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lunedì 1 giugno 2020




Il fatto accadde a Casal di Principe -  la mattina del 6 novembre del 1955, verso le ore 8, nel Corso  Umberto I, nei pressi del Bar “Mio”,

 

Mezzogiorno di fuoco nella pubblica piazza per una vendetta:
 un morto e due feriti

Biagio Diana uccise  Ruggiero Caterino per    aberratio ictus  ferì  Nicola e Alfonso de Chiara.


Casal di Principe -  La mattina del 6 novembre del 1955, verso le ore 8, nel Corso Umberto I, nei pressi del Bar “Mio”, tale Biagio Diana, esplodeva numerosi colpi di pistola contro Ruggiero Caterino,  che veniva  colpito in parti vitali  ben 4 volte. Il Caterino decedeva - dopo pochi minuti - mentre veniva avviato all’ospedale. Alcuni colpi di pistola sparati dal Diana ferivano, ma non gravemente, i fratelli Alfonso e Nicola De Chiara colpendoli alla natica e alle mani. Gli stessi, interrogati subito dopo il fatto precisarono che erano fuori al bar dovendo scaricare delle bottiglie da un camioncino e mentre parlavano tra di loro si era avvicinato il Ruggiero Caterino – loro conoscente – che prendeva parte alla discussione. All’improvviso era comparso il Diana che senza dir nulla e senza che alcuni gli rivolgesse la parola, estratta una pistola, aveva fatto fuoco contro il Caterino e subito dopo si era dato alla fuga. Risultò, inoltre, dalla deposizione di Carmine Iovine, gestore del bar, e da quelle di Raffaele Caterino, Giuseppe Vella e Bernardo Cirillo che il Ruggiero Caterino aveva fatto pochi passi barcollando verso il bar, ma era caduto presso l’ingresso con una pistola in pugno che gli venne tolta dal cognato Agostino Graziano, (versione confermata in sede di dibattimento) e l’arma venne poi consegnata ai carabinieri dal padre del Caterino. Bernardo Cirillo, in particolare, precisò di avere assistito all’intero episodio. Riferì, appunto di aver sentito il Diana chiamare per nome il Caterino e di aver visto i due entrambi con una pistola in pugno e il Diana ripararsi dietro la cabina del camion e far fuoco contro l’altro che era rimasto fermo sul marciapiede e non aveva esploso nessun colpo. In ordine al movente del fatto criminoso si apprese da Vincenzo Di Bello e Ruggiero Pignata (i guappi della vecchia camorra che regnavano in zona all’epoca) che circa due mesi prima, il Diana mentre lavorava insieme al Ruggiero Caterino e al fratello dello stesso a nome Giuseppe, in un cantiere edile in Napoli, era venuto a lite con costoro ed era stato ferito dal Ruggiero al capo con un colpo di badile. I tre giovani a seguito del litigio erano stati licenziati e il padre dei Caterino, Antonio, preoccupato per la possibile vendetta del Diana si era interessato per far riconciliare il medesimo con i suoi figli. Egli aveva all’uopo pregato prima Bernardo Di Bello e poi Vincenzo Di Bello e Ruggiero Pignata di interporre i loro buoni uffici. E mentre di persuasione svolta da Bernardo Di Bello era riuscita infruttuosa per l’ostinazione del Diana quella degli altri due “pacieri” aveva sortito l’effetto sperato e si era pertanto addivenuto alla riconciliazione festeggiata solennemente in casa di Antonio Caterino con la consumazione di paste e liquori. Il Diana si costituì il 9 novembre alla Pubblica Sicurezza di Roma alla quale rese un circostanziato interrogatorio. Ammise l’incidente verificatosi nel cantiere di Napoli precisando che si era astenuto nel presentare denuncia per le lesioni riportate. Ammise, altresì, che per intercessione di alcune persone di Casal di Principe e anche delle sue sorelle si era riappacificato con i Caterino riprendendo con loro buoni rapporti tanto che si scambiavano il saluto e prendevano il caffè insieme. Riferì poi in ordine all’omicidio che egli incontrò Antonio Caterino che lo invitò ad intervenire alla inaugurazione di una nuova pizzeria che doveva aver luogo quel giorno e gli dette all’uopo appuntamento per incontrarsi di nuovo con lui di lì a poco. Se non che recatosi sul posto convenuto egli non trovò Antonio Caterino ma il figlio Ruggiero al quale si avvicinò per chiedergli se voleva lui accompagnarlo alla pizzeria. E il Ruggiero Caterino per tutta risposta esclamò: “Stu fetente e mmerda…sempe annanzi e piere me viene”…e così dicendo estrasse la pistola sparando verso di lui alcuni colpi. Egli era riuscito a ripararsi dietro il camion che stazionava davanti al bar e ad estrarre a sua volta la propria pistola e sparare. Visto il Caterino cadere a terra si cera dato alla fuga e poi con un passaggio di un camion era andato a Roma dove però non sentendosi di fare una vita randagia aveva deciso di costituirsi.

La perizia psichiatrica, la simulazione e la vera follia. Le consulenze di parte e la superperizia – Quattro perizie per il suo stato di mente

Nel corso della formale istruttoria si accertava con la perizia autoptica che la causa della morte del Caterino era stata una emorragia interna che aveva interessato organi vitali come il polmone e il fegato. Si accertava altresì che i due ferito Nicola e Alfonso De Chiara avevano riportato ferite senza postumi. Si eseguiva anche una perizia balistica sui proiettili repertati sul cadavere e sulle ferite dei due astanti e sulla pistola consegnata ai carabinieri dal Caterino. La conclusione era che tutti i colpi erano stati sparati dalla stessa pistola dell’aggressore e che la pistola della vittima (una Bernardelli 7,65) non aveva sparato alcun colpo. Diversa la versione dei fatti riportata da Nicola De Chiara il quale precisava che il Diana, rivoltosi al Ruggiero Caterino, che era insieme a lui ve al fratello sul marciapiede lo chiamò per nome e non appena il Caterino gli rispose: “Bia’” estrasse la pistola e incominciò a sparare. Giuseppe Vella, Bernardo Cirillo, Agostino Graziano, Vincenzo Di Bello, Ruggiero Pignata, confermarono le loro versione già rese ai carabinieri. Nel febbraio del 1956, a seguito della comunicazione della direzione del carcere di Santa Maria Capua Vetere nella quale si diceva che il Diana dal giorno 18 gennaio non rispondeva alle domande ed emetteva alte grida – un tale comportamento, però, appariva simulato, veniva disposta perizia psichiatrica per accertare le condizioni mentali dell’imputato. Il perito Dr. Vincenzo Barbuto nella sua relazione così concludeva: “ Il Diana al momento del fatto trovavasi per infermità di mente in uno stato di mente per il quale era del tutto esclusa la sua capacità di intendere e di volere; egli è persona socialmente pericolosa. Successivamente la parte civile Carmela Rociola, vedova di Ruggiero Caterino, esibiva consulenza del Prof. Annibale Puca (direttore del manicomio di Aversa) che definiva il Diana “un simulatore”.  Il giudice istruttore senza tener presente la perizia rinviò al giudizio della Corte di Assise il Diana per rispondere dell’omicidio aggravato dalla premeditazione e delle lesioni per “aberratio ictus” dei De Chiara. La difesa controreplicava con una relazione del consulente di parte Prof. Pasquale Penta che concludeva per la “totale incapacità di intendere e di volere del Diana. Nel dibattimento il Diana andava in escandescenze pronunciando verso il presidente la parola “cornuto…Madonna!”… -
La Corte, ritenuta la necessità di ulteriori indagini per accertare lo stato di mente sia all’epoca dei fatti che in quella attuale ordinava la trasmissione degli atti al G.I. perché fosse espletata nuova perizia. Questa veniva  redatta dal Prof. Enrico Sallustri di Roma il quale riferiva che il Diana all’epoca dei  fatti era, per infermità di mente, in tale stato di mente da scemare grandemente senza escluderla, la capacità di intendere e di volere e che lo stesso era socialmente  pericoloso e attualmente non si trova in stato di infermità mentale da escludere la capacità di intendere e di volere. La difesa presentava ancora una consulenza del Prof. Penta che insisteva nelle prese conclusioni.  
Il processo, le sentenze e le condanne: Biagio Diana  veniva condannato ad anni  30 di reclusione. In appello la pena veniva ridotta a 24 anni. Negata la infermità mentale
Santa Maria Capua Vetere - Iniziava il nuovo dibattimento e veniva contestata all’imputato la recidiva reiterata nel quinquennio, il quale dichiarava di non ricordare nulla e pronunziava frasi sconnesse. I rappresentati delle parti civili chiedevano la condanna anche al risarcimento del danno. Il pubblico ministero Nicola Damiani concludeva per la condanna del Diana ad anni 27 di reclusione con l’aggravante contestata e le attenuanti generiche. La difesa, infine, chiedeva che il Diana fosse dichiarato non imputabile per infermità mentale e in subordine che fosse ritenuto l’eccesso colposo di legittima difesa e che fossero concessi il vizio parziale di mente e le attenuanti della provocazione e le generiche. Biagio Diana anni 33,  veniva condannato dalla Corte di Assise di Santa Maria Capua Vetere (Eduardo Cilento, presidente; Guido Tavassi, giudice a latere; giudici popolari: Paolo Andreozzi, Raffaele Crispino, Marcello Santagata, Gennaro Mastrogiovanni, Dante Delli Paoli e Antonio Galasso) ad anni  30 di reclusione “per avere a fine di vendetta, con premeditazione, mediante più colpi di pistola volontariamente cagionato la morte di Ruggiero Caterino”, nonché,  per  aberratio ictus prodotto lesioni personali a Nicola e Alfonso De Chiara. In appello la sua condanna fu ridotta ad anni 24 con la esclusione della premeditazione. Nei tre gradi di giudizio furono impegnati gli avvocati: Enrico Altavilla, Bruno Cassinelli, Carlo Cipullo, Giuseppe Garofalo, Ciro Maffuccini, Alfonso Raffone e Ettore Botti. 

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