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giovedì 7 maggio 2020






Rischio Covid, Bonafede: «Un decreto per riesaminare la scarcerazione dei 376 detenuti»
Il guardasigilli ritiene che «passata l’emergenza sanitaria» per molti di loro tornino le condizioni per un ritorno dietro le sbarre. E pensa ad un provvedimento ad hoc

 Un provvedimento del ministro della Giustizia per far riesaminare ai giudici la posizione di tutti i detenuti scarcerati per l’emergenza Covid. Il Guardasigilli ritiene che «passata l’emergenza sanitaria» ci siano per molti le condizioni per tornare in cella e dunque da giorni ha istituito un gruppo di lavoro proprio per esaminare la questione e varare un decreto che possa rinviare le decisioni prese ai tribunali di sorveglianza.

«Nessuna interferenza sul Dap»
Nel pomeriggio, durante il question time alla Camera, Bonafede ha respinto le accuse che gli sono state mosse in seguito alla mancata nomina del pm antimafia Nino Di Matteo alla guida del Dap: «Non c’è stata nessuna interferenza diretta o indiretta nella nomina avvenuta nel 2018. Ogni altra illazione uscita in questi giorni è campata in aria, il dibattito scaturito surreale». «Come risulta anche dalla ricostruzione temporale dei fatti - ha proseguito il ministro - le dichiarazioni di alcuni boss erano già note al ministero dal 9 giugno 2018, quindi ben prima di ogni interlocuzione da me avuta con il diretto interessato». Ha quindi confermato che è in cantiere un decreto per riesaminare la pioggia di scarcerazioni. «Il decreto legge permetterà ai giudici, alla luce del nuovo quadro sanitario, di rivalutare l’attuale persistenza dei presupposti per le scarcerazioni dei detenuti di alta sicurezza e al 41 bis».


L’Anm contro Di Matteo
In serata anche l’Anm (associazione nazionale magistrati) è intervenuta con una nota ufficiale che sembra prendere le distanze dalle parole espresse dal pm Di Matteo: «Per i magistrati della Repubblica, ferma la libertà di comunicazione e manifestazione del pensiero, è sempre doveroso esprimersi con equilibrio e misura, valutando con rigore l’opportunità di interventi pubblici e le sedi ove svolgerli nonché tenendo conto delle ricadute che le loro dichiarazioni, anche per la forma in cui sono rese, possono avere nel dibattito pubblico e nei rapporti tra le Istituzioni». La Giunta dell’Anm, senza citare espressamente la `querelle´ tra il ministro Bonafede e il togato del Csm Nino Di Matteo, sottolinea che «ciò è richiesto a tutti i magistrati, ancor di più a coloro che fanno parte di organi di garanzia costituzionale».

Chi sono i 376 usciti di cella
Intanto sono 376 i detenuti che sono usciti di cella: quelli che stanno scontando una condanna definitiva, e sono trasferiti in detenzione domiciliare o affidati ai servizi sociali, sono meno della metà, 180. Gli altri 196 sono anch’essi andati a casa, ma agli arresti domiciliari; una dizione diversa da cui si evince che ancora stanno aspettando la sentenza di primo grado (la maggior parte), o di appello o di Cassazione. Dunque il piccolo «popolo dei boss» scarcerati (tra cui uno dei carcerieri del bimbo sciolto nell’acido) in virtù dell’emergenza del coronavirus è fatto per oltre il 50 per cento di detenuti in attesa di giudizio. E in totale rappresentano poco più del 10 per cento (il 12,8 per l’esattezza) dei complessivi 2.917 (dato aggiornato a lunedì sera) mandati ai domiciliari per gli interventi anti-Covid.

I tre al 41-bis
Di quei 2.917 usciti di prigione, a 746 è stato applicato il braccialetto elettronico e c’è da ritenere che in questo numero rientrino tutti o quasi i 372 rientranti nel circuito «Alta sicurezza 3» (altri tre erano al 41 bis e sono i nomi già noti: il camorrista Pasquale Zagaria, il mafioso Francesco Bonura e lo’ndranghetista Vincenzo Iannazzo; uno in Alta sicurezza 1, il mafioso Antonino Sudato). Nella lista arrivata alla commissione antimafia non c’è la specificazione dei reati per i quali sono stati arrestati o condannati, ma in quella categoria di reclusi sono compresi i colonnelli e soldati semplici delle varie associazioni mafiose, o quelli accusati di traffico di sostanze stupefacenti. Molti sono ultrasessantenni, ma compaiono anche diversi nati negli anni Ottanta, qualcuno nel 1990 o poco dopo; quindi giovani o relativamente giovani.

Dieci patologie
La maggior parte dei 376 scarcerati dall’Alta sicurezza sono usciti dai penitenziari della Campania (74), seguono la Sicilia (62), la Toscana (50), il Lazio (44), la Lombardia e la Calabria (41 ciascuno) e via via le altre regioni, ma non è detto che i detenuti siano originari delle stesse zone e nella stessa percentuale. Le istanze di concessione dei domiciliari o della altre misure sono state presentate per lo più dagli avvocati difensori (183) e in 130 casi dagli stessi detenuti; solo in 63 casi i provvedimenti sono stati presi su «segnalazione sanitaria trasmessa dalla direzione dell’istituto», sulla base della circolare emanata dal Dap, il Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria, il 21marzo scorso, in cui si raccomandava di segnalare alla magistratura di sorveglianza i casi di reclusi affetti da dieci patologie considerate ad alto rischio se unite all’insorgenza dell’infezione da coronavirus.

La circolare del 24 aprile
Dopo quella circolare, il 24 aprile il direttore dell’Ufficio detenuto del Dap ha inviato ai direttori una seconda circolare raccomandando di segnalare i detenuti a rischio anche alla procura nazionale antimafia, in modo da fornire ai giudici di sorveglianza ulteriori eventuali elementi di valutazione prima di decidere se mandarli ai domiciliari o meno. Una precauzione che poi è stata inserita nel decreto legge approvato dal governo la scorsa settimana. Tra i nomi inseriti nella «lista dei 376» ci sono il boss del quartiere palermitano di Brancaccio Antonino Sacco, uno dei presunti capimafia dei Nebrodi (Gino Bontempo), la moglie del boss di Cosa nostra Salvatore Lo Piccolo, Rosalia Di Trapani.

Fonte: di Giovanni Bianconi/ Corriere della Sera. It/ 6 maggio 2020 -

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