Translate

mercoledì 27 maggio 2020





Sparo’ 4 colpi di pistola all’indirizzo dell’uomo  che l’aveva sedotta e abbandonata…

Quando commise il tentato omicidio nella piazza di Casanova   di Carinola il suo bambino aveva 6 anni.  L’uomo l’aveva  messa incinta accusandola di non essere vergine.


Quattro anni di carcere per altrettanti colpi andati a vuoto esplosi contro Salvatore Fava, da Casale di Carinola il 14 gennaio del 1954. Inoltre Giuseppina Passaretti, di anni 31, era accusata di aver sporto querela contro Giuseppe Ruosi, accusandolo di reati di ingiuria, lesioni e minacce gravi pur sapendolo innocente. Unitamente alla Passaretti era stato rinviato al giudizio della locale Corte di Assise, Angelo Trabucco, di anni 52, da San Giuliano di Teano, per aver affermato il falso deponendo come testimone davanti all’Autorità Giudiziaria.
Il 14 gennaio del 1954, i carabinieri di Carinola veniva informati che a Casale di Carinola una donna aveva esploso alcuni colpi di pistola all’indirizzo di Salvatore Fava senza colpirlo. Assieme al Fava, i carabinieri, individuarono Carmine Martucci e Salvatore De Santis, testimoni oculari della drammatica sequenza degli spari esplosi nella pubblica piazza, nei pressi della locale farmacia gremita di persone.
Narrarono che la donna si era avvicinata al gruppetto con il volto coperto da un grosso ombrello di campagna che dopo l’agguato aveva lasciato cadere a terra. Gli astanti riconobbero nell’autore della sparatoria la Giuseppina Passaretti. La giacca indossata dall’uomo presentava un foro all’altezza della regione addominale.
La donna, rintracciata nella sua abitazione di San Giuliano di Teano, si dichiarava autrice della sparatoria e chiariva che era stata costretta a sparare perché - mentre attendeva il suo turno per comprare dei farmaci – era stata aggredita dal Fava, che era il padre naturale del suo bambino, che oggi contava 6 anni,  avuto da una relazione del 1948 con l’uomo oggetto dei suoi colpi; che, tra l’altro, non aveva riconosciuto legalmente il bambino, dopo aver fatto promessa di nozze davanti al parroco della Chiesa di Casale di Carinola nel settembre del 1948.
La donna mostrava ai carabinieri anche i segni di una lesione procuratale dal Fava, alla regione frontale ed una ecchimosi, al dorso della mano sinistra causati da alcuni colpi di bastone ricevuti prima della sparatoria del Fava. Spiegò che la pistola l’aveva acquistata, qualche tempo prima, da uno sconosciuto mentre i colpi li sveva acquistati la mattina del delitto presso l’armeria di Alfredo Razzino da Casale di Carinola. Giustificava il possesso dell’arma proprio per difendersi da eventuali aggressioni del Fava, che spesso l’aveva minacciata di uccidere. I carabinieri accertarono, altresì, che l’ombrello presentava tracce di strappi e che la donna era stata medicata dal Dr. Alfonso Razzino,  con studio in Teano.

Il 24 febbraio del 1954, la Passaretti sporgeva querela contro il Fava e  Giuseppe Ruosi, assumendo che costoro – dopo averla ingiuriata – l’avevano aggredita con un bastone. Aggiungeva inoltre nella querela che, il Fava, mentre insieme al Ruosi la inseguiva, aveva esploso 3 colpi di pistola che le avevano procurato le lesioni e che tale assunto poteva essere confermato da Angelo Trabucco, da San Giuliano di Teano.  
 Il 5 maggio del 1954, il Giudice Istruttore, ordinava il rinvio a giudizio della Passaretti e del Trabucco per i reati di tentato omicidio e calunnia, mentre dichiarava non doversi procedere contro il Fava ed il Ruosi, per i reati loro contestati “per non aver commesso il fatto”.  Nel corso del processo la Corte riteneva raggiunta la prova della colpevolezza della Passaretti in ordine al tentativo di omicidio nei confronti del Fava.

Alla base del rancore della donna, c’era una storia d’amore, infranta dall’uomo, dal momento in cui fu abbandonata che aveva con lei scambiato promessa di matrimonio dinanzi al parroco di Casale di Carinola,


 Alla base del rancore della donna, però, c’era una storia d’amore, infranta dall’uomo, infatti, sin dal momento in cui fu abbandonata da Salvatore  Fava, che pure il 26 settembre del 1948 aveva con lei scambiato promessa di matrimonio dinanzi al parroco di Casale di Carinola, incominciò in preda ad un comprensibile stato d’animo,  specie dopo la nascita del figlio, avvenuta il 23 novembre di quell’anno, a minacciare e a perseguitare  il Fava che col solito pretesto di non averla trovata vergine si era volto ad altri amori. Di questa persecuzione – con la quale tuttavia secondo il giudizio anche dei carabinieri -ella mirava, soprattutto, ad assicurare il riconoscimento del Fava.  Vi è ampia prova in processo, sia attraverso il verbale dei carabinieri di Carinola, e relativo ad un incidente verificatosi in quell’anno,  sia attraverso le continue doglianze del Fava ai carabinieri medesimi e le istanze rivolte agli stessi dalla Passaretti; sia infine, attraverso dichiarazioni del negoziante Antonio Taffuri e specialmente del vigile urbano Benedetto Rozzera che accenna ad un vero e proprio tentativo di aggressione operato dalla Passaretti ai danni del Fava nello stesso gennaio del 1954 e da esso Rozzera impedito.
Nel quadro di tale atteggiamento va appunto inserito l’episodio delittuoso verificatosi la sera del 14 gennaio del 1954. La Passaretti, infatti, vista ormai svanita la carezzata illusione di un ravvicinamento del Fava che aveva nel frattempo procreato perfino dei figli con la cugina del Ruosi  ed al tempo stesso ogni speranza circa l’agognato riconoscimento del proprio figlio, ideò sin dal giorno 11 gennaio il suoi proposito di vendetta: l’acquisto in tal giorno della pistola, il rifornirsi presso il negozio di Alfredo Razzino  delle indispensabili munizioni sono indizi inequivocabili, poiché sono assurde  - anche per la loro contraddittorietà -  le giustificazioni  addotte al riguardo dalla Passaretti – del sorgere di tale proposito che venne peraltro mantenuto fermo ed irrevocabile durante i giorni successivi tanto è vero che la sera del 14 gennaio è dato cogliere la Passaretti nei pressi del Bar dove si intratteneva il Fava in atteggiamento evidente di paziente attesa appartata, nascosta sotto il largo ombrello campagnuolo, nei pressi dell’attigua farmacia, dove infatti nessuna altra ragione l’aveva indotta. E non appena il Fava con i suoi amici le fu vicino – distratto dei saluti che al pari del Martucci e del De Santis si scambiava con il Ruosi che rincasava – gli esplose addosso ed a breve distanza i quattro colpi di pistola dandosi poi alla fuga.
Le dichiarazioni del Martucci, del De Santis e dello stesso Ruosi – che al rumor degli spari ritornò sulla strada dandosi, a cagione della sua qualità di carabiniere allo inseguimento – peraltro vano – della sparatrice non lasciano dubbi in proposito e fanno giustizia dello assunto difensivo della Passaretti che già incerto e contraddittorio appare maliziosamente badato sulle lievissime lesioni fattesi visitare e che certamente furono provocate dal precipitoso  abbandono dello ingombrante ed ormai non più utile ombrello nel corso della stessa rapida fuga.
Tale aggressione che colse il Fava di sorpresa, non avendo egli avuto agio, al pari dei suoi amici, di individuare tempestivamente la donna nascosta sotto  l’ombrello non può non essere qualificato tentativo di omicidio ove si tengono presenti innanzi tutto lo stato d’animo della Passaretti, il grave motivo da cui questo era determinato; e la fermezza del suo proposito di vendetta; eppoi la efficacia dell’arma adoperata, la breve distanza da cui essa venne usata, il numero dei colpi esplosi, e la loro direzione rilevata chiaramente dallo strappo della giacca  ed al cappotto della vittima constatato immediatamente dai presenti al fatto e che il perito, Prof. Francesco Tarsitano,  non ha escluso essere stato causato proprio da un colpo di arma da fuoco.
Né può essere esclusa l’aggravante della premeditazione – che al contrario è denunziata dal preordinato acquisto dell’arma, delle munizioni, dall’appostamento, e dalla lunga attesa. Ma se questo è il reato a cui deve rispondere la Passaretti appare evidente che esso è – sotto un duplice profilo – attenuato. Non può disconoscersi infatti che la Passaretti di ottima moralità  agì in stato d’ira provocato dalla ingiusta condotta del Fava che dopo aver abusato di lei e reso perfino madre col facile ed offensivo pretesto di non averla trovata vergine la abbandonò per passare ad altra donna pur dopo la promessa di matrimonio – che non essendo di certo frutto di intimidazioni – è indice soltanto di una non comune malafede.


 La sentenza: Esclusa la premeditazione la condanna fu a 4 anni con l’attenuante del particolare valore sociale e morale  del gesto.

Il 26 aprile del 1957, la Corte di Assise di Santa Maria Capua Vetere, emise la sentenza contro Giuseppina Passaretti, con una  condanna ad anni 4 e mesi 10 di reclusione per tentato omicidio nei confronti di Salvatore Fava, mentre Angelo Trabucco fu condannato a mesi 7 di reclusione per falsa testimonianza. “La Passaretti – scrissero  i giudici nella loro motivazione – cui non possono essere negate le attenuanti   generiche – a causa dei suoi ottimi precedenti morali e giudiziari –  agì, peraltro, anche per un motivo di particolare valore morale e sociale. Pertanto, si ritiene di infliggere – come pena base per il tentativo di omicidio premeditato anni 12 di reclusione, da ridursi per la provocazione ad anni 8; questa pena può essere ridotta per l’altra attenuante concessa ad anni 5 e mesi 4; la pena così residuata può per le generiche  essere ridotta ulteriormente ad anni tre, mesi sei e giorni 20 di reclusione. Gli avvocati impegnati nel processo furono nei tre gradi di giudizio: Giuseppe Marrocco, (per Passaretti in Appello),  Francesco Lugnano, Gino Capurso, Vittorio Verzillo, Antonio Simoncelli e Alberto Martucci.  



Nessun commento:

Posta un commento