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mercoledì 27 maggio 2020





La costruzione dell’acquedotto “Torano” di Pignataro Maggiore insanguinata da un truce delitto – Accadde ad agosto del 1954
Un minatore di 31 anni  uccise il suo capo cantiere dopo una proposta oscena.
Sette colpi di pistola contro  il presunto omosessuale  che ricattava il giovane manovale

Pignataro Maggiore - Marconigramma della Stazione dei Carabinieri di Pignataro Maggiore. Segnalazione  alla Pretura di Capua: “Ore una venti corrente  località Monteoliveto, comune Pignataro Maggiore (Caserta) Giuseppe Belluomo, di anni 31 da Lusciano, domiciliato a Pignataro  Maggiore, minatore, per rancori personali, esplodeva 4 colpi di pistola calibro nove contro Michelangelo Foglia, anni 48 da Manfredonia, residente a Pignataro Maggiore, capocantiere costruendo acquedotto “Torano” uccidendolo. Autore omicidio costituivasi  ore 7  stamane Arma Calvi Risorta. Pistola automatica Beretta west stata sequestrata. Segue rapporto. Firmato: l’appuntato comandante interinale la stazione, Benedetto Vastano. 20 agosto 1954”. 
Nel rapporto inoltrato all’A.G. i carabinieri denunciarono il Belluomo per omicidio premeditato. Segnalavano che il 20 agosto del 1954, tale Giuseppe Cirelli si era recato presso la stazione dei carabinieri ed aveva indicato nella zona di Monteoliveto la presenza del  cadavere di tale Michelangelo Foglia. Dal pronto sopralluogo – alla presenza del dottore Francesco Simeone, con studio in Pignataro Maggiore, erano state riscontrate vaste feriti sulla vittima.  A poca distanza dal cadavere furono rinvenuti 5 bossoli, una pistola Beretta cal. 9 ed una maglia nera appartenente alla vittima.  I primi ad accusare il Belluomo, opportunamente interrogati dai carabinieri, al comando del maresciallo Ippolito Cozzolino, furono i suoi colleghi di lavoro: Antonio Napolitano, Pasquale Borrelli e Alberto De Lucia.
Il  Belluomo, costituitosi il giorno successivo nella  caserma dei carabinieri e interrogato sul delitto chiarì: “Ieri sera con altri amici e col capocantiere della ditta Rotundi mi trattenni nell’osteria sita in via Principe di Napoli, detta “O fuosso”,  fino alle ore 23,30 circa. Uscimmo dall’osteria e accompagnammo il Foglia fino alla sua abitazione. Ivi mentre il Foglia fece cenno agli altri di andar via, invitò me a recarsi con lui al cantiere che rimane nella parte alta e cioè verso S. Giorgio. Giunti proprio al punto dove esiste la condotta nei pressi del cantiere il Foglia mi invitava a togliermi i pantaloni per sfogarsi con me ed insisteva nel farmi delle proposte illecite. Il Foglia faceva questo spesso promettendomi il lavoro e poichè non trovava il momento adatto per fare il suo comodo mi rimandava di giorno, in giorno. Preciso anche che lo stesso Foglia, poichè, ho la qualifica di minatore e sono disoccupato egli mi fece cambiare tale qualifica presso l’ufficio di collocamento di Pignataro Maggiore . Dopo un tu per tu e dopo che io gli avevo detto di smetterla facendogli notare che le sue intenzioni erano tali e non vi era il fatto di mettermi a lavorare, non potendo più contenermi di fronte a tale atteggiamento, ho estratto la pistola che avevo in tasca e gli ho esploso contro sette colpi contenuti nel caricatore. Dopo di ciò mi sono allontanato nella campagna viciniore, mentre non so quale sorte ha avuto il Foglia”.
Anche gli accompagnatori del capo cantiere deposero sulla circostanza. Antonio Napolitano pur confermando di essere stato a bere all’osteria O’ Fuosso negò recisamente che il Foglia fosse affetto da Pederastia. Pasquale Borrelli rese la stessa dichiarazione del suo collega: osteria, bere, ma Foglia non gli risultava che fosse omosessuale.  Altrettanto Alberto De Lucia: Non gli constava che il Foglia fosse affetto da pederastia. Lo riteneva, anzi, uomo onesto e stimato. Gli risultava che il Belluomo, invece, era stato licenziato per poco attaccamento e che per interessamento del Foglia stesso era stato riassunto in altra squadra che da poco aveva sospeso i lavori di scavo del tunnel per l’acquedotto.
Le versioni sulla personalità della vittima erano contrastanti con quanto aveva dichiarato l’assassino. Perfino Crescenzo Belluomo, fratello dell’omicida, che svolgeva il ruolo di guardiano per conto dell’impresa definì strano il comportamento del fratello (con il quale però non correva buon sangue) e descrisse invece – parimenti come gli altri operai – il carattere bonaccione e stimato del Foglia. 
I carabinieri intanto avevano accertato che il Belluomo, assunto come capo cantiere era stato poi declassato a manovale per scarso rendimento e che si era licenziato ritenendo disdicevole per lui tale qualifica e che lo stesso attribuiva al Foglia tale incresciosa situazione. Lo denunciarono per omicidio volontario premeditato.
La perizia necroscopica affidata al Prof. Francesco Tarsitano ed al Dr. Mario Pugliese, con studio in Santa Maria Capua Vetere, accertò che la vittima era stata attinta in varie parti del corpo ed alcuni colpi erano stati sparati a bruciapelo. Il 27 marzo del 1956 il giudice istruttore Bernardino De Luca, del tribunale di Santa Maria Capua Vetere depositava la sentenza con la quale rinviava al giudizio della Corte di Assise il Belluomo per rispondere di omicidio volontario.
Mentre era chiaro che l’assassino era il Belluomo per avere questi confessato non era invece chiaro il movente  che ha spinto l’imputato a commettere il reato contestatogli. Secondo le dichiarazioni fatte dallo stesso, nel corso degli interrogatori da lui resi ai Carabinieri e poi alla Autorità giudiziaria egli avrebbe ucciso il Foglia per sottrarsi alle proposte oscene che questi,  affetto da pederastia, gli avrebbe fatto in quella occasione.



Le dichiarazioni di coloro che più frequentemente erano a stretto contatto con l’ucciso, lasciano sorgere molti dubbi sulla attendibilità delle testimonianze. Sicché, ben può dirsi in proposito che tutto si riduce a voci incontrollate.


Pignataro Maggiore - Di contro, i testi De Lucia, Borrelli, Napolitano: hanno riferito di non aver mai sentito parlare di tale anomalia del Foglia e, per di più, di non aver mai avuto occasione di accorgersene personalmente così l’ultimo, in particolare, anche quando, essendo il Foglia ammalato, lo accudì, rimanendo a lungo presso il suo letto. Si tratta, invero, delle tre persone che accompagnarono, la sera del delitto, il Foglia e il Belluomo essi sono dipendenti della Ditta Rotundi, e furono quindi sempre a contatto con il Foglia, per motivi di lavoro.
Non mancano, infine, testimoni i quali, senza riferirsi a particolari episodi, hanno riportato voci, secondo le quali il Foglia sarebbe stato effettivamente un anormale. Così il Montanaro, e così anche il Maresciallo dei Carabinieri verbalizzante, Corradino Domenico, il quale ultimo ha dichiarato di essere, a conoscenza di una voce pubblica al riguardo, ma di non avere concreti elementi per valutare la fondatezza della stessa.
Infine, la perizia necroscopica, diretta anche ad accertamenti a tal preciso riguardo, riferisce che il cadavere non presentava segni di pederastia attiva o passiva. Il che consente che si passi a valutare un’altra possibilità, rappresentata dall’esistenza di un vecchio rancore del Belluomo verso il Foglia. Il Belluomo era stato alle dipendenze della Ditta Rotundi e, come si è detto, aveva lasciato tale lavoro a seguito di una diminuzione di  qualifica, disposta nei suoi confronti per inidoneità alle mansioni direttive.  Tale retrocessione era stata determinata dal rapporto del Foglia nella sua qualità di capocantiere, diretto alla Ditta. Il Foglia, tuttavia, non mancò in seguito di aiutare il Belluomo, quando questi rimase senza lavoro, facendolo assumere presso un’altra impresa, che ben presto però lo licenziò. Di conseguenza, il Belluomo si trovò nuovamente senza lavoro e in ristrettezze economiche, donde le sue parole pronunciate nella osteria (“Quando si è disoccupati, non si sta certo allegri!”) e l’atteggiamento taciturno, rilevato da alcuni, la sera del delitto. Essendosi verificati in tal modo i fatti, il Belluomo ritenne, evidentemente, di poter riesumare una diceria a proposito della anormalità del Foglia, per formarsi una qualche giustificazione del delitto da lui commesso.

La Sentenza. La Corte di Assise lo condannò a 14 anni di reclusione. Gli vennero concesse le attenuanti generiche. Ma dal processo sorse il dubbio sulla pederastia del capo cantiere assassinato forse per vendetta

Santa Maria Capua Vetere - Giuseppe Belluomo, di anni 31 da Lusciano, che era stato tratto in arresto il 20 agosto del 1954, per aver ucciso il capo cantiere del costruendo acquedotto “Torano” Michelangelo Foglia a Monteoliveto di Pignataro Maggiore, ebbe una mite condanna a 14 anni di reclusione. La Corte di Assise del Tribunale di Santa Maria Capua Vetere, composta dal Presidente, Giovanni Morfino; dal giudice a latere, Renato Mastrocinque; dal pubblico ministero, Gennaro Calabrese; dai giudici popolari: Pietro Rotondo Quadrato, Francesco Aliperti, Arturo Pellegrino, Alberico Masiello, Luigi Lancia, Antonio Schioppa e Giuseppe Santoro; dal cancelliere Domenico Aniello e dall’ufficiale giudiziario, Giuseppe Giarardi, gli comminò, inoltre, una pena accessoria con l’interdizione perpetua dai pubblici uffici, oltre alla sorveglianza speciale a pena scontata.  Ormai la via dell’ergastolo era tracciata ma il suo valente difensore l’avvocato Giuseppe Marrocco, trovò come sempre la strada per alleviare le pene dell’ipotetico “fine pena mai”. Infatti uscirono a galla antenati e parenti del Belluomo che avevano vagato per manicomi e cliniche psichiatriche. “In considerazione di quanto sopra si fa istanza a V.S. di voler sottoporre il Belluomo a perizia psichiatrica onde stabilire se al momento del fatto lo stesso avesse o meno la capacità di intendere e volere”. Ci misero poi la loro scienza i luminari dell’epoca: Filippo Saporito, Ispettore Generale Alienista del Manicomio e il prof. Annibale Puca, direttore dell’Ospedale Psichiatrico “S. Maria Maddalena” di Aversa.





           

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