Rischio
Covid, Bonafede: «Un decreto per riesaminare la scarcerazione dei 376 detenuti»
Il
guardasigilli ritiene che «passata l’emergenza sanitaria» per molti di loro
tornino le condizioni per un ritorno dietro le sbarre. E pensa ad un
provvedimento ad hoc
«Nessuna
interferenza sul Dap»
Nel
pomeriggio, durante il question time alla Camera, Bonafede ha respinto le
accuse che gli sono state mosse in seguito alla mancata nomina del pm antimafia
Nino Di Matteo alla guida del Dap: «Non c’è stata nessuna interferenza diretta
o indiretta nella nomina avvenuta nel 2018. Ogni altra illazione uscita in
questi giorni è campata in aria, il dibattito scaturito surreale». «Come
risulta anche dalla ricostruzione temporale dei fatti - ha proseguito il
ministro - le dichiarazioni di alcuni boss erano già note al ministero dal 9
giugno 2018, quindi ben prima di ogni interlocuzione da me avuta con il diretto
interessato». Ha quindi confermato che è in cantiere un decreto per riesaminare
la pioggia di scarcerazioni. «Il decreto legge permetterà ai giudici, alla luce
del nuovo quadro sanitario, di rivalutare l’attuale persistenza dei presupposti
per le scarcerazioni dei detenuti di alta sicurezza e al 41 bis».
L’Anm
contro Di Matteo
In
serata anche l’Anm (associazione nazionale magistrati) è intervenuta con una
nota ufficiale che sembra prendere le distanze dalle parole espresse dal pm Di
Matteo: «Per i magistrati della Repubblica, ferma la libertà di comunicazione e
manifestazione del pensiero, è sempre doveroso esprimersi con equilibrio e
misura, valutando con rigore l’opportunità di interventi pubblici e le sedi ove
svolgerli nonché tenendo conto delle ricadute che le loro dichiarazioni, anche
per la forma in cui sono rese, possono avere nel dibattito pubblico e nei
rapporti tra le Istituzioni». La Giunta dell’Anm, senza citare espressamente la
`querelle´ tra il ministro Bonafede e il togato del Csm Nino Di Matteo,
sottolinea che «ciò è richiesto a tutti i magistrati, ancor di più a coloro che
fanno parte di organi di garanzia costituzionale».
Chi
sono i 376 usciti di cella
Intanto
sono 376 i detenuti che sono usciti di cella: quelli che stanno scontando una
condanna definitiva, e sono trasferiti in detenzione domiciliare o affidati ai servizi
sociali, sono meno della metà, 180. Gli altri 196 sono anch’essi andati a casa,
ma agli arresti domiciliari; una dizione diversa da cui si evince che ancora
stanno aspettando la sentenza di primo grado (la maggior parte), o di appello o
di Cassazione. Dunque il piccolo «popolo dei boss» scarcerati (tra cui uno dei
carcerieri del bimbo sciolto nell’acido) in virtù dell’emergenza del
coronavirus è fatto per oltre il 50 per cento di detenuti in attesa di
giudizio. E in totale rappresentano poco più del 10 per cento (il 12,8 per
l’esattezza) dei complessivi 2.917 (dato aggiornato a lunedì sera) mandati ai
domiciliari per gli interventi anti-Covid.
I
tre al 41-bis
Di
quei 2.917 usciti di prigione, a 746 è stato applicato il braccialetto
elettronico e c’è da ritenere che in questo numero rientrino tutti o quasi i
372 rientranti nel circuito «Alta sicurezza 3» (altri tre erano al 41 bis e
sono i nomi già noti: il camorrista Pasquale Zagaria, il mafioso Francesco
Bonura e lo’ndranghetista Vincenzo Iannazzo; uno in Alta sicurezza 1, il
mafioso Antonino Sudato). Nella lista arrivata alla commissione antimafia non
c’è la specificazione dei reati per i quali sono stati arrestati o condannati,
ma in quella categoria di reclusi sono compresi i colonnelli e soldati semplici
delle varie associazioni mafiose, o quelli accusati di traffico di sostanze
stupefacenti. Molti sono ultrasessantenni, ma compaiono anche diversi nati
negli anni Ottanta, qualcuno nel 1990 o poco dopo; quindi giovani o
relativamente giovani.
Dieci
patologie
La
maggior parte dei 376 scarcerati dall’Alta sicurezza sono usciti dai
penitenziari della Campania (74), seguono la Sicilia (62), la Toscana (50), il
Lazio (44), la Lombardia e la Calabria (41 ciascuno) e via via le altre
regioni, ma non è detto che i detenuti siano originari delle stesse zone e
nella stessa percentuale. Le istanze di concessione dei domiciliari o della
altre misure sono state presentate per lo più dagli avvocati difensori (183) e
in 130 casi dagli stessi detenuti; solo in 63 casi i provvedimenti sono stati
presi su «segnalazione sanitaria trasmessa dalla direzione dell’istituto»,
sulla base della circolare emanata dal Dap, il Dipartimento
dell’amministrazione penitenziaria, il 21marzo scorso, in cui si raccomandava
di segnalare alla magistratura di sorveglianza i casi di reclusi affetti da
dieci patologie considerate ad alto rischio se unite all’insorgenza
dell’infezione da coronavirus.
La
circolare del 24 aprile
Dopo
quella circolare, il 24 aprile il direttore dell’Ufficio detenuto del Dap ha
inviato ai direttori una seconda circolare raccomandando di segnalare i
detenuti a rischio anche alla procura nazionale antimafia, in modo da fornire
ai giudici di sorveglianza ulteriori eventuali elementi di valutazione prima di
decidere se mandarli ai domiciliari o meno. Una precauzione che poi è stata
inserita nel decreto legge approvato dal governo la scorsa settimana. Tra i
nomi inseriti nella «lista dei 376» ci sono il boss del quartiere palermitano
di Brancaccio Antonino Sacco, uno dei presunti capimafia dei Nebrodi (Gino
Bontempo), la moglie del boss di Cosa nostra Salvatore Lo Piccolo, Rosalia Di
Trapani.
Fonte:
di Giovanni Bianconi/ Corriere della Sera. It/ 6 maggio 2020 -
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