Il
fatto accadde a Casal di Principe - la
mattina del 6 novembre del 1955, verso le ore 8, nel Corso Umberto I, nei pressi del Bar “Mio”,
Mezzogiorno di fuoco nella pubblica piazza per una vendetta:
un morto e due
feriti
Biagio Diana uccise Ruggiero Caterino per aberratio ictus ferì Nicola e Alfonso de Chiara.
Casal
di Principe - La
mattina del 6 novembre del 1955, verso le ore 8, nel Corso Umberto I, nei
pressi del Bar “Mio”, tale Biagio Diana,
esplodeva numerosi colpi di pistola contro Ruggiero
Caterino, che veniva colpito in parti vitali ben 4 volte. Il Caterino decedeva - dopo pochi
minuti - mentre veniva avviato all’ospedale. Alcuni colpi di pistola sparati
dal Diana ferivano, ma non gravemente, i fratelli Alfonso e Nicola De Chiara
colpendoli alla natica e alle mani. Gli stessi, interrogati subito dopo il
fatto precisarono che erano fuori al bar dovendo scaricare delle bottiglie da
un camioncino e mentre parlavano tra di loro si era avvicinato il Ruggiero
Caterino – loro conoscente – che prendeva parte alla discussione.
All’improvviso era comparso il Diana che senza dir nulla e senza che alcuni gli
rivolgesse la parola, estratta una pistola, aveva fatto fuoco contro il
Caterino e subito dopo si era dato alla fuga. Risultò, inoltre, dalla
deposizione di Carmine Iovine,
gestore del bar, e da quelle di Raffaele
Caterino, Giuseppe Vella e Bernardo Cirillo che il Ruggiero
Caterino aveva fatto pochi passi barcollando verso il bar, ma era caduto presso
l’ingresso con una pistola in pugno che gli venne tolta dal cognato Agostino Graziano, (versione confermata
in sede di dibattimento) e l’arma venne poi consegnata ai carabinieri dal padre
del Caterino. Bernardo Cirillo, in particolare, precisò di avere assistito
all’intero episodio. Riferì, appunto di aver sentito il Diana chiamare per nome
il Caterino e di aver visto i due entrambi con una pistola in pugno e il Diana
ripararsi dietro la cabina del camion e far fuoco contro l’altro che era rimasto
fermo sul marciapiede e non aveva esploso nessun colpo. In ordine al movente
del fatto criminoso si apprese da Vincenzo
Di Bello e Ruggiero Pignata (i
guappi della vecchia camorra che regnavano in zona all’epoca) che circa due
mesi prima, il Diana mentre lavorava insieme al Ruggiero Caterino e al fratello
dello stesso a nome Giuseppe, in un
cantiere edile in Napoli, era venuto a lite con costoro ed era stato ferito dal
Ruggiero al capo con un colpo di badile. I tre giovani a seguito del litigio
erano stati licenziati e il padre dei Caterino, Antonio, preoccupato per la
possibile vendetta del Diana si era interessato per far riconciliare il
medesimo con i suoi figli. Egli aveva all’uopo pregato prima Bernardo Di Bello e poi Vincenzo Di Bello e Ruggiero Pignata di interporre i loro
buoni uffici. E mentre di persuasione svolta da Bernardo Di Bello era riuscita
infruttuosa per l’ostinazione del Diana quella degli altri due “pacieri” aveva
sortito l’effetto sperato e si era pertanto addivenuto alla riconciliazione
festeggiata solennemente in casa di Antonio
Caterino con la consumazione di paste e liquori. Il Diana si costituì il 9
novembre alla Pubblica Sicurezza di Roma alla quale rese un circostanziato
interrogatorio. Ammise l’incidente verificatosi nel cantiere di Napoli
precisando che si era astenuto nel presentare denuncia per le lesioni
riportate. Ammise, altresì, che per intercessione di alcune persone di Casal di
Principe e anche delle sue sorelle si era riappacificato con i Caterino
riprendendo con loro buoni rapporti tanto che si scambiavano il saluto e
prendevano il caffè insieme. Riferì poi in ordine all’omicidio che egli
incontrò Antonio Caterino che lo invitò ad intervenire alla inaugurazione di
una nuova pizzeria che doveva aver luogo quel giorno e gli dette all’uopo
appuntamento per incontrarsi di nuovo con lui di lì a poco. Se non che recatosi
sul posto convenuto egli non trovò Antonio Caterino ma il figlio Ruggiero al
quale si avvicinò per chiedergli se voleva lui accompagnarlo alla pizzeria. E
il Ruggiero Caterino per tutta risposta esclamò: “Stu fetente e mmerda…sempe annanzi e piere me viene”…e così
dicendo estrasse la pistola sparando verso di lui alcuni colpi. Egli era
riuscito a ripararsi dietro il camion che stazionava davanti al bar e ad estrarre
a sua volta la propria pistola e sparare. Visto il Caterino cadere a terra si
cera dato alla fuga e poi con un passaggio di un camion era andato a Roma dove
però non sentendosi di fare una vita randagia aveva deciso di costituirsi.
La
perizia psichiatrica, la simulazione e la vera follia. Le consulenze di parte e
la superperizia – Quattro perizie per il suo stato di mente
Nel corso della formale
istruttoria si accertava con la perizia autoptica che la causa della morte del
Caterino era stata una emorragia interna che aveva interessato organi vitali
come il polmone e il fegato. Si accertava altresì che i due ferito Nicola e Alfonso
De Chiara avevano riportato ferite senza postumi. Si eseguiva anche una perizia
balistica sui proiettili repertati sul cadavere e sulle ferite dei due astanti e
sulla pistola consegnata ai carabinieri dal Caterino. La conclusione era che
tutti i colpi erano stati sparati dalla stessa pistola dell’aggressore e che la
pistola della vittima (una Bernardelli 7,65) non aveva sparato alcun colpo.
Diversa la versione dei fatti riportata da Nicola De Chiara il quale precisava
che il Diana, rivoltosi al Ruggiero Caterino, che era insieme a lui ve al
fratello sul marciapiede lo chiamò per nome e non appena il Caterino gli
rispose: “Bia’” estrasse la pistola e
incominciò a sparare. Giuseppe Vella, Bernardo Cirillo, Agostino Graziano,
Vincenzo Di Bello, Ruggiero Pignata, confermarono le loro versione già rese ai
carabinieri. Nel febbraio del 1956, a seguito della comunicazione della
direzione del carcere di Santa Maria Capua Vetere nella quale si diceva che il
Diana dal giorno 18 gennaio non rispondeva alle domande ed emetteva alte grida
– un tale comportamento, però, appariva simulato, veniva disposta perizia
psichiatrica per accertare le condizioni mentali dell’imputato. Il perito Dr. Vincenzo Barbuto nella sua relazione
così concludeva: “ Il Diana al momento del fatto trovavasi per infermità di
mente in uno stato di mente per il quale era del tutto esclusa la sua capacità
di intendere e di volere; egli è persona socialmente pericolosa. Successivamente
la parte civile Carmela Rociola,
vedova di Ruggiero Caterino, esibiva consulenza del Prof. Annibale Puca (direttore del manicomio di Aversa) che definiva il
Diana “un simulatore”. Il giudice
istruttore senza tener presente la perizia rinviò al giudizio della Corte di
Assise il Diana per rispondere dell’omicidio aggravato dalla premeditazione e
delle lesioni per “aberratio ictus”
dei De Chiara. La difesa controreplicava con una relazione del consulente di
parte Prof. Pasquale Penta che concludeva per la “totale incapacità di
intendere e di volere del Diana. Nel dibattimento il Diana andava in
escandescenze pronunciando verso il presidente la parola “cornuto…Madonna!”… -
La Corte, ritenuta la
necessità di ulteriori indagini per accertare lo stato di mente sia all’epoca
dei fatti che in quella attuale ordinava la trasmissione degli atti al G.I.
perché fosse espletata nuova perizia. Questa veniva redatta dal Prof. Enrico Sallustri di Roma il quale riferiva che il Diana all’epoca
dei fatti era, per infermità di mente,
in tale stato di mente da scemare grandemente senza escluderla, la capacità di
intendere e di volere e che lo stesso era socialmente pericoloso e attualmente non si trova in
stato di infermità mentale da escludere la capacità di intendere e di volere.
La difesa presentava ancora una consulenza del Prof. Penta che insisteva nelle
prese conclusioni.
Il
processo, le sentenze e le condanne: Biagio Diana veniva condannato ad anni 30 di reclusione. In appello la pena veniva
ridotta a 24 anni. Negata la infermità mentale
Santa
Maria Capua Vetere - Iniziava il nuovo dibattimento e veniva
contestata all’imputato la recidiva reiterata nel quinquennio, il quale
dichiarava di non ricordare nulla e pronunziava frasi sconnesse. I
rappresentati delle parti civili chiedevano la condanna anche al risarcimento
del danno. Il pubblico ministero Nicola
Damiani concludeva per la condanna del Diana ad anni 27 di reclusione con
l’aggravante contestata e le attenuanti generiche. La difesa, infine, chiedeva
che il Diana fosse dichiarato non imputabile per infermità mentale e in
subordine che fosse ritenuto l’eccesso colposo di legittima difesa e che
fossero concessi il vizio parziale di mente e le attenuanti della provocazione
e le generiche. Biagio Diana anni 33, veniva condannato dalla Corte di Assise di
Santa Maria Capua Vetere (Eduardo
Cilento, presidente; Guido Tavassi,
giudice a latere; giudici popolari: Paolo
Andreozzi, Raffaele Crispino, Marcello Santagata, Gennaro Mastrogiovanni, Dante Delli Paoli e Antonio Galasso) ad anni 30 di reclusione “per avere a fine di
vendetta, con premeditazione, mediante più colpi di pistola volontariamente
cagionato la morte di Ruggiero Caterino”, nonché, per aberratio ictus prodotto lesioni
personali a Nicola e Alfonso De Chiara. In appello la sua condanna fu ridotta
ad anni 24 con la esclusione della premeditazione. Nei tre gradi di giudizio
furono impegnati gli avvocati: Enrico Altavilla,
Bruno Cassinelli, Carlo Cipullo, Giuseppe Garofalo, Ciro
Maffuccini, Alfonso Raffone e Ettore Botti.
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