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lunedì 1 giugno 2020




La triste storia di un truce destino e l’avvisaglia del delitto. Quando uccidere la moglie non era femminicidio.  Ignazio De Filippo uccise la moglie Lucia Madonna in Grazzanise


Le prime avvisaglie del truce destino si erano presentate subito dopo il matrimonio allorquando il De Filippo – non sano di mente – sottoponeva a continue minacce, percosse ingiurie, lesioni e in ultimo, minacce di morte la moglie. Nel corso dell’istruttoria per la causa di separazione dei coniugi – tale Orsola Ignazio, dichiarava che la propria figlia Maria Ascanio nel giugno del 1944 quando il De Filippo era già sposato con la moglie Lucia aveva sedotto e condotto con sé per venti giorni la propria figlia.
Il 19 gennaio del 1954, il funzionario del Consorzio del Basso Volturno, Vincenzo Nastri, nel corso del suo lavoro, verso le ore 11,40 tra i poderi dell’O.N.C. n°558 e 559 in tenimento di Grazzanise, località “Selvalunga”, scopriva il corpo di una donna senza vita. Il comandante della stazione dei carabinieri Cav. Francesco De Angelis, con il carabiniere Luigi Di Lauro, si portava sul posto dove già trovava il maresciallo Leonardo Coviello della Stazione di Cancello Arnone. Infatti rinvennero trasversalmente alla strada il cadavere di una donna dall’apparente età di 30/35 anni che giaceva supina con due fori sulla mammella sinistra e gli abiti intrisi di sangue. Un ragazzo, tale Salvatore Grasso, riferì ai carabinieri che il giorno del delitto si trovava nella zona a pascolare un branco di pecore e che aveva assistito all’omicidio che descrisse in quattro parole: “Un uomo e una donna erano arrivati in motocicletta, lui era sceso e subito aveva sparato alla donna che era caduta a terra. Poi l’uomo aveva inforcato la mota ed era partito a tutta velocità quasi travolgendo il cadavere”. 

L’identità del cadavere era ancora senza nome allorquando in caserma si presentarono i fratelli Ubaldo e Nicola Madonna, da Casal di Principe, i quali facevano presente che una loro sorella a nome Lucia era uscita assieme al marito Ignazio De Filippo per incontrarsi con un certo Raffaele Montesano e non ancora aveva fatto ritorno a casa. Subito dopo accompagnati alla Morgue riconobbero il cadavere della sorella con queste espressioni:”Povera la  nostra Lucia…quel disgraziato del marito l’ha uccisa”- In seguito alla emissione del mandato di cattura ed al bando per catturarlo i carabinieri di Sant Andrea del Pizzone segnalavano che uno sconosciuto aveva depositato nella masseria “Purgatorio” una moto di colore rosso marca Ceccato, targata SA 9626 che si ritenne fosse quella usata dall’assassino.  Risultava, infatti, intestata a Giuseppe De Filippo, fratello dell’omicida.-  Dal canto suo Raffaele Montesano chiariva che il De Filippo non era stato presso la sua abitazione quella mattina. Il 22 gennaio il De Filippo si costituiva ai carabinieri di Ciampino (Roma) e mentre veniva tradotto a Santa Maria Capua Vetere si professò autore della uccisione della moglie. 
Dagli incartamenti dei carabinieri risultava che il De Filippo anni addietro era stato condannato per aver ucciso il cognato Ciro Vegnenti. All’atto della liberazione dal carcere per la condanna riportata per l’omicidio del cognato il De Filippo anziché rientrare a Casal di Principe presso la moglie e la figlia prendeva domicilio presso il fratello Giuseppe in Battipaglia. Però, nel frattempo, nonostante la separazione ordinata dal tribunale la donna – per intercessione di amici – era stata costretta a fare rientrare a casa il marito. Nel corso dell’istruttoria la perizia autoptica accertò che la donna era stata uccisa con 4 colpi di pistola. Si accertò, altresì, che il De Filippo era uscito dal carcere per il delitto del cognato commesso – come detto – nel 1945.


L’inganno della gita fuori porta, la sua soppressione in modo barbaro, l’abbandono in mezzo alla campagna del corpo senza vita…

La mattina del 19 gennaio del 1955 il De Filippo aveva invitato la moglie ad una gita in moto e giunto nei pressi di Grazzanise l’aveva invece uccisa e poi si era andato a costituire ai carabinieri di Roma. Ma la sua versione del delitto fu quella di un pazzo. Simulò un’aggressione di sconosciuti, un tentativo di rapina e lui per difendersi avrebbe ucciso la moglie per aberratio ictus. Un tentativo puerile per scrollarsi di dosso un così nefando delitto. Ma la perizia psichiatrica affidata al Dott. Ugo Massari, Sanitario del Manicomio Giudiziale di Aversa svelò il vero volto dell’assassino. Allo psichiatrico vennero affidati due quesiti: “accertare se il De Filippo all’epoca del fatto avesse piena capacità di intendere e volere ovvero se la stessa fosse pe infermità di mente grandemente scemata senza essere del tutto esclusa e se, infine, il periziando fosse socialmente pericoloso”.
Durante la traduzione – da Roma a Santa Maria Capua Vetere – il De Filippo si autolesionò , battendo le manette contro la tempia ove si provocò una piccola ferita mentre invocava ad alta voce: “Lucia, Lucia”. Dalle missive dai carabinieri era balzato il suo curriculum: godeva di pessima fama ed era un vagabondo, prepotente e sfruttatore. Il primo omicidio  fu consumato nel 1945, con sette colpi di arma da fuoco, in danno di Ciro Vegnenti, marito di una sua sorella, per futili motivi, come descritto in un rapporto informativo del Sindaco di Ca sal di Principe del 27/9/955. Ma in realtà, da una dichiarazione fatta dal De Filippo durante la prima degenza nel Manicomio di Aversa, ed esattamente in data 17/12/947, il movente del delitto fu determinato perchè “egli voleva dare una lezione al marito della sorella, il quale era spavaldo, violento e minaccioso”. E’ risultato anche che i fratelli Nicola e Menotti Madonna confermato quanto già dichiarato ai Carabinieri, hanno aggiunto il particolare che il De Filippo, durante la detenzione a Pozzuoli, faceva continue richieste di pugnali e coltelli alla moglie, “forse per fare qualcosa di male in carcere”, perché aveva litigato con un compagno di pena. Dopo avere escluso categoricamente che il movente del delitto possa attribuirsi ad infedeltà coniugale, essendo la sorella donna onestissima, hanno entrambi riferito, su domanda, di avere appreso, l’uno (Nicola) direttamente dalla bambina Marianna Fontana, l’altro (Menotti) dalla Rosa Schiavone, che l’omicida, la mattina del delitto, prima dipartire in motocicletta con la consorte, aveva asportato una pistola da un fienile. I propositi omicidi del De Filippo vennero anche confermati dal vigile urbano Nicola Di Caterino.  Diverse, invece, le dichiarazioni rese nel carcere di S. Maria C.V. dall'imputato dove si fa subito rilevare l’atteggiamento del De Filippo che, “imbaccuccato ed a capo basso col volto contratto e pallido emette sospiri che ne scuotono tutta la persona e porta frequentemente la mano alla fronte rimanendo per lunghi periodi assorto ed anche assente scuotendosi di soprassalto ed emettendo anche lamenti”. La famiglia De Filippo godeva cattiva fama: il padre era dedito ad abuso di alcool ed a delitti contro il patrimonio; Un fratello subì una condanna per furto di bestiame; un cugino di primo grado – dal lato materno – si rese responsabile di omicidio. Quando faceva il militare fu accusato di furto e ricettazione e condannato a 10 mesi di reclusione espiati negli stabilimenti militari di Gaeta. In base ad una siringa antitifica manifestò crisi convulsive cadendo spesso dal letto e graffiandosi il volto seguite da obnubilamento della coscienza. All’ospedale militare di Roma fu trovato affetto da “sifiloma” iniziale dell’asta e inviato in licenza di convalescenza con diagnosi di “stato nevrosico in luetico”. Diagnosi definitiva: Ignazio De Fiklippo all’epoca del fatto aveva integra e completa capacità di intendere e volere. Egli non è persona socialmente pericolosa in senso psichiatrico.    

La separazione legale, il manicomio e la condanna a 30 anni per l’uxoricidio, confermata in appello e cassazione

Ignazio De Filippo di anni 38 da Casal di Principe, uccise la moglie Lucia Madonna con vari colpi di pistola a Grazzanise il 19 gennaio del 1955. La Corte di Assise (Giovanni Morfino, presidente; Guido Tavassi, giudice a latere; Gennaro Calabrese, pubblico ministero; Luigi Cirillo, Guglielmo Merola, Giovanni Napoletano, Alessandro Gentile, Gennaro Della Valle, Salvatore La Porta e Alfredo Perrotta; giudici popolari) lo condannò a 30 anni per l’uxoricidio, condanna confermata in appello e cassazione nonostante il ricorso dell’imputato (che riteneva la pena eccessiva)  e del pubblico ministero (che la riteneva mite). Nei tre gradi di giudizio furono impegnati gli avvocati: Enrico Altavilla, Vittorio Verzillo, Giuseppe Irace e Lorenzo Ferillo. Nel 1953 Lucia Madonna, con l’assistenza dell’avvocato civilista Nicola Di Costanzo aveva ottenuto dal tribunale di Napoli la separazione dal marito Ignazio De Filippo (allora non c’era ancora il divorzio) con l’affidamento della figlia Olga di anni 8 (nata dal loro matrimonio) ed una condanna a lire diecimila al mese per il mantenimento. Si erano sposati nel 1944 (all’epoca della separazione il marito era detenuto nel manicomio criminale di Pozzuoli) ed avevano vissuti assieme solo per tre mesi in quanto il marito aveva venduto la casa e si era unito con un’altra donna (di facili costumi) di Trentola e dal 1945 era in carcere (essendo stato condannato dalla Corte di Assise di Santa Maria Capua Vetere per omicidio) ed aveva chiaramente fatto capire alla moglie che non intendeva continuare a ricevere la sua visita nelle carceri di Pozzuoli. 



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