Omicidio Bolzano, la psicologa Slepoj:
«Benno è un figlio mai cresciuto, si sentiva
giudicato»
L’analisi dopo il ritrovamento del corpo della
madre, Laura Perselli: «Come per il delitto Maso, si uccidono i genitori per
eliminare l’idea che si ha della famiglia. L’acqua? Un segno non casuale»
«Mi
sembra diverso dagli altri casi. Penso a Carretta, Maso, Erika de Nardo, di
Novi Ligure. Non voglio apparire troppo benevola nei confronti di Benno ma la
vedo come una drammatica vicenda che riguarda molte situazioni nel Paese,
comune a molte famiglie: solitudine affettiva, quotidianità senza contenuti e
genitori che cercano, senza riuscirci, di mettersi in contatto con la vita dei
propri figli».
Vera Slepoj è una
psicologa e scrittrice. Nei suoi libri si è occupata di relazioni affettive e
problemi sociali. Ha collaborato con diversi giornali e curato a lungo una
rubrica sulla rivista Giallo. Ha seguito con molta attenzione il caso di
Bolzano, la scomparsa ai primi di gennaio di Laura Perselli e del marito Peter
Neumair, l’arresto del figlio Benno di 30 anni, accusato di averli uccisi.
Slepoj parte dall’idea che siamo dentro alla cornice psicologica del figlio che
uccide la coppia dei genitori. «Una coppia che appariva molto simbiotica. I due
facevano le cose assieme, erano sportivi, lavoravano all’unisono ed educavano
senza divergenze come se fossero una sola persona. Situazioni queste che danno
ai figli la sensazione di essere fuori dalla coppia. Il nucleo diventa i
genitori da un lato e figli dall’altro. Come per il delitto efferato di Maso,
si uccidono i genitori per eliminare le origini dell’idea che si ha della
famiglia».
«Più
o meno è così».
Ma Benno ha 30
anni, è un uomo formato. Una vita normale, come tante altre. Almeno così
appare.
«Premesso
che bisognerebbe avere più elementi per giudicare. Da quel che leggo penso
Benno sia stato un figlio con delle fragilità, non è riuscito a corrispondere
al modello familiare. Uno degli elementi più forti di sofferenza per un figlio
è l’indifferenza, l’eccesso di giudizio. Noi abbiano molto spesso dei genitori
che di fronte ai figli si mettono su una posizione non educativa ma
giudicativa. “Ti rimprovero perché non sei riuscito a fare niente, sei un peso
della nostra vita”».
Si
è parlato di carattere narciso. C’entra qualcosa?
«Benno
sembra un narcisista che ha costruito nella fisicità del corpo quello che non
riusciva ad avere nella propria testa. Di sicuro si può dire che quando c’è una
separazione definitiva di tipo affettivo, il dissidio è profondo e la violenza
è maturata anticamente. C’è un’accumulazione di danni che viene da lontano».
I
genitori di Benno volevano che il figlio contribuisse a pagare le spese in casa
se voleva restare ancora a vivere con loro. Per responsabilizzarlo.
«Se
si vuole formare un soggetto che sia responsabile, che significa essere
consapevoli delle conseguenze delle proprie azioni, non si arriva a 30 anni per
farlo. C’è una tipologia di genitori che non consente ai figli di raggiungere
la piena maturità. Seguono un certo comportamento e poi tolgono improvvisamente
la spina senza sapere cosa si può provocare. Sicuramente c’è stata l’incapacità
di questo giovane di fare i conti la realtà. Spesso i genitori tengono i propri
figli in casa senza allenarli. Però se li si tiene con sé non bisogna
rimproverarli continuamente».
Insomma,
alla base della violenza c’è l’incapacità dei genitori di educare. Non è una
spiegazione riduttiva?
«Bisogna
accompagnare i figli all’autonomia. L’educazione non è come la gestione di
un’azienda. Devi produrre, devi contribuire. Molti genitori pensano che con i
figli occorre agire così. Probabilmente il caso di Benno è quello di un bambino
che è non è mai veramente cresciuto, che aveva un rapporto simbiotico con i
genitori e loro non lo sapevano. L’autonomia non si costruisce di punto in
bianco chiedendogli di andare ad abitare da solo o pretendere il rimborso per
le spese della casa».
Cosa
ha in comune con altri omicidi del genere?
«Non
ha la violenza di Maso o di Novi, sembra essere ad un livello più legato allo
stato di angoscia, di accumulo di sentimenti di odio e rancore. Vedo una
mancanza di alternativa. Lui aveva sicuramente un legame affettivo ma non si è
potuto evolvere. Si è concentrato su di sé: queste forme di narcisismo si
sviluppano quando ti manca qualcosa altro. Benno aveva la bellezza e l’ha
esasperata. Da quel che si legge non è stato un omicidio efferato, violento.
Non era rabbia ma una forma di malinconia e di disastro affettivo.
Probabilmente non si sentiva amato».
Basta
questo per uccidere padre e madre?
«Benno
mi sembra uno che ha avuto una vita nella norma, che non l’ha mai messo di
fronte all’esperienza di lavorare con se stesso. Con gli altri casi di omicidio
di cui abbiamo parlato c’è un filo che li lega: la separazione netta tra figli
e genitori, nuclei che andavano avanti separati. Genitori che sicuramente hanno
voluto bene ai lori figli dai quali sono stati uccisi però c’era una
separazione affettiva, cominciata da parecchio tempo. Quando non si riesce a
capire il figlio cosa pensa, cosa fa».
Il
cadavere della mamma è stato ritrovato nel fiume Adige. Rimane il corpo del
marito.
«Qui
andiamo in un altro campo, quello dei simboli. L’acqua purifica, Benno voleva
bene a questi genitori, ma chissà in quale deliro era entrato. Se è stato lui
li ha mollati nell’acqua, come una sorta di funerale simbolico».
Fonte:
di Agostino Gramigna/ Corriere della Sera

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