Sparo’ 4 colpi di pistola all’indirizzo dell’uomo che l’aveva sedotta e abbandonata…
Quando
commise il tentato omicidio nella piazza di Casanova di Carinola il suo bambino aveva 6 anni. L’uomo
l’aveva messa incinta accusandola di non
essere vergine.
Quattro anni di carcere per
altrettanti colpi andati a vuoto esplosi contro Salvatore Fava, da Casale di Carinola il 14 gennaio del 1954.
Inoltre Giuseppina Passaretti, di
anni 31, era accusata di aver sporto querela contro Giuseppe Ruosi, accusandolo di reati di ingiuria, lesioni e minacce
gravi pur sapendolo innocente. Unitamente alla Passaretti era stato rinviato al
giudizio della locale Corte di Assise, Angelo
Trabucco, di anni 52, da San Giuliano di Teano, per aver affermato il falso
deponendo come testimone davanti all’Autorità Giudiziaria.
Il 14 gennaio del 1954, i
carabinieri di Carinola veniva informati che a Casale di Carinola una donna
aveva esploso alcuni colpi di pistola all’indirizzo di Salvatore Fava senza
colpirlo. Assieme al Fava, i carabinieri, individuarono Carmine Martucci e Salvatore
De Santis, testimoni oculari della drammatica sequenza degli spari esplosi nella
pubblica piazza, nei pressi della locale farmacia gremita di persone.
Narrarono che la donna si era
avvicinata al gruppetto con il volto coperto da un grosso ombrello di campagna
che dopo l’agguato aveva lasciato cadere a terra. Gli astanti riconobbero
nell’autore della sparatoria la Giuseppina Passaretti. La giacca indossata
dall’uomo presentava un foro all’altezza della regione addominale.
La donna, rintracciata nella
sua abitazione di San Giuliano di Teano, si dichiarava autrice della sparatoria
e chiariva che era stata costretta a sparare perché - mentre attendeva il suo
turno per comprare dei farmaci – era stata aggredita dal Fava, che era il padre
naturale del suo bambino, che oggi contava 6 anni, avuto da una relazione del 1948 con l’uomo
oggetto dei suoi colpi; che, tra l’altro, non aveva riconosciuto legalmente il
bambino, dopo aver fatto promessa di nozze davanti al parroco della Chiesa di
Casale di Carinola nel settembre del 1948.
La donna mostrava ai
carabinieri anche i segni di una lesione procuratale dal Fava, alla regione
frontale ed una ecchimosi, al dorso della mano sinistra causati da alcuni colpi
di bastone ricevuti prima della sparatoria del Fava. Spiegò che la pistola
l’aveva acquistata, qualche tempo prima, da uno sconosciuto mentre i colpi li
sveva acquistati la mattina del delitto presso l’armeria di Alfredo Razzino da Casale di Carinola.
Giustificava il possesso dell’arma proprio per difendersi da eventuali
aggressioni del Fava, che spesso l’aveva minacciata di uccidere. I carabinieri
accertarono, altresì, che l’ombrello presentava tracce di strappi e che la
donna era stata medicata dal Dr. Alfonso
Razzino, con studio in Teano.
Il 24 febbraio del 1954, la
Passaretti sporgeva querela contro il Fava e
Giuseppe Ruosi, assumendo che costoro – dopo averla ingiuriata – l’avevano
aggredita con un bastone. Aggiungeva inoltre nella querela che, il Fava, mentre
insieme al Ruosi la inseguiva, aveva esploso 3 colpi di pistola che le avevano
procurato le lesioni e che tale assunto poteva essere confermato da Angelo
Trabucco, da San Giuliano di Teano.
Il 5 maggio del 1954, il Giudice Istruttore,
ordinava il rinvio a giudizio della Passaretti e del Trabucco per i reati di
tentato omicidio e calunnia, mentre dichiarava non doversi procedere contro il Fava
ed il Ruosi, per i reati loro contestati “per
non aver commesso il fatto”. Nel
corso del processo la Corte riteneva raggiunta la prova della colpevolezza
della Passaretti in ordine al tentativo di omicidio nei confronti del Fava.
Alla
base del rancore della donna, c’era una storia d’amore, infranta dall’uomo, dal
momento in cui fu abbandonata che aveva con lei scambiato promessa di
matrimonio dinanzi al parroco di Casale di Carinola,
Alla base del rancore della
donna, però, c’era una storia d’amore, infranta dall’uomo, infatti, sin dal
momento in cui fu abbandonata da Salvatore
Fava, che pure il 26 settembre del 1948 aveva con lei scambiato promessa
di matrimonio dinanzi al parroco di Casale di Carinola, incominciò in preda ad
un comprensibile stato d’animo, specie
dopo la nascita del figlio, avvenuta il 23 novembre di quell’anno, a minacciare
e a perseguitare il Fava che col solito
pretesto di non averla trovata vergine si era volto ad altri amori. Di questa
persecuzione – con la quale tuttavia secondo il giudizio anche dei carabinieri
-ella mirava, soprattutto, ad assicurare il riconoscimento del Fava. Vi è ampia prova in processo, sia attraverso
il verbale dei carabinieri di Carinola, e relativo ad un incidente verificatosi
in quell’anno, sia attraverso le
continue doglianze del Fava ai carabinieri medesimi e le istanze rivolte agli
stessi dalla Passaretti; sia infine, attraverso dichiarazioni del negoziante Antonio Taffuri e specialmente del
vigile urbano Benedetto Rozzera che
accenna ad un vero e proprio tentativo di aggressione operato dalla Passaretti
ai danni del Fava nello stesso gennaio del 1954 e da esso Rozzera impedito.
Nel quadro di tale
atteggiamento va appunto inserito l’episodio delittuoso verificatosi la sera
del 14 gennaio del 1954. La Passaretti, infatti, vista ormai svanita la
carezzata illusione di un ravvicinamento del Fava che aveva nel frattempo
procreato perfino dei figli con la cugina del Ruosi ed al tempo stesso ogni speranza circa
l’agognato riconoscimento del proprio figlio, ideò sin dal giorno 11 gennaio il
suoi proposito di vendetta: l’acquisto in tal giorno della pistola, il
rifornirsi presso il negozio di Alfredo Razzino delle indispensabili munizioni sono indizi
inequivocabili, poiché sono assurde -
anche per la loro contraddittorietà - le
giustificazioni addotte al riguardo
dalla Passaretti – del sorgere di tale proposito che venne peraltro mantenuto
fermo ed irrevocabile durante i giorni successivi tanto è vero che la sera del
14 gennaio è dato cogliere la Passaretti nei pressi del Bar dove si
intratteneva il Fava in atteggiamento evidente di paziente attesa appartata,
nascosta sotto il largo ombrello campagnuolo, nei pressi dell’attigua farmacia,
dove infatti nessuna altra ragione l’aveva indotta. E non appena il Fava con i
suoi amici le fu vicino – distratto dei saluti che al pari del Martucci e del
De Santis si scambiava con il Ruosi che rincasava – gli esplose addosso ed a
breve distanza i quattro colpi di pistola dandosi poi alla fuga.
Le dichiarazioni del Martucci,
del De Santis e dello stesso Ruosi – che al rumor degli spari ritornò sulla
strada dandosi, a cagione della sua qualità di carabiniere allo inseguimento –
peraltro vano – della sparatrice non lasciano dubbi in proposito e fanno
giustizia dello assunto difensivo della Passaretti che già incerto e contraddittorio
appare maliziosamente badato sulle lievissime lesioni fattesi visitare e che
certamente furono provocate dal precipitoso
abbandono dello ingombrante ed ormai non più utile ombrello nel corso
della stessa rapida fuga.
Tale aggressione che colse il
Fava di sorpresa, non avendo egli avuto agio, al pari dei suoi amici, di
individuare tempestivamente la donna nascosta sotto l’ombrello non può non essere qualificato
tentativo di omicidio ove si tengono presenti innanzi tutto lo stato d’animo
della Passaretti, il grave motivo da cui questo era determinato; e la fermezza
del suo proposito di vendetta; eppoi la efficacia dell’arma adoperata, la breve
distanza da cui essa venne usata, il numero dei colpi esplosi, e la loro
direzione rilevata chiaramente dallo strappo della giacca ed al cappotto della vittima constatato
immediatamente dai presenti al fatto e che il perito, Prof. Francesco Tarsitano, non ha escluso essere stato causato proprio
da un colpo di arma da fuoco.
Né può essere esclusa
l’aggravante della premeditazione – che al contrario è denunziata dal
preordinato acquisto dell’arma, delle munizioni, dall’appostamento, e dalla
lunga attesa. Ma se questo è il reato a cui deve rispondere la Passaretti
appare evidente che esso è – sotto un duplice profilo – attenuato. Non può
disconoscersi infatti che la Passaretti di ottima moralità agì in stato d’ira provocato dalla ingiusta
condotta del Fava che dopo aver abusato di lei e reso perfino madre col facile
ed offensivo pretesto di non averla trovata vergine la abbandonò per passare ad
altra donna pur dopo la promessa di matrimonio – che non essendo di certo
frutto di intimidazioni – è indice soltanto di una non comune malafede.
La
sentenza: Esclusa la premeditazione la condanna fu a 4 anni con l’attenuante
del particolare valore sociale e morale
del gesto.
Il 26 aprile del 1957, la
Corte di Assise di Santa Maria Capua Vetere, emise la sentenza contro Giuseppina
Passaretti, con una condanna ad anni 4 e
mesi 10 di reclusione per tentato omicidio nei confronti di Salvatore Fava,
mentre Angelo Trabucco fu condannato a mesi 7 di reclusione per falsa
testimonianza. “La Passaretti – scrissero i giudici nella loro motivazione – cui non
possono essere negate le attenuanti
generiche – a causa dei suoi ottimi precedenti morali e giudiziari – agì, peraltro, anche per un motivo di
particolare valore morale e sociale. Pertanto, si ritiene di infliggere – come
pena base per il tentativo di omicidio premeditato anni 12 di reclusione, da
ridursi per la provocazione ad anni 8; questa pena può essere ridotta per l’altra
attenuante concessa ad anni 5 e mesi 4; la pena così residuata può per le
generiche essere ridotta ulteriormente
ad anni tre, mesi sei e giorni 20 di reclusione. Gli avvocati impegnati nel
processo furono nei tre gradi di giudizio: Giuseppe
Marrocco, (per Passaretti in Appello),
Francesco Lugnano, Gino Capurso, Vittorio Verzillo, Antonio Simoncelli
e Alberto Martucci.
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