - Di contro, i testi De Lucia,
Borrelli, Napolitano: hanno riferito di non aver mai sentito parlare di tale
anomalia del Foglia e, per di più, di non aver mai avuto occasione di
accorgersene personalmente così l’ultimo, in particolare, anche quando, essendo
il Foglia ammalato, lo accudì, rimanendo a lungo presso il suo letto. Si
tratta, invero, delle tre persone che accompagnarono, la sera del delitto, il
Foglia e il Belluomo essi sono dipendenti della Ditta Rotundi, e furono quindi
sempre a contatto con il Foglia, per motivi di lavoro.
Non
mancano, infine, testimoni i quali, senza riferirsi a particolari episodi,
hanno riportato voci, secondo le quali il Foglia sarebbe stato effettivamente
un anormale. Così il Montanaro, e così anche il Maresciallo dei Carabinieri
verbalizzante, Corradino Domenico,
il quale ultimo ha dichiarato di essere, a conoscenza di una voce pubblica al
riguardo, ma di non avere concreti elementi per valutare la fondatezza della
stessa.
Infine,
la perizia necroscopica, diretta anche ad accertamenti a tal preciso riguardo,
riferisce che il cadavere non presentava segni di pederastia attiva o passiva. Il
che consente che si passi a valutare un’altra possibilità, rappresentata
dall’esistenza di un vecchio rancore del Belluomo verso il Foglia. Il Belluomo
era stato alle dipendenze della Ditta Rotundi e, come si è detto, aveva
lasciato tale lavoro a seguito di una diminuzione di qualifica, disposta nei suoi confronti per
inidoneità alle mansioni direttive. Tale
retrocessione era stata determinata dal rapporto del Foglia nella sua qualità
di capocantiere, diretto alla Ditta. Il Foglia, tuttavia, non mancò in seguito
di aiutare il Belluomo, quando questi rimase senza lavoro, facendolo assumere
presso un’altra impresa, che ben presto però lo licenziò. Di conseguenza, il
Belluomo si trovò nuovamente senza lavoro e in ristrettezze economiche, donde
le sue parole pronunciate nella osteria (“Quando
si è disoccupati, non si sta certo allegri!”) e l’atteggiamento taciturno,
rilevato da alcuni, la sera del delitto. Essendosi verificati in tal modo i
fatti, il Belluomo ritenne, evidentemente, di poter riesumare una diceria a
proposito della anormalità del Foglia, per formarsi una qualche giustificazione
del delitto da lui commesso.
La
Sentenza. La Corte di Assise lo condannò a 14 anni di reclusione. Gli vennero
concesse le attenuanti generiche. Ma dal processo sorse il dubbio sulla
pederastia del capo cantiere assassinato forse per vendetta
Santa Maria Capua Vetere - Giuseppe Belluomo, di anni 31 da Lusciano,
che era stato tratto in arresto il 20 agosto del 1954, per aver ucciso il capo
cantiere del costruendo acquedotto “Torano” Michelangelo Foglia a Monteoliveto
di Pignataro Maggiore, ebbe una mite condanna a 14 anni di reclusione. La Corte
di Assise del Tribunale di Santa Maria Capua Vetere, composta dal Presidente, Giovanni Morfino; dal giudice a latere,
Renato Mastrocinque; dal pubblico
ministero, Gennaro Calabrese; dai
giudici popolari: Pietro Rotondo
Quadrato, Francesco Aliperti, Arturo Pellegrino, Alberico Masiello, Luigi
Lancia, Antonio Schioppa e Giuseppe Santoro; dal cancelliere Domenico Aniello e dall’ufficiale
giudiziario, Giuseppe Giarardi, gli
comminò, inoltre, una pena accessoria con l’interdizione perpetua dai pubblici
uffici, oltre alla sorveglianza speciale a pena scontata. Ormai la via dell’ergastolo era tracciata ma
il suo valente difensore l’avvocato Giuseppe
Marrocco, trovò come sempre la strada per alleviare le pene dell’ipotetico
“fine pena mai”. Infatti uscirono a
galla antenati e parenti del Belluomo che avevano vagato per manicomi e
cliniche psichiatriche. “In
considerazione di quanto sopra si fa istanza a V.S. di voler sottoporre il
Belluomo a perizia psichiatrica onde stabilire se al momento del fatto lo
stesso avesse o meno la capacità di intendere e volere”. Ci misero poi la
loro scienza i luminari dell’epoca: Filippo
Saporito, Ispettore Generale Alienista del Manicomio e il prof. Annibale Puca, direttore dell’Ospedale
Psichiatrico “S. Maria Maddalena” di Aversa.
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