La triste storia
di un truce destino e l’avvisaglia del delitto. Quando uccidere la moglie non
era femminicidio. Ignazio De
Filippo uccise la moglie Lucia Madonna in Grazzanise
Le prime avvisaglie del truce
destino si erano presentate subito dopo il matrimonio allorquando il De Filippo
– non sano di mente – sottoponeva a continue minacce, percosse ingiurie,
lesioni e in ultimo, minacce di morte la moglie. Nel corso dell’istruttoria per
la causa di separazione dei coniugi – tale Orsola
Ignazio, dichiarava che la propria figlia Maria Ascanio nel giugno del 1944 quando il De Filippo era già
sposato con la moglie Lucia aveva sedotto e condotto con sé per venti giorni la
propria figlia.
Il 19 gennaio del 1954, il
funzionario del Consorzio del Basso Volturno, Vincenzo Nastri, nel corso del suo lavoro, verso le ore 11,40 tra i
poderi dell’O.N.C. n°558 e 559 in tenimento di Grazzanise, località “Selvalunga”,
scopriva il corpo di una donna senza vita. Il comandante della stazione dei
carabinieri Cav. Francesco De Angelis,
con il carabiniere Luigi Di Lauro,
si portava sul posto dove già trovava il maresciallo Leonardo Coviello della Stazione di Cancello Arnone. Infatti
rinvennero trasversalmente alla strada il cadavere di una donna dall’apparente
età di 30/35 anni che giaceva supina con due fori sulla mammella sinistra e gli
abiti intrisi di sangue. Un ragazzo, tale Salvatore
Grasso, riferì ai carabinieri che il giorno del delitto si trovava nella
zona a pascolare un branco di pecore e che aveva assistito all’omicidio che
descrisse in quattro parole: “Un uomo e una donna erano arrivati in
motocicletta, lui era sceso e subito aveva sparato alla donna che era caduta a
terra. Poi l’uomo aveva inforcato la mota ed era partito a tutta velocità quasi
travolgendo il cadavere”.
L’identità del cadavere era
ancora senza nome allorquando in caserma si presentarono i fratelli Ubaldo e Nicola Madonna, da Casal di Principe, i quali facevano presente che
una loro sorella a nome Lucia era uscita assieme al marito Ignazio De Filippo
per incontrarsi con un certo Raffaele
Montesano e non ancora aveva fatto ritorno a casa. Subito dopo accompagnati
alla Morgue riconobbero il cadavere della sorella con queste espressioni:”Povera la
nostra Lucia…quel disgraziato del marito l’ha uccisa”- In seguito
alla emissione del mandato di cattura ed al bando per catturarlo i carabinieri
di Sant Andrea del Pizzone segnalavano che uno sconosciuto aveva depositato
nella masseria “Purgatorio” una moto di colore rosso marca Ceccato, targata SA
9626 che si ritenne fosse quella usata dall’assassino. Risultava, infatti, intestata a Giuseppe De Filippo, fratello
dell’omicida.- Dal canto suo Raffaele Montesano chiariva
che il De Filippo non era stato presso la sua abitazione quella mattina. Il 22
gennaio il De Filippo si costituiva ai carabinieri di Ciampino (Roma) e mentre
veniva tradotto a Santa Maria Capua Vetere si professò autore della uccisione
della moglie.
Dagli incartamenti dei
carabinieri risultava che il De Filippo anni addietro era stato condannato per
aver ucciso il cognato Ciro Vegnenti.
All’atto della liberazione dal carcere per la condanna riportata per l’omicidio
del cognato il De Filippo anziché rientrare a Casal di Principe presso la
moglie e la figlia prendeva domicilio presso il fratello Giuseppe in
Battipaglia. Però, nel frattempo, nonostante la separazione ordinata dal
tribunale la donna – per intercessione di amici – era stata costretta a fare
rientrare a casa il marito. Nel corso dell’istruttoria la perizia autoptica
accertò che la donna era stata uccisa con 4 colpi di pistola. Si accertò,
altresì, che il De Filippo era uscito dal carcere per il delitto del cognato
commesso – come detto – nel 1945.
L’inganno della gita fuori porta, la sua
soppressione in modo barbaro, l’abbandono in mezzo alla campagna del corpo
senza vita…
La mattina del 19 gennaio del
1955 il De Filippo aveva invitato la moglie ad una gita in moto e giunto nei
pressi di Grazzanise l’aveva invece uccisa e poi si era andato a costituire ai
carabinieri di Roma. Ma la sua versione del delitto fu quella di un pazzo.
Simulò un’aggressione di sconosciuti, un tentativo di rapina e lui per
difendersi avrebbe ucciso la moglie per aberratio
ictus. Un tentativo puerile per scrollarsi di dosso un così nefando
delitto. Ma la perizia psichiatrica affidata al Dott. Ugo Massari, Sanitario del Manicomio Giudiziale di Aversa svelò il
vero volto dell’assassino. Allo psichiatrico vennero affidati due quesiti: “accertare se il De Filippo all’epoca del
fatto avesse piena capacità di intendere e volere ovvero se la stessa fosse pe
infermità di mente grandemente scemata senza essere del tutto esclusa e se,
infine, il periziando fosse socialmente pericoloso”.
Durante la traduzione – da
Roma a Santa Maria Capua Vetere – il De Filippo si autolesionò , battendo le
manette contro la tempia ove si provocò una piccola ferita mentre invocava ad
alta voce: “Lucia, Lucia”. Dalle
missive dai carabinieri era balzato il suo curriculum: godeva di pessima fama
ed era un vagabondo, prepotente e sfruttatore. Il primo omicidio fu consumato nel 1945, con sette colpi di
arma da fuoco, in danno di Ciro Vegnenti, marito di una sua sorella, per futili
motivi, come descritto in un rapporto informativo del Sindaco di Ca sal di
Principe del 27/9/955. Ma in realtà, da una dichiarazione fatta dal De Filippo
durante la prima degenza nel Manicomio di Aversa, ed esattamente in data
17/12/947, il movente del delitto fu determinato perchè “egli voleva dare una lezione
al marito della sorella, il quale era spavaldo, violento e minaccioso”. E’
risultato anche che i fratelli Nicola e Menotti Madonna confermato quanto già
dichiarato ai Carabinieri, hanno aggiunto il particolare che il De Filippo,
durante la detenzione a Pozzuoli, faceva continue richieste di pugnali e
coltelli alla moglie, “forse per fare qualcosa di male in carcere”, perché
aveva litigato con un compagno di pena. Dopo avere escluso categoricamente che
il movente del delitto possa attribuirsi ad infedeltà coniugale, essendo la
sorella donna onestissima, hanno entrambi riferito, su domanda, di avere appreso,
l’uno (Nicola) direttamente dalla bambina Marianna
Fontana, l’altro (Menotti) dalla Rosa Schiavone, che l’omicida, la mattina
del delitto, prima dipartire in motocicletta con la consorte, aveva asportato
una pistola da un fienile. I propositi omicidi del De Filippo vennero anche
confermati dal vigile urbano Nicola Di
Caterino. Diverse, invece, le
dichiarazioni rese nel carcere di S. Maria C.V. dall'imputato dove si fa subito
rilevare l’atteggiamento del De Filippo che, “imbaccuccato ed a capo basso col
volto contratto e pallido emette sospiri che ne scuotono tutta la persona e
porta frequentemente la mano alla fronte rimanendo per lunghi periodi assorto
ed anche assente scuotendosi di soprassalto ed emettendo anche lamenti”. La
famiglia De Filippo godeva cattiva fama: il padre era dedito ad abuso di alcool
ed a delitti contro il patrimonio; Un fratello subì una condanna per furto di
bestiame; un cugino di primo grado – dal lato materno – si rese responsabile di
omicidio. Quando faceva il militare fu accusato di furto e ricettazione e
condannato a 10 mesi di reclusione espiati negli stabilimenti militari di
Gaeta. In base ad una siringa antitifica manifestò crisi convulsive cadendo
spesso dal letto e graffiandosi il volto seguite da obnubilamento della coscienza.
All’ospedale militare di Roma fu trovato affetto da “sifiloma” iniziale
dell’asta e inviato in licenza di convalescenza con diagnosi di “stato
nevrosico in luetico”. Diagnosi definitiva: Ignazio De Fiklippo all’epoca del
fatto aveva integra e completa capacità di intendere e volere. Egli non è
persona socialmente pericolosa in senso psichiatrico.
La
separazione legale, il manicomio e la condanna a 30 anni per l’uxoricidio,
confermata in appello e cassazione
Ignazio
De Filippo di anni 38 da Casal di Principe, uccise la moglie Lucia Madonna con vari colpi di pistola
a Grazzanise il 19 gennaio del 1955. La Corte di Assise (Giovanni Morfino, presidente; Guido
Tavassi, giudice a latere; Gennaro
Calabrese, pubblico ministero; Luigi
Cirillo, Guglielmo Merola, Giovanni Napoletano, Alessandro Gentile, Gennaro
Della Valle, Salvatore La Porta e Alfredo Perrotta; giudici popolari) lo
condannò a 30 anni per l’uxoricidio, condanna confermata in appello e
cassazione nonostante il ricorso dell’imputato (che riteneva la pena eccessiva) e del pubblico ministero (che la riteneva
mite). Nei tre gradi di giudizio furono impegnati gli avvocati: Enrico Altavilla, Vittorio Verzillo,
Giuseppe Irace e Lorenzo Ferillo.
Nel 1953 Lucia Madonna, con l’assistenza
dell’avvocato civilista Nicola Di
Costanzo aveva ottenuto dal tribunale di Napoli la separazione dal marito
Ignazio De Filippo (allora non c’era ancora il divorzio) con l’affidamento
della figlia Olga di anni 8 (nata dal loro matrimonio) ed una condanna a lire
diecimila al mese per il mantenimento. Si erano sposati nel 1944 (all’epoca
della separazione il marito era detenuto nel manicomio criminale di Pozzuoli)
ed avevano vissuti assieme solo per tre mesi in quanto il marito aveva venduto
la casa e si era unito con un’altra donna (di facili costumi) di Trentola e dal
1945 era in carcere (essendo stato condannato dalla Corte di Assise di Santa
Maria Capua Vetere per omicidio) ed aveva chiaramente fatto capire alla moglie
che non intendeva continuare a ricevere la sua visita nelle carceri di
Pozzuoli.
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