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martedì 27 aprile 2021

 




MERCOLEDì 28 APRILE 2021
Clamoroso
A Potenza il bar del Palazzo di giustizia era gestito dalle cosche [Specchia, Libero].
 
In prima pagina
• Camera e Senato approvano la risoluzione di maggioranza sul Recovery plan da 248 miliardi. Fratelli d’Italia si astiene
• La Procura di Vicenza ha disposto un’autopsia sul corpo del ragazzo di 18 anni morto lunedì mattina mentre seguiva una lezione a distanza
• Accordo nella maggioranza: il coprifuoco e le altre restrizioni saranno rivisti a maggio, lo prevede un nuovo ordine del giorno approvato ieri
• La famiglia tornata in Veneto con la variante indiana ha contratto il virus durante un pellegrinaggio sul Gange
• Ieri ci stati altri 373 morti. I ricoverati in terapia intensiva sono 2.748 (-101). Il tasso di positività cala di quasi due punti e mezzo (al 3,4%). Le persone vaccinate con una dose sono 12.892.658, il 21,6% della popolazione
• Da oggi alle regioni 2,2 milioni di dosi Pfizer. Crisanti dice che rischiamo una nuova ondata a fine maggio. Bertolaso tornerà presto a Roma: vuole fare il sindaco?
• Gli americani hanno un problema: negli Stati conservatori e nelle comunità nere non vogliono vaccinarsi. A Los Angeles stanno preparando un concerto per raccogliere fondi per i vaccini nei Paesi poveri, ci saranno J.Lo, Selena Gomez, Harry e Meghan. Nessun contagiato dopo il concerto con 5.000 persone a Barcellona. In Brasile vietata l’importazione dello Sputnik
• A quattro mesi dall’omicidio compiuto dal figlio Benno, dal fiume Adige è emerso il cadavere di Peter Neumair
• Moltissimi milanesi hanno dato l’ultimo saluto a Milva nel foyer del teatro Piccolo
• Dodici arrestati in Sud Sudan per l’agguato al vescovo Carlassare, tra loro anche tre preti della diocesi
• Arrestato a Ferrara un prete pedofilo siciliano
• Il giudice De Benedictis ammette: «Ho preso quelle tangenti per far scarcerare tre persone, chiedo scusa»
• In California ci saranno elezioni straordinarie per decidere se rimuovere il governatore Gavin Newsom
• L’ultima del principe Andrea: ha fatto società con un ex banchiere accusato di molestie
• Attacco jihadista in Burkina Faso. Tra le vittime: tre giornalisti europei, due spagnoli e un irlandese
• La Ocean Viking ha salvato 236 migranti al largo della Libia
• Semifinali di Champions, Real Madrid-Chelsea 1-1. Oggi si gioca Psg-Manchester City
 
Titoli
Corriere della Sera: A maggio cambia il coprifuoco
la Repubblica: Draghi chiede lealtà a Salvini
La Stampa: È tregua sul coprifuoco / Salvini: resto al governo
Il Sole 24 Ore: Più risorse per ecologia e svolta digitale nel Recovery plan di Francia e Germania
Avvenire: (R)estate a scuola
Il Messaggero: AstraZeneca e J&J, ok per tutti
Il Giornale: Cade il tabù coprifuoco
Leggo: Reddito, assegno ai mafiosi
Qn: Lavoro, casa, asili: ecco il piano giovani
Il Fatto: Stanno impazzendo
Libero: La mafia gestiva il bar del tribunale
La Verità: Ecco cosa c’è nel video di Ciro che manda Grillo fuori di testa
Il Mattino: AstraZeneca e J&J ai volontari
il Quotidiano del Sud: I soldi ci sono, spendiamoli bene
il manifesto: Giustizia terapeutica
Domani: Gli affari segreti di Conte
Clamoroso
A Potenza il bar del Palazzo di giustizia era gestito dalle cosche [Specchia, Libero].
In prima pagina
• Camera e Senato approvano la risoluzione di maggioranza sul Recovery plan da 248 miliardi. Fratelli d’Italia si astiene
• La Procura di Vicenza ha disposto un’autopsia sul corpo del ragazzo di 18 anni morto lunedì mattina mentre seguiva una lezione a distanza
• Accordo nella maggioranza: il coprifuoco e le altre restrizioni saranno rivisti a maggio, lo prevede un nuovo ordine del giorno approvato ieri
• La famiglia tornata in Veneto con la variante indiana ha contratto il virus durante un pellegrinaggio sul Gange
• Ieri ci stati altri 373 morti. I ricoverati in terapia intensiva sono 2.748 (-101). Il tasso di positività cala di quasi due punti e mezzo (al 3,4%). Le persone vaccinate con una dose sono 12.892.658, il 21,6% della popolazione
• Da oggi alle regioni 2,2 milioni di dosi Pfizer. Crisanti dice che rischiamo una nuova ondata a fine maggio. Bertolaso tornerà presto a Roma: vuole fare il sindaco?
• Gli americani hanno un problema: negli Stati conservatori e nelle comunità nere non vogliono vaccinarsi. A Los Angeles stanno preparando un concerto per raccogliere fondi per i vaccini nei Paesi poveri, ci saranno J.Lo, Selena Gomez, Harry e Meghan. Nessun contagiato dopo il concerto con 5.000 persone a Barcellona. In Brasile vietata l’importazione dello Sputnik
• A quattro mesi dall’omicidio compiuto dal figlio Benno, dal fiume Adige è emerso il cadavere di Peter Neumair
• Moltissimi milanesi hanno dato l’ultimo saluto a Milva nel foyer del teatro Piccolo
• Dodici arrestati in Sud Sudan per l’agguato al vescovo Carlassare, tra loro anche tre preti della diocesi
• Arrestato a Ferrara un prete pedofilo siciliano
• Il giudice De Benedictis ammette: «Ho preso quelle tangenti per far scarcerare tre persone, chiedo scusa»
• In California ci saranno elezioni straordinarie per decidere se rimuovere il governatore Gavin Newsom
• L’ultima del principe Andrea: ha fatto società con un ex banchiere accusato di molestie
• Attacco jihadista in Burkina Faso. Tra le vittime: tre giornalisti europei, due spagnoli e un irlandese
• La Ocean Viking ha salvato 236 migranti al largo della Libia
• Semifinali di Champions, Real Madrid-Chelsea 1-1. Oggi si gioca Psg-Manchester City
Titoli
Corriere della Sera: A maggio cambia il coprifuoco
la Repubblica: Draghi chiede lealtà a Salvini
La Stampa: È tregua sul coprifuoco / Salvini: resto al governo
Il Sole 24 Ore: Più risorse per ecologia e svolta digitale nel Recovery plan di Francia e Germania
Avvenire: (R)estate a scuola
Il Messaggero: AstraZeneca e J&J, ok per tutti
Il Giornale: Cade il tabù coprifuoco
Leggo: Reddito, assegno ai mafiosi
Qn: Lavoro, casa, asili: ecco il piano giovani
Il Fatto: Stanno impazzendo
Libero: La mafia gestiva il bar del tribunale
La Verità: Ecco cosa c’è nel video di Ciro che manda Grillo fuori di testa
Il Mattino: AstraZeneca e J&J ai volontari
il Quotidiano del Sud: I soldi ci sono, spendiamoli bene
il manifesto: Giustizia terapeutica
Domani: Gli affari segreti di Conte
PAGINA ZERO
«Non bisognerebbe mai
regalare a una donna
qualcosa che non possa
indossare la sera»
Oscar Wilde
Grucce
L’uso delle grucce per appendere gli abiti nel guardaroba risale all’Ottocento. Le donne di epoca vittoriana, con le loro gonne di crinoline, incoraggiarono il perfezionamento di questa invenzione per non stropicciare i loro vaporosi abiti [Furlan, IL].

Biglietti
«Attore con guardaroba» [biglietto da visita di Cesco Baseggio].

Case
Anna Dello Russo, giornalista di moda, ha due appartamenti a Milano nello stesso palazzo: uno lo usa soltanto come cabina armadio [Persivale, CdS].

Scarpe
Letizia Moratti ama le scarpe di Jimmy Choo, ma le indossa solo la sera. Di giorno preferisce Ferragamo e Roger Vivier [Cassola, Gente].

Scarlett
Cose che non possono mancare nel guardaroba di una donna, secondo Scarlett Johansson: «Un trench, una gonna attillata, una camicia iperfemminile e un reggiseno nero. Poi sono fondamentali le scarpe con i tacchi alti. Io ne ho più di 100» [Asnaghi, Rep].

Vate
Gabriele D’Annunzio teneva moltissimo alle sue scarpe. «Ne possedeva centinaia, che andavano dai mocassini in cuoio e capretto scamosciato alle scarpe allacciate o abbottonate anche bicolori, alle calzature in vernice nera da sera, per passare poi agli stivali alti da ufficiale o quelli bassi allacciati, a vari tipi di sandali in pelle o rafia, alle scarpe estive bianche e per finire con le pantofole in tessuto ricamate» [Scarpellini, Lettura].

Marylin
«Leggenda vuole che Marilyn facesse realizzare le sue scarpe a Salvatore Ferragamo con il tacco di mezzo centimetro più corto del dovuto per aumentare ancora lo slancio delle reni ma quando, nel 2012, Ferragamo organizzò una grande mostra dei suoi abiti, costumi e accessori a Palazzo Spini Feroni affiancandoli ad opere d’arte classica, rinascimentale e moderna che avrebbero potuto ricalcarne la parabola esistenziale, compreso il gesso della Ninfa Dormiente del Canova, arrivato dal museo di Possagno, e una copia dell’Afrodite pudica nuda tipo Dresda Capitolino dal Museo di Fiesole, andammo ad esaminare le scarpe originali da vicino e non vi riscontrammo nulla di inconsueto» [Giacomotti, Foglio].

Altre cose
Abbiamo anche appreso: che Massimo Fini è stato assolto in una causa civile per diffamazione intentatagli da Berlusconi; che Moderna, la casa farmaceutica produttrice di uno dei vaccini contro il covid, sta lavorando a un vaccino contro l’aids; che la Costituzione tedesca non contempla i referendum; che nel 1529 Michelangelo Buonarroti provò a scappare dalla Firenze assediata da Carlo V con dodicimila fiorini d’oro nascosti in tre giacconi; che il vero nome di Chloe Zhao è Zhao Ting; che Giuliano Amato iniziò a fare politica difendendo i minatori di Carrara; che con il grano coltivato a Chernobyl oggi si produce un tipo di vodka (la «Atomik»).
IN TERZA PAGINA [vai]
I gay e l’ipocrisia della sinistra (M. Feltri)
I tavolini sono i nuovi balconi (Crippa)
Lerner, Santoro e il falò dei rimpianti (Grasso)
Amori
«Spiegatemi perché una donna non può avere amici, ma sempre e solo amanti. Perché se incontro due volte un ragazzo simpatico per un aperitivo si parla subito di nuovo amore? Perché se faccio uno spot con un calciatore si insinua per mesi che siamo una coppia segreta? Perché se frequento un attore, bellissimo, e siamo felici, deve essere per forza una storia inventata? E perché se, nel rispetto del lockdown, rinuncio a un meraviglioso viaggio all’estero si parla di crisi fra noi?» [Diletta Leotta, 29 anni, su Instagram, stufa del fatto che i giornali le attribuiscano storie con questo e con quello].
Il commento di tale Patrizio Scarpiniti: «Io me te farei lo stesso».
Buste paga
La spesa per il reddito di cittadinanza nella provincia di Napoli si avvicina a quella dell’intero Nord Italia. È quanto emerge dalle tabelle dell’Inps, dove si scopre che a Napoli, nel mese di marzo, sono state 157 mila le famiglie che percepivano il reddito o la pensione di cittadinanza, ovvero 459 mila persone. Nello stesso periodo, in tutto il Nord 224.872 le famiglie hanno ricevuto il reddito o la pensione di cittadinanza, equivalenti a poco più di 452 mila persone. Tradotto in euro: 109,7 milioni nel Nord e 102,2 milioni solo nella provincia di Napoli.
Il sociologo Domenico De Masi, tra i più convinti fautori del reddito di cittadinanza: «Può darsi che abbiano anche imbrogliato di più che al Nord, ma non tanto da capovolgere la realtà, che è quella di un dramma. Le notizie dei furbetti del reddito danno una lettura superficiale».
Stipendi di alcuni dei dirigenti delle società quotate in Piazza Affari nel 2020. Fulvio Montipò, presidente e ad di Interpump Group: 14,36 milioni di euro lordi (2,73 in busta paga, 11,63 da plusvalenze per l’esercizio di stock option). Remo Ruffini, presidente e ad di Moncler: 12,77 milioni. Massimo Mondazzzi, ex cfo di Eni, e direttore generale Energy evoluzion: 11,12 milioni, grazie alla buonuscita di 10,2 milioni. Roberto Eggs, consigliere esecutivo di Moncler, 11,12 milioni. Mike Manley, ad di Fca: 9,13 milioni. Carlo Cimbri, numero uno di Unipol, 9,1 milioni. Luciano Santel, consigliere esecutivo di Moncler: 7,88 milioni. Luigi Ferraris: ex ad di Terna, 6,83 milioni, grazie alla buonuscita di 4,73. Francesco Starace, ad e dg di Enel: 6,67 milioni (con bonus da 5,11 milioni). Pietro Salini, ad di Webuild: 6 milioni. Claudio Descalzi, ad dell’Eni: 5,315 milioni (3,7 milioni di bonus). Alberto Nagel, ad di Mediobanca: 4,12 milioni. Marco Alverà, ad di Snam: 4,06 milioni. Carlo Messina, ad di Intesa San Paolo: 3,81 milioni. Luigi Gubitosi, ad e dg di Telecom: 3,3 milioni. Francesco Milleri, ad di EssilorLuxottica: 2,826 milioni. Urbano Cairo, presidente di Cairo Communication di RCS MediaGroup: 2,79 milioni [Dragoni, Sole].
Incidenti
Ieri pomeriggio, sulla strada provinciale 20 tra Comiso e Santa Croce, in provincia di Ragusa, una Ford Fiesta s’è scontrata frontalmente con un furgone Renault. Morte le quattro persone a bordo della Fiesta, due del Gambia, uno del Senegal e uno della Guinea, tutte impiegati in aziende agricole della zona. Lievemente ferito il guidatore del furgone, un quarantaduenne di Comiso.
PRIMA PAGINA
«Non sono mai riuscita a tenere a mente
le scadenze del mio ciclo mestruale:
figuriamoci quelle del piano pandemico»
Guia Soncini
Sì del Parlamento al Recovery di Draghi
Il Parlamento ha approvato a larghissima maggioranza il Piano di ripresa e resilienza presentato dal governo Draghi. Alla Camera ci sono stati 442 sì, 19 no e 51 astenuti. Al Senato 224 sì, 16 no e 21 astenuti. Hanno votato a favore Lega, Forza Italia, Italia Viva, centristi, Pd, Leu e Movimento Cinque Stelle. I parlamentari di Fratelli d’Italia si sono astenuti, quelli di Alternativa c’è, componente del gruppo misto creata da ex grillini, sono stati gli unici a votare contro.
In ossequio al bicameralismo perfetto, il presidente del Consiglio ha dovuto rileggere il suo discorso di lunedì alla Camera anche a Palazzo Madama.
«La lunga giornata è segnata e alleggerita anche da episodi di colore. Arrivato al Senato, a inizio di seduta, leggendo il discorso sul Recovery plan da trasmettere alla Commissione entro il 30 aprile, il presidente del Consiglio si rivolge agli “onorevoli deputati”. Rumoreggia l’Aula. Draghi chiede: “Cosa c’è? Devo togliere la mascherina...”, e la sfila. Ma qualcuno gli fa notare l’errore. “Ah, è vero, siamo al Senato”, dice raccogliendo l’applauso dei parlamentari. Dunque inizia nuovamente il discorso, ma ancora una volta si rivolge agli “onorevoli deputati”. Segue un tocco sulla tempia e le scuse, e ancora una volta l’applauso dell’emiciclo» [Galluzzo, CdS].
«Poco dopo, invece, il capo del governo riesce a trovare il tempo di scherzare: “Sarà approvato un decreto già a maggio 2021 con gli interventi urgenti di semplificazione. E certo sono già tanti a maggio...”, facendo affiorare con il tono di voce anche la mole di lavoro che lo attende insieme al resto del governo, proprio per l’attuazione del Piano, che prevede una serie molto lunga di riforme» [ibidem].
«Uscire dalla buvette, mettersi con il naso schiacciato sui finestroni nel corridoio dei Busti, ritrovarsi con un operaio sul ponteggio esterno che chiede: “Dottò: me sa che co’ Draghi je la famo, ve?”» [Roncone, CdS].
Nel corso delle dichiarazioni di voto, l’on. Giorgia Meloni ha spiegato l’astensione di Fratelli d’Italia così: «Un partito serio non vota un piano così in assenza di risposte e non accetta il metodo di un piano chiuso per mesi nel cassetto e poi sottoposto al voto con un prendere o lasciare».
Alle critiche di Fratelli d’Italia sui tempi stretti per l’approvazione del Pnrr da parte del Parlamento, il presidente del Consiglio ha risposto: «Indubbiamente i tempi erano ristretti ma la scadenza del 30 aprile non è mediatica. È che se si arriva prima si avranno i fondi prima. La Commissione andrà sui mercati a fare la provvista per il fondo a maggio, poi la finestra si chiuderà nell’estate: se si consegna il piano subito, si avrà accesso alla prima provvista, sennò si andrà più avanti».
L’on. Nicola Fratoianni, di LeU, ha fatto notare che «il salario minimo legale è scomparso nell’ultima versione del testo».
I fuoriusciti grillini, invece, hanno votato no perché nel Piano si apre alla modifica della legge sulla prescrizione varata dal Conte 1.
«Arriva il bollettino Covid: 10.404 nuovi casi e 373 morti. Il tasso di positività scende al 3,4%. In calo i ricoveri nelle terapie intensive.
Usciamo dal Senato e si cammina nei vicoli di Roma ragionando su questi dati, sul piano di Draghi, sul destino di questo Paese.
È notte.
Ma forse, laggiù, s’intravede un po’ di luce» [Roncone, cit].
Stamattina i ministri dell’Economia di Italia, Francia, Germania e Spagna terranno una conferenza stampa in streaming per presentare i rispettivi piani di ripresa.

Il ragazzo morto durante la didattica a distanza
La Procura di Vicenza ha aperto un’inchiesta sul caso di Matteo Cecconi, 18 anni, studente di quarta e rappresentate d’istituto dell’Itis Fermi di Bassano del Grappa, trovato morto lunedì mattina a casa propria. Matteo stava bene, era un ragazzo sportivo e non aveva alcun problema di salute. L’altro ieri, quando è morto, stava seguendo una lezione a distanza. Alle 9.30, al cambio dell’ora, aveva scollegato lo schermo del suo computer e non si era ricollegato al termine della pausa. Il padre, rientrato a casa, lo aveva trovato agonizzante, riverso sul pavimento della cucina. Il pm Gianni Pipeschi ha disposto un’autopsia.
I carabinieri, perquisita la stanza del ragazzo, hanno sequestrato alcune confezioni di medicinali e del nitrito di sodio, un conservante per alimenti, tossico se usato in quantità eccessive. Dall’analisi del suo computer è venuto fuori che Matteo lo aveva comprato su internet, pagandolo una ventina di euro. Resta da capire come mai lo abbia ingerito: è stato un incidente? voleva fabbricarsi una droga casalinga? voleva suicidarsi?

Un accordo sul coprifuoco
I partiti della maggioranza hanno trovato un compromesso e alla Camera è passato un ordine del giorno che impegna il governo a rivedere, e in caso modificare, il coprifuoco e le altre restrizioni a metà maggio, «sulla base dell’andamento del quadro epidemiologico oltre che dell’avanzamento della campagna vaccinale». Lega e Forza Italia hanno salutato il compromesso come un successo e, a questo punto, si sono potuti permettere di non votare l’ordine del giorno presentato da Fratelli d’Italia per l’abolizione del coprifuoco, bocciato con 233 no, 48 sì e 8 astenuti.
Nella sua enews Matteo Renzi aveva scritto: «È ovvio che vada rivisto il coprifuoco delle 22. Lo sanno tutti e privatamente lo dicono tutti: così non ha senso. Dunque, nei prossimi giorni il coprifuoco andrà tolto o l’orario prolungato».
«“La notte è piccola per noi,
piccola per noi, troppo piccolina...”,
le gemelle Kessler in Parlamento»
[Jena, Sta].

La variante dal Gange al Veneto
«Tra i cinque milioni accorsi sulle rive del Gange per il Kumbh Mela, uno dei più importanti pellegrinaggi induisti, c’era anche la famiglia di cittadini indiani residente a Villaverla, nel Vicentino: i primi ad aver contratto con certezza la variante indiana del Covid 19. E c’è una grande probabilità che sia stato proprio quell’evento l’occasione di contagio. Sono stati oltre 1.700, infatti, i casi emersi, su oltre 200 mila test effettuati tra i pellegrini. Numeri che hanno indotto la Juna Akhara, la congregazione che gestisce l’evento religioso, a interromperlo precocemente già il 17 aprile. A quella data, però, i quattro vicentini erano già rientrati in Italia, con un volo atterrato il 7 aprile all’aeroporto di Orio al Serio (Bergamo). Da lì avevano preso un taxi che li ha riaccompagnati fino a casa. Si tratta di un uomo di 42 anni, della moglie di 33 e dei figli di 9 e 6 anni. Da quel giorno hanno rispettato strettamente il periodo di quarantena raccomandato» [Orsato, CdS].
Ci sono due casi sospetti di variante indiana a Venezia. Spiega la direttrice dell’Istituto Zooprofilattico delle Venezie, Antonia Ricci: «Abbiamo trovato una mutazione sicura ma le altre non sono state caratterizzate, siamo in attesa dell’esito completo».

Il coronavirus in Italia
Prime dosi (totali): 12.989.276 (il 21,78% della popolazione)
Persone vaccinate: 5.403.068 (il 9,06% della popolazione)
di cui con vaccino monodose: 26.206 (lo 0,04% della popolazione)
Attualmente positivi: 448.149
Deceduti: 119.912 (+373)
Dimessi/Guariti: 3.413.451 (+14.688)
Ricoverati: 23.060 (-424)
di cui in Terapia Intensiva: 2.748 (-101)
Tamponi: 57.574.570 (+302.734)

Totale casi: 3.981.512 (+10.404, +0,26%)
[YouTrend]
Il tasso di positività è calato di quasi due punti e mezzo in 24 ore e ora è al 3,4%.
Da oggi 2,2 milioni di dosi di vaccino Pfizer saranno distribuite alle regioni e alle province autonome. «È il lotto più consistente in assoluto tra quelli approvvigionati dall’inizio della campagna vaccinale», si legge in una nota del commissario per l’emergenza Covid.
Ha visto l’happy hour per le strade italiane?
«È iniziato già dal weekend scorso e non era difficile da prevedere. Mi permetta un altro pronostico facile: nelle prossime settimane ci sarà chi dirà “Avete visto, la curva dei contagi non risale nonostante le riaperture”».
E invece?
«La dinamica del virus è complessa. Da una parte ci sono le restrizioni dei mesi scorsi, che per altre due o tre settimane modereranno la curva, ma dall’altra arrivano i nuovi contagi dovuti alle riaperture, agli aperitivi, alle visite agli amici e alle scuole, i cui risultati rimarranno invisibili per qualche tempo ed esploderanno a fine maggio. Il periodo di latenza illuderà che tutto stia filando liscio, ma sarà solo un effetto ottico» [Andrea Crisanti, a Francesco Rigatelli, Sta].
Guido Bertolaso nei prossimi giorni tornerà a Roma. La sua missione in Lombardia è finita? Il presidente della regione Attilio Fontana dice di no («Ha fatto un grande lavoro e continuerà a farlo nelle prossime settimane»), ma tutti pensano che se ne sia tornato nella capitale perché Salvini vuole candidarlo sindaco.
Il sindaco di Procida Dino Ambrosino ha annunciato che sulla sua isola sono stati vaccinati già tutti gli ultrasessantenni, e che entro sabato l’intera popolazione isolana avrà ricevuto la prima dose.
Il ministro del Lavoro Andrea Orlando ha proposto di estendere il telelavoro fino al 30 settembre.

Il coronavirus nel mondo
Il 25% dei cittadini britannici ha ricevuto tutte e due le dosi di vaccino.
Non è stato riscontrato nessun caso di coronavirus tra i cinquemila partecipanti al concerto-esperimento organizzato a Barcellona lo scorso 27 marzo. L’hanno annunciato gli organizzatori.
Tutti gli spettatori erano stati sottoposti a un test antigenico, indossavano la mascherina ma avevano potuto ballare senza distanza sotto al palco sulle note della band Love of Lesbian.
Il ministro della Salute francese ha fatto sapere che la variante sudafricana si sta diffondendo nell’area di Parigi. Per ora, nessun caso di variante indiana è stato identificato sul territorio francese.
Il Belgio ha chiuso temporaneamente le frontiere ai viaggiatori provenienti da India, Brasile e Sud Africa a causa della circolazione di varianti del virus in questi paesi.
Il presidente turco Recep Tayyip Erdoğan ha annunciato che da domani e fino al 17 maggio in Turchia inizierà un nuovo lockdown molto rigido. In base alle misure previste, ha detto Erdoğan, le scuole funzioneranno solo con la didattica a distanza, serviranno certificazioni con motivi validi per qualsiasi spostamento fuori dalle città e i trasporti avranno limitazioni molto stringenti.
Negli Stati Uniti i Centers for Disease Control hanno annunciato le nuove linee guida sulla pandemia: chi ha ricevuto entrambe le dosi del vaccino potrà togliersi la mascherina all’aperto, o anche al coperto, a patto di stare in piccoli gruppi o con altre persone già vaccinate; dovrà invece continuare a indossarla in chiesa, al cinema, dal parrucchiere, nei centri commerciali, e negli eventi affollati all’aperto, come per esempio gli eventi sportivi o i musei.
«I meno vaccinati sono gli Stati rossi, i più conservatori, dove i repubblicani e gli evangelici si dicono nettamente contrari alle inoculazioni. Clamoroso il caso del Kansas, che ha rimandato indietro i vaccini, ma anche Iowa, Louisiana e Mississippi non ne chiedono più. Gli “scettici del vaccino” arrivano a circa il 37% della popolazione over-16. Ma se fra questi c’è uno zoccolo intransigente del 13% che non sente ragioni, il rimanente è più morbido, ed è rappresentato da giovani che si sentono invincibili, conservatori che non si fidano del governo, afro-americani che non dimenticano che furono oggetto di esperimenti farmacologici. Per convincere questa fetta degli “scettici” si stanno tentando varie strade. Lo Stato della Virginia dell’Ovest ad esempio, guidata da un repubblicano, adotterà la strada del dollaro: un buono da 100 dollari a chi si faccia vaccinare. Sono anche scattate campagne con testimonial di altissimo livello. Per convincere gli afro-americani, si sono mobilitati Barack Obama, Shaquille O’Neal e Charles Barkley in uno spot che sollecita i giovani di colore ad avere fiducia nella scienza. Altre celebrità hanno partecipato a speciali nei vari canali tv o lanciato spot sulle varie piattaforme per convincere il pubblico. Si sono mobilitati Matthew McConaughey, Jennifer Lopez, Billy Crystal, Jennifer Hudson, Lin-Manuel Miranda, Michelle Obama. In campo repubblicano, deputati e senatori che hanno formazione scientifica stanno a loro volta organizzando una serie di annunci via YouTube per convincere la propria base elettorale» [Guaita, Mess].
Il prossimo 8 maggio, al SoFi Stadium di Los Angeles, andrà in scena Vax Live: The Concert to Reunite the World, un concerto evento per raccogliere fondi da destinare all’acquisto di vaccini per i Paesi poveri. L’iniziativa, che ricorda il famoso Live Aid del 1985, ha il sostegno del G20, del Omc, della Commissione europea, dei primi ministri di Sudafrica, Norvegia e Spagna e dello stato della California. La presentatrice sarà Selena Gomez. I cantanti Jennifer Lopez, Eddie Vedder dei Pearl Jam, i Foo Fighters, J Balvin e H.E.R. Ci saranno anche Harry e Meghan.
L’Agenzia di vigilanza sanitaria brasiliana (Anvisa) ha negato la richiesta di numerosi stati per l’importazione del vaccino russo Sputnik. Non ci sono dati sufficienti per verificarne la sicurezza e l’efficacia, ha spiegato l’agenzia.
Con i 2.771 nuovi decessi registrati ieri, l’India si avvicina ai 200 mila morti dall’inizio della pandemia.
Un’inchiesta della rete televisiva Ndtv ha rivelato che la settimana scorsa almeno 1.150 decessi non sono stati inclusi nel conteggio ufficiale di Nuova Delhi.
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IN QUARTA PAGINA [vai]
INFERNO INDIA
Dove il virus ingoia vite come un mostro
di Carlo Pizzati e Danilo Taino
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Nella sezione Oggi Giornata mondiale per la salute e la sicurezza sul lavoro • A giudizio a Genova Marco Cappato e Mina Welby • A Firenze la sentenza d’appello bis sul caso Martina Rossi • In Senato la mozione di sfiducia contro Speranza • Un libro dedicato all’esploratore Vittorio Bottego • Biografia di un giardino • Concerto «Alla francese» su TeatroallaScala.org e AccademiaLaScala.it (ore 18) • Il film di Pupi Avati sulla famiglia Sgarbi • Su Iris Il filo nascosto di Paul Thomas Anderson (ore 20.55) • Su LaEffe Frantz di François Ozon (ore 21.10) • Il Vangelo di oggi: «Non sono venuto per condannare il mondo, ma per salvare il mondo»
 
Nella sezione Domani Gli 85 anni di Zubin Mehta • 2011: matrimonio di William e Kate • Lamberto Sposino colto da un malore • 1996: Di Pietro vuole fondare un partito • 1991: Berlusconi e De Benedetti trovano un accordo, finisce la guerra di Segrate • 1981: la Rai trasmette la prima puntata di Dallas • 1961: a Reggio Emilia debutta Luciano Pavarotti • 1951: morte di Wittgenstein • 1941: la corona croata è offerta a un principe di casa Savoia • 1861: il pittore Claude Monet, 21 anni, non ha abbastanza soldi per evitare il servizio militare
SECONDA PAGINA
«Siamo fighissimi noi italiani,
non condivido il pessimismo»
Nicola Giuliano
Recuperato il cadavere di Peter Neumair
Ci sono voluti quasi quattro mesi ma alla fine l’Adige ha restituito anche il cadavere di Peter Neumair, 63 anni, scomparso a Bolzano insieme alla moglie Laura Perselli, 68, il 4 gennaio scorso. La coppia era stata uccisa dal figlio Benno, che ha confessato di avere gettando i corpi nel fiume dopo il doppio omicidio. La salma di Peter è affiorata dal letto dell’Adige ieri a sud di Trento, una sessantina di chilometri a valle rispetto al punto in cui Benno aveva tentato di sbarazzarsene. Poco dopo mezzogiorno, un ragazzo che stava passeggiando con il cane ha visto scivolare lentamente a pelo d’acqua una sagoma che sembrava un corpo umano. Il cadavere era sfigurato. Si è arrivati a capire che si trattava di Peter Neumair grazie all’orologio.

Gli arresti per l’assalto in Sud Sudan
In Sud Sudan dodici persone sono state arrestate con l’accusa di essere coinvolte nell’agguato al neo-nominato vescovo di Rumbek, l’italiano Christian Carlassare. Tra loro «ci sono tre preti locali, tra cui il coordinatore diocesano, don John Mathiang. Tutti sacerdoti di etnia Dinka che non avrebbero gradito l’arrivo di un altro vescovo straniero. Ma anche i laici finiti in manette hanno diverse responsabilità nella chiesa locale. Scrive Nigrizia, il portale dei Comboniani, facendo parlare una fonte anonima ma considerata affidabile: “Il vero mandante è più lontano ancora ed è collettivo. Si tratta di una frazione della comunità ecclesiale di origine dinka che vuole avere il suo peso nella Chiesa e nel Paese per mettere mano sulle sue ricchezze”» [Ricci Sargentini, CdS].
A Nairobi, in Kenya, le condizioni di padre Christian migliorano. Si spera che possa rimettersi entro il 23 maggio, quando è prevista la sua ordinazione episcopale.

L’ultimo saluto a Milva
Moltissimi milanesi hanno reso omaggio al feretro di Milva nella camera ardente allestita nel foyer del teatro Piccolo di Milano. Tra la folla si è visto anche il sindaco Giuseppe Sala, che ha annunciato di voler chiedere che il nome di Milva possa essere iscritto nel Famedio di Milano, il tempio funerario che accoglie i personaggi che hanno reso lustro alla città. La figlia Martina Corgnati l’ha ricordata così: «Diceva sempre “Prima muoio, poi lascio lo spettacolo”».
«La cantante sarà tumulata in un luogo che la famiglia ha preferito non rivelare» [CdS].

Coltivava erba per uso medico, assolto
Walter De Benedetto, ex dipendente comunale, 48 anni, disabile, è stato assolto dal tribunale di Arezzo dall’accusa di detenzione e spaccio di stupefacenti. De Benedetto da quando aveva 16 anni soffre di artrite reumatoide, una patologia neurodegenerativa e altamente invalidante Nell’autunno del 2019, i carabinieri gli avevano scoperto quindici piantine di marijuana nel giardino di casa e 800 grammi di infiorescenze lasciate ad essiccare sotto il sole. «Walter ha sempre dichiarato di aver coltivato stupefacenti perché la quantità che gli viene riconosciuta legalmente dallo Stato a scopo curativo non è sufficiente. E così De Benedetto ha deciso di procurarsela da solo. Ieri il giudice ha accolto la richiesta del pm Laura Taddei, che aveva chiesto l’assoluzione. Si tratta della prima sentenza inquadrata nella nuova normativa che disciplina la produzione di cannabis in Italia a scopo terapeutico» [Allegri, Mess].

Il giudice De Benedictis confessa
Il giudice Giuseppe De Benedictis, in carcere dal 24 aprile per corruzione in atti giudiziari, ha confessato di avere ricevuto denaro in cambio di provvedimenti di scarcerazione e ha chiesto scusa. «Sta male, è un uomo distrutto e piegato dai sensi di colpa», dicono ora i suoi avvocati. «De Benedictis aveva parzialmente ammesso le sue responsabilità già il 9 aprile, dopo che i carabinieri del Nucleo investigativo di Bari lo avevano sorpreso nel suo ufficio mentre contava le banconote che, poco prima, gli erano state consegnate dall’avvocato barese Giancarlo Chiariello in una busta. La successiva perquisizione nella casa del giudice, aveva consentito agli investigatori di scoprire altri 60mila euro, divisi in buste e nascosti dietro le prese elettriche» [Oliva e Spagnolo, Rep].

Arrestato un prete a Ferrara
La Procura di Enna ha disposto l’arresto di don Giuseppe Rugolo, 39 anni, sacerdote della diocesi di Piazza Armerina, in Sicilia, e animatore di un gruppo giovanile dell’Azione Cattolica, da qualche tempo trasferito a Ferrara ufficialmente per malattia. È accusato di aver abusato di tre ragazzi. Il suo avvocato, Denis Lovinson, dice: «La violenza sessuale è destituita di ogni fondamento, non c’è stata costrizione, forse un comportamento inopportuno».
La testimonianza di un suo ex compagno di seminario, di 14 anni più giovane: «“Avevo riposto molta fiducia in lui, era un educatore e decisi di confidargli a 14 anni le mie incertezze sull’identità sessuale. Rugolo si mostrava molto interessato alla mia vita affettiva, spesso rivolgendomi domande molto intime... mi rassicurava dicendo che doveva conoscere anche questi aspetti per aiutarmi...”. A 16 anni il primo choc: “Facevo l’animatore per un grest estivo del quale lui era il responsabile... mi sorprese dicendomi che era disposto a lasciare il seminario pur di avere una relazione con me. Sorpreso e spaventato mi sono alzato per andarmene ma lui mi ha trattenuto, ha chiuso le porte a chiave e continuava a ripetere che avrei dovuto fare quest’esperienza per comprendere le mie inclinazioni... Ero terrorizzato, la mia prima esperienza sessuale, mi vergognavo”. Seguirono quattro anni di rapporti segreti e tormentati. “Ero in totale balia di Giuseppe, avevo 16 anni lui 30, temevo che al mio rifiuto mi avrebbe denigrato e offeso. Quando tentavo di avere rapporti con ragazzi o ragazze della mia età, lui diceva che solo se stavo con lui potevo entrare in seminario senza problemi”».

Elezioni straordinarie in California
In California una petizione per rimuovere il governatore Democratico Gavin Newsom ha raggiunto un numero di firme sufficiente per indire un’elezione straordinaria (la cosiddetta recall election). La petizione è stata promossa dai repubblicani, che hanno accusato Newsom di avere gestito male la pandemia e di avere imposto restrizioni troppo dure. La petizione ha raggiunto 1 milione e 600 mila firme, 100 mila in più di quanto sarebbe stato necessario. Al momento della recall election, per cui non è stata ancora fissata una data, gli elettori si troveranno davanti due quesiti: volete voi confermare o rimuovere il governatore in carica? eventualmente, con quale candidato lo volete sostituire? Diversi repubblicani hanno già annunciato che si candideranno contro Newsom, e tra questi ci sarà anche Caitlyn Jenner, ex atleta statunitense, famosa anche per aver partecipato al reality Keeping Up with the Kardashians.

L’ultima del principe Andrea
«Non gli bastava essere rimasto coinvolto nello scandalo di pedofilia di Jeffrey Epstein, adesso il principe Andrea si è messo a fare affari con un banchiere accusato di molestie sessuali. Il secondogenito della regina Elisabetta, rivela infatti il Times, ha costituito una società insieme a Harry Keogh, un noto finanziere della City costretto a dimettersi nel 2018 da Coutts, la banca privata in cui investe i soldi Sua Maestà, per avere toccato una collega in modo “inappropriato” e per essersi vantato in pubblico delle proprie “conquiste sessuali”. La nuova impresa, che dovrebbe diventare un veicolo per gli investimenti della famiglia di Andrea, è stata battezzata Lincelles, dal nome di una battaglia del 18° secolo contro la Francia in cui le truppe inglesi erano comandante dall’allora duca di York, il titolo reale odierno con cui viene chiamato il principe» [Franceschini, Rep].

L’attacco in Burkina Faso
Il documentarista David Beriain e il cameraman Roberto Fraile, entrambi spagnoli, sono stati uccisi durante un’imboscata armata nel Burkina Faso, nei pressi di una strada che porta alla vasta riserva della foresta di Pama. La conferma delle due morti è arrivata dal ministro degli Esteri spagnolo, Arantxa González Laya. Nell’assalto avrebbero perso la vita anche un giornalista irlandese e una guida locale, mentre altre persone sarebbero rimaste ferite. Facevano tutti parte dello stesso gruppo impegnato a realizzare un reportage per MovistarTv sulla caccia di frodo nell’est del paese. Gli assalitori erano a bordo di due pick-up e di una ventina di moto e avrebbero rubato armi, droni e le jeep dei giornalisti. Al momento nessuna organizzazione ha rivendicato l’azione.
Dal 2015, in Burkina Faso, si sono moltiplicati i rapimenti e gli assalti jihadisti. Le violenze del Gruppo di sostegno all’Islam e ai Musulmani, affiliato ad Al Qaeda e allo Stato islamico, inizialmente erano concentrate nel nord del Paese, poi si sono estese alla capitale Ouagadougou e ad altre regioni.
«David Beriain era uno di quei giornalisti che considerano la distanza una premessa di menzogna. Solo se stai vicino alle cose, se ne senti l’alito e ci affondi la suola delle scarpe puoi provare a trovare la strada della verità. David credeva in una semplice regola, lavorare per portare alle persone ciò che altrimenti non vedrebbero. Si fa il reporter per questo e per nessun’altra ragione» [Saviano, CdS].

La Ocean Viking salva 236 migranti
Ieri mattina, trentadue miglia al largo della città libica di Al-Zawiya, la Ocean Viking, nave della ong Sos Mediterranée, ha intercettato due gommoni di migranti. Si tratta di 236 persone provenienti dall’Africa occidentale. Tra loro ci sono 114 minori non accompagnati, 7 donne e un neonato.

Champions, Real Madrid Chelsea 1-1
A Madrid, nella partita di andata della prima semifinale di Champions, il Real ha pareggiato con il Chelsea. Hanno segnato: Pulisic su lancio di Rudiger (al 14’ p.t.), poi Benzema (al 29’ s.t.). Il ritorno si giocherà a Londra mercoledì prossimo.
Stasera, alle 21, l’altra semifinale: Psg – Manchester City.
Borse di notte
Le Borse stanno rallentando in prossimità delle comunicazioni della Federal Reserve: ieri sera Wall Street ha chiuso sulla parità ed i future anticipano un’apertura senza forza. L’indice Dow Asia Pacific è invariato, con qualche modesto rialzo per i mercati azionari dell’Australia e del Giappone, al palo quelli della Cina.
Le aspettative di una forte accelerazione dell’economia, mettono in secondo piano l’emergenza sanitaria in corso in India: ieri ci sono stati altri 362.000 nuovi contagi e c’è una seria carenza di ossigeno negli ospedali. Ma l’indice BSE Sensex di Mumbai è in rialzo dello 0,7%.
L’Asian Development Bank, nel bollettino diffuso poche ore fa, stima per l’India una crescita del Pil dell’11%. Lo stesso soggetto prevede per l’Asia un incremento del 7,3%, con +8,1% per la Cina.
In attesa della conferenza stampa di Jerome Powell, dalla quale nessuno si aspetta un minimo cambiamento di rotta della politica monetaria, tengono banco le comunicazioni del trimestre delle società.
La più spettacolare è quella di Alphabet: il confino negli spazi domestici ha provocato un boom delle ricerche su Google, con quel che ne deriva in termini di raccolta pubblicitaria. Solo i ricavi generati dal motore di ricerca sono saliti del 30% a 32 miliardi di dollari, il totale, comprendente You Tube e tutto quel che la società offre, segna un rialzo del 34% a 55,3 miliardi di dollari, molto meglio delle aspettative. Il risultato netto è esploso (+163%) a 17,9 miliardi di dollari.
Forte di questo risultato, la società ha stanziato 50 miliardi di dollari per il riacquisto di azioni proprie, il doppio di quel che aveva messo in programma due anni fa. Il titolo ha guadagnato il 5% nell’afterhours.
Ugualmente positivi, ma meno brillanti, i conti di Microsoft: i ricavi sono saliti di poco meno del 20% a 41,7 miliardi di dollari, solo di poco sopra le aspettative degli analisti. Il motore degli utili, l’area cloud denominata Azure, chiude in rialzo del 50%, ma il risultato era atteso, per cui non c’è stata alcuna eccitazione: il titolo ha perso il 2% nell’afterhours.
TERZA PAGINA
«Giocai così male che ottenni
ingaggi ed encomi solenni.
Giocai così bene che persi
amici, terreni, sesterzi»
Gaio Fratini
Grillini
di Mattia Feltri
La Stampa
C’è stato un tempo in cui Grillini in Parlamento era un cognome, quello di Franco, oggi presidente onorario dell’ArciGay. Quando fu eletto nel 2001 dichiarò estinti due millenni di persecuzioni perché avrebbe proposto una legge contro l’omofobia. Ma al governo c’era il centrodestra, e la legge non si riuscì nemmeno a impostare. Nel 2006 però fu eletto Romano Prodi, e Franco Grillini disse ok, ora ci siamo, subito una legge contro l’omofobia. E invece, metti la sinistra al posto della destra, il prodotto non cambiò: niente legge. Negli anni, la sentenza «adesso subito una legge contro l’omofobia» è stata la più pronunciata nel Pd (e dintorni) dopo «Berlusconi ladro». L’hanno declamata Pierluigi Bersani, Rosi Bindi, Dario Franceschini, Matteo Renzi, Nicola Zingaretti, Roberto Speranza, Ignazio Marino, Livia Turco, Gianni Cuperlo, Walter Verini, Guglielmo Epifani, Barbara Pollastrini, Anna Paola Concia, Ivan Scalfarotto, Imma Battaglia, Aurelio Mancuso, Federica Mogherini, Andrea Martella, Monica Cirinnà, Maria Elena Boschi, Matteo Richetti, Peppe Provenzano, Andrea Orlando, e tanti tanti altri. Eppure, niente. E nonostante da quel 2006 il Pd (e dintorni) abbia espresso quattro presidenti del Consiglio, naturalmente Prodi, poi Enrico Letta, Matteo Renzi e Paolo Gentiloni, e di un quinto, Giuseppe Conte, è stato l’incrollabile sentinella, insomma nonostante sia rimasto al governo per nove anni, quell’adesso per un motivo o per l’altro è sempre stato un dopo, e soltanto adesso assume il pieno significato di adesso, cioè adesso che se si fallisce è tutta colpa del medievale, oscurantista, omofobo Matteo Salvini.
Mattia Feltri
Tavolini
di Maurizio Crippa
Il Foglio
Non ve li ricordate già più i balconi, eh? No, certo, perché fanno vergognare. Non avevamo fatto in tempo, un anno e passa fa, a commuoverci una sola sera con quelli che cantavano dai balconi che il giorno dopo era già diventata una moda stracciarola e sguaiata, una rincorsa a chi amplificava di più, a chi stonava meglio. “Andrà tutto bene” fu la condanna amorale, antiestetica, delle nostre finestre. Adesso tocca ai tavolini e ai “dehors”, la nuova parola forestiera che anche le casalinghe di Voghera hanno imparato. Primo giorno di nouveau régime e tutta l’Italia è fuori, come le chiappe chiare, a magnare al tavolino. Come se davvero non ne potesse più. Come il 25 aprile del gargarozzo. Non è libertà, è incontinenza, e peggio se ammantata di post presunto-intelligenti sui social. Un popolo di draghi. E le foto, le foto a riempire i giornali. I tavolini appiccicati a Campo de’ Fiori, l’arte d’arrangiarsi a Napoli (per quella, una foto non manca mai) e le tovaglie con la molletta sotto i portici di Bologna. I torinesi, che non si divertono nemmeno quando si divertono, per onor di tigna sono andati a mangiare fuori anche se pioveva. E tutti a darsi idealmente di gomito: hai visto che paese di resilienti che siamo? Una poveracciata, siamo. Una caricatura neorealista. State composti, che è ancora lunga
Maurizio Crippa
Miti
di Aldo Grasso
Corriere della Sera
È caduto un mito. Così, all’improvviso, è bastata una frase perché l’enorme simpatia che provavo verso Antonella Viola s’incrinasse fatalmente. Già qualche crepa era apparsa sul muro (troppa presenza in tv, in radio, sui giornali per una ricercatrice), ma quando, ospite di Lilli Gruber, ha esaltato Michele Santoro e Gad Lerner come miti della sua giovinezza televisiva, allora ho capito che ormai aveva imboccato la strada dell’opinionismo (interviene su tutto).
Era destino, con quell’imprinting. Lerner si tiene meglio, la Resistenza lo scalda. Santoro invece è parso un po’ appesantito, molto risentito: «La tv mi manca e mi sento ancora capace di fornire qualche contributo. Ma sulla tv si stende un conformismo come se fosse una cortina di fumo…». Non che le sue ultime apparizioni siano state esaltanti, ma come dargli torto sul conformismo. Se mai dovrebbe chiedersi perché alla sua amica Lucia Annunziata hanno raddoppiato la presenza in video e a lui niente.
Dovrebbe chiedersi come ha fatto a credere ai grillini, almeno all’inizio, e sperare che Marco Travaglio diventasse direttore del Tg1 («è così che si fanno le rivoluzioni!») per poi accorgersi del bluff: «Mi aspettavo che l’era dei 5 stelle avrebbe portato una lotta contro la censura e una trasgressione violenta in Rai. Invece si sono accomodati immediatamente sulle poltrone e hanno deciso di scegliere uomini adatti a loro».
A confronto dei talk attuali, quelli di Santoro e di Lerner erano più di parte (Lilli si affida anche lei ai grillini, agli Scanzi saltafila) ma servivano ad accendere le passioni, gli scontri politici. In questo senso si può giustificare l’interesse di Antonella Viola. L’altra sera sembrava che il tempo si fosse fermato, che due vecchi reduci di «Lotta continua» e «Servire il popolo» si stessero riscaldando attorno al falò dei ricordi, dei rimpianti e del mancato «cambio di paradigma».
Aldo Grasso
QUARTA PAGINA
«Non c’è più neanche
la legna per cremarli»
Charanjeen,
addetto alle cremazioni
India
di Carlo Pizzati
la Repubblica
In questa città dei morti, dove una nuvola di fumo grigio cenere aleggia sopra una baraccopoli intrisa dell’odore pungente di cadaveri, il destino di Sampath è segnato. Ha 12 anni, ma una saggezza imparata vivendo accanto al crematorio Paschim Puri di Delhi che da una settimana è aperto anche di notte per bruciare più di 200 salme al giorno. «Stanno tornando tutti al loro paese, ma io non saprei dove andare. La mia famiglia vive qui da decenni. Il lavoro è qui». Quello di Sampath è proprio al crematorio. Da quando sono quintuplicate le cremazioni per il Covid, senza tuta protettiva e con il rischio d’infettarsi, c’è da trasportare corpi pagati un tanto a salma.
Le morti ufficiali da Covid-19 a Delhi sono più di 350 al giorno. Ma è evidente che sono molte di più. In India, solo un quarto dei decessi viene certificato da un medico. Le infezioni sono undici volte di più, le morti da due a cinque volte quelle dei dubbi dati ufficiali, secondo uno studio di biostatistica dell’Università del Michigan. E poi basta vedere i crematori della capitale. Quello accanto alla bidonville di Shaheed Bhagat Singh, dove vive Sampath assieme ad altre 1.500 persone in 900 baracche, è uno dei più sfortunati. E da una settimana è peggiorato. «Ora ci svegliamo e andiamo a dormire con quest’odore acre di corpi che bruciano. È come se questa puzza di morte ci penetrasse nei pori della pelle», dice Kakoli Devi, 35 anni che sembrano molti di più. «Annusiamo e vediamo solo fumo. Arrivano ambulanze giorno e notte».
Metà della casa di Saroj, straccivendolo che vive con sette familiari, se l’è mangiata l’incendio che ha incenerito 30 baracche poco prima del lockdown che durerà fino al 3 maggio. «Certi giorni beviamo solo acqua, ma a volte una Ong ci porta da mangiare». Devi ha già fatto le valigie: «Abbiamo affittato un passaggio in camion, ce ne torniamo a Maharanjgans, il nostro villaggio in Uttar Pradesh. Almeno lì non avremo questa costante sensazione di morte». Una vedova invece ha paura di muoversi: «Stiamo tappati in casa tutto il giorno, io e i miei tre bambini. Impauriti. Non accendiamo nemmeno i ventilatori perché temiamo di prenderci il Covid dall’aria».
La verità è che per gli ultimi non c’è più lavoro, in questa Delhi che sprofonda sotto il peso del record di nuovi contagi (ufficialmente oltre i 350 mila ogni giorno). Una sedicenne della baraccopoli, che faceva le pulizie part-time, è stata mandata a casa: «Temono di prendersi il Corona da noi perché viviamo vicino al crematorio. Vorremmo tornare al paese, nel Bihar. Ma il viaggio costa». Il problema, come s’è capito nell’esodo dalle città l’anno scorso, è che i migranti rientrano nelle campagne a portare il contagio. Ma cos’altro fare? «Nessuno a Delhi avrebbe pensato di vedere scene simili. Bambini di 5 anni, ragazzi di 15 e 25 anni, sposi novelli cremati. È difficile guardare queste scene», commenta sconsolato Tinder Singh Shunty del servizio medico locale.
È nell’imbuto finale del crematorio che si concentrano tutte le tragedie di questa settimana infernale per Delhi. Dopo i giri disperati negli ospedali per trovare un posto, dopo le file per essere ammessi nelle terapie intensive o per riempire le bombole di ossigeno, si deve far la fila anche come cadaveri, in attesa di trovar posto su una pira. I corpi stanno lì, avvolti nei sudari bianchi legati a più giri da una corda e ricoperti da una scia di calendule arancioni. «Non si può più vivere a Delhi e a Delhi non si può nemmeno morire in pace», dice Shivangi, in attesa al crematorio di Nigambodh che arrivi il suo turno per ardere la salma del nonno, mentre al telefono cerca ossigeno per l’ospedale dove lavora. Attorno a lei, 70 addetti fanno turni di 12 ore a testa per scaricare corpi dalle ambulanze, impilare legna, bruciare e ripulire. «Non so se il governo si sia addormentato o cosa», si sfoga l’infermiera tra il crepitio delle pire e le volute di fumo che s’innalzano oltre i tetti, «sono sconsolata. Il governo ha letteralmente fallito». Anche l’addetto alla cremazione Charanjeen è allibito: «Non posso credere che siamo a Delhi, capitale dell’India. Non c’è ossigeno e si muore come bestie. Non c’è più neanche la legna per cremarli».
Vikas racconta d’essere arrivato domenica al crematorio di Ghaziabad. «C’erano già corpi dappertutto. Ho chiesto se potevano cremare un mio parente, mi hanno detto: torni domani. E non aveva nemmeno il Covid! ». Così c’è chi ne approfitta facendo pagare venti volte la tariffa. Chi non se la può permettere, si tiene il cadavere che si decompone al caldo. «E ci hanno pure chiesto di portare la nostra legna», si lamenta Rohit Singh. Lo ammette un addetto alla cremazione: «Avevamo scorte per due mesi. È finito tutto in dieci giorni. Ho dovuto chiudere i cancelli di fronte a una fila di parenti in attesa con le loro salme».
In un angolo, un marito piange dietro la mascherina. Ha girato 20 ospedali senza trovare ossigeno. «Se ci fosse stato, mia moglie sarebbe guarita ». Un altro marito con il pizzetto bianco si sfoga perché a volte l’assassino si chiama burocrazia: «Alla clinica, le hanno dato ossigeno, si era ripresa. Ci hanno mandati in un ospedale pubblico, perché non avevamo più soldi. Arrivati lì, ci hanno detto che senza test Covid non entrava. Ma non si riusciva a fare da nessuna parte. Così è morta. Sono cinque ore che aspetto di poterla cremare». Gli addetti, sfiancati, chiedono ai parenti di dare una mano a portar legna, altri fanno videochiamate per mostrare ai parenti rimasti a casa, terrorizzati dal virus, gli ultimi riti funebri. Sono tutti allo stremo. Compresi i medici. «Passiamo notti insonni da una settimana », racconta il dottor Tarqeem Haider del Pantamed Hospital, «a volte mi vien voglia di piangere perché non possiamo salvare tutti». Perché tanti continuano a morire nei parcheggi fuori dagli ospedali.
Certo che non è così per tutti, e che ci sono anche tante belle storie di solidarietà, come la Khalsa aid dei Sikh che distribuisce gratis concentratori di ossigeno, bombole, legna, medicine. Certo che sui social c’è quella rete di solidarietà e di aiuti per sopperire alle mancanze delle strutture statali. Ed è altrettanto certo che quasi tutti, a Delhi, hanno più di un amico o di un parente che è ammalato o morto di Covid.
Il virus si sta ingoiando vite come un mostro. Una donna racconta che suo fratello, dopo essere stato respinto da due ospedali, si è trovato in attesa nel parcheggio in una terza clinica quand’è finita la bombola di ossigeno. «È morto come un pesce fuori dall’acqua, annaspando mentre cercava aria».
Carlo Pizzati
India
di Danilo Taino
Corriere della Sera
Il disastro in corso in India è un momento-Caporetto su scala globale nella lotta contro il Covid-19: il punto in cui una sconfitta drammatica impone una reazione e un cambio di strategia. Le migliaia di morti ogni giorno, le pire funebri, gli ospedali senza ossigeno dicono che la seconda ondata è sfuggita di mano alle autorità sanitarie e al governo Modi. Ma raccontano anche che tutti i Paesi, a cominciare da quelli più ricchi, non possono continuare a praticare il nazionalismo sanitario e del vaccino. L’ambasciatore italiano a Delhi, Vincenzo de Luca, lunedì ha lanciato un appello: il Paese «ha bisogno di una risposta e di una cooperazione globale». In India, si è materializzato drammaticamente il motto «nessuno è al sicuro finché tutti non sono al sicuro»: una tragedia che ha numerose conseguenze sul resto del mondo.
La prima, ancora indeterminata nella sua portata, è la variante del virus che è comparsa nel subcontinente. La mutazione sembra più aggressiva nella propagazione del virus, anche se le prime indicazioni dicono che i vaccini a disposizione dovrebbero essere in grado di evitare «la gravità della malattia e la morte» (Ravi Gupta della Cambridge University). È evidente che la mutazione del Sars-Cov-2 avviene dove questo corre di più, dove le misure di contenimento sono minori e più difficili da introdurre e dove le campagne di vaccinazione sono lente o inesistenti. Le nuove varianti non rimangono locali, a limitarne la diffusione nei mesi scorsi siamo diventati più bravi ma è praticamente impossibile evitare che passino da un Paese all’altro, da un continente all’altro.
L’India è il maggiore produttore di vaccini al mondo ma il governo guidato da Narendra Modi ha sottovalutato la situazione e qualche mese fa, quando riteneva che la pandemia fosse in ritirata, ha celebrato l’«orgoglio dell’India» per essere la «farmacia del mondo» mentre lasciava correre le adunate elettorali in Bengala e i milioni di partecipanti al Kumbh Mela, il pellegrinaggio sulle rive del Gange. Ora, è stato costretto a bloccare le esportazioni di vaccino fuori dai confini. E qui sta la seconda conseguenza. L’azienda Serum Institute di Pune è la maggiore produttrice di vaccini del pianeta e il fatto che tutte le dosi in uscita dai suoi stabilimenti debbano rimanere in India significa che il flusso di AstraZeneca per il resto del mondo si ferma, con problemi in Europa, nel Regno Unito e in tutti quei Paesi poveri che sul vaccino di minore costo hanno scommesso.
La terza conseguenza per il mondo è più politica. Quello che entro fine decennio sarà il Paese più popoloso del pianeta sta perdendo un’altra volta il confronto con il suo rivale storico, la Cina. Può sembrare un corollario da poco di fronte ai quasi duecentomila morti ufficiali indiani. Il fatto è che la contesa tra Delhi e Pechino è cresciuta in intensità e tensione durante la pandemia e la ricerca da parte di entrambe le nazioni di creare sfere d’influenza nella regione ha utilizzato l’export di vaccini come veicolo di soft-power. In parallelo, gli Stati Uniti hanno stretto ulteriormente, in funzione anticinese, i legami con il governo indiano, all’interno della collaborazione Quad (con anche Giappone e Australia) e l’Unione Europea ha fatto lo stesso (l’8 maggio ci sarà il summit Eu-India che avrebbe dovuto vedere Modi incontrare i 27 capi di governo europei a Porto ma, causa Covid-19, sarà tenuto online). Una Delhi indebolita nell’IndoPacifico complica seriamente i calcoli geopolitici di medio e lungo periodo di Washington e Bruxelles e probabilmente irrobustirà l’assertività di Pechino in Asia.
Quando i disastri succedono in India, la scala a cui avvengono è enorme. L’influenza Spagnola uccise 20 milioni di abitanti del subcontinente tra il 1918 e il 1919, la metà dei decessi totali nel mondo, stima Chinmay Tumbe, un economista indiano, in un libro pubblicato quest’anno. E anche oggi i numeri assoluti dell’epidemia in un Paese con quasi un miliardo e 400 milioni di abitanti sono orribili. Intervenire in una società complicata come quella indiana è un’impresa ardua. Ma ci sono per il mondo abbastanza ragioni per spingere i Paesi che possono — dagli Stati Uniti all’Europa, dal Giappone alla Corea del Sud — a intervenire, sia per ragioni umanitarie sia per interesse nazionale. Si presentano momenti, nelle crisi, che domandano cambi di prospettiva: l’India dice che la lotta al virus non può non essere globale.
Danilo Taino
La sezione Stamattina è curata da Luca D’Ammando e Jacopo Strapparava.
Oggi
Tempo
Piogge e temporali su gran parte del Centro-nord. Sole e nuvole sul Sud.

Sicurezza sul lavoro
È la Giornata mondiale per la salute e la sicurezza sul lavoro. La Repubblica: «Il Covid fa calare gli infortuni sul lavoro. Le denunce presentate all’Inail entro novembre sono state 492.150, quasi 99 mila in meno rispetto alle 590.679 dei primi 11 mesi del 2019 (-16,7%). Il calo si è registrato nonostante nel 2020 ci sia un nuovo caso di infortunio sul lavoro, i contagi da Covid-19, che rappresentano circa il 21% del totale delle denunce di infortunio pervenute. […] Sono però aumentati i morti a causa degli infortuni sul lavoro: a novembre erano arrivati a 1.151 quelli con esito mortale (+15,4%). Anche questo è un dato influenzato dalla pandemia: "L’incremento è influenzato soprattutto dai decessi avvenuti e protocollati al 30 novembre 2020 a causa dell’infezione da Covid-19 in ambito lavorativo, che rappresentano circa un terzo dei decessi denunciati all’Inail", […] spiega l’Istituto in una nota. In diminuzione le patologie di origine professionale denunciate, che sono state 40.926 (-27,6%). A influenzare la flessione è stato in particolare il numero di infortuni rilevati nel mese di maggio, con denunce praticamente dimezzate rispetto allo stesso mese del 2019. Seguono aprile e giugno con una riduzione di circa un terzo nel confronto con l’anno precedente, luglio con un calo del 20%, marzo e settembre con circa il -15%, agosto con una flessione del 12% e ottobre con un più contenuto -0,7%. Novembre è l’unico mese del 2020 che presenta invece un incremento (+9,1%) rispetto allo stesso mese del 2019, complice evidentemente la "seconda ondata" dei contagi da Covid-19, che ha avuto un impatto più significativo della prima anche in ambito lavorativo e tale da influire sul trend in aumento di fine anno. I mesi di gennaio e febbraio, […] non coinvolti pienamente dalla pandemia, hanno presentato decrementi inferiori al 4%. La Valle d’Aosta è la sola regione che nel 2020 presenta un incremento delle denunce (+18,2%). Per il resto, la flessione risulta decisamente più contenuta nel Nord-ovest (-7,0%) e più accentuata nel Nord-est (-20,2%), al Centro (-21,8%), al Sud (-20,0%) e nelle Isole (-21,5%)».

Funerali
Nella chiesa parrocchiale di Santa Lucia Vergine e Martire a Santa Lucia di Piave (Treviso) l’ultimo saluto al tenore Ferruccio Basei, a lungo corista del Teatro La Fenice di Venezia, ucciso da un tumore al cervello. Sposato, due figli, aveva 65 anni.

Processi
Al via a Genova il dibattimento di secondo grado del processo relativo al suicidio assistito di Davide Trentini. Maria Nudi su La Nazione: «Suicidio assistito: la vicenda umana di Davide Trentini, 53 anni, massese, malato di sclerosi multipla dal 1993, che ha scelto di mettere fine a una esistenza calvario in Svizzera il 13 aprile del 2017, chiedendo aiuto a Marco Cappato e a Mina Welby dell’associazione Coscioni, torna in tribunale, in appello a Genova. […] I giudici di secondo grado sono chiamati a giudicare il comportamento di Cappato e Welby, ai quali Trentini si era rivolto per avere accesso alla cosiddetta morte volontaria. Mina Welby aveva aiutato Trentini ad avere il semaforo verde per raggiungere la clinica elvetica e lo aveva accompagnato da Massa in Svizzera, mentre Cappato aveva raccolto attraverso l’associazione Soccorso civile Sos eutanasia i fondi mancanti per pagare la clinica. Il 14 aprile del 2017 Cappato e Welby si sono autodenunciati presentandosi al comando dei carabinieri: per entrambi è scattata un’indagine per il reato 580 del codice penale, che configura l’istigazione o aiuto al suicidio. Il processo di primo grado è terminato il 27 luglio 2020, quando la Corte d’assise li ha assolti con questa formula: per l’aiuto al suicidio il fatto non costituisce reato, mentre per l’istigazione il fatto non sussiste. […] Il pm Marco Mansi aveva chiesto la condanna a 3 anni e quattro mesi, riconoscendo le attenuanti del caso».
Attesa a Firenze la sentenza del secondo dibattimento d’appello del processo relativo alla morte di Martina Rossi. Andrea Bulleri su la Repubblica: «Nessun tentativo di violenza sessuale: quando Martina Rossi cadde dal balcone di quella camera d’albergo non stava scappando da un’aggressione. Questa la linea ripetuta […] in Corte d’appello dal difensore di Luca Vanneschi, uno dei due imputati per la morte della studentessa genovese di 20 anni, precipitata da un terrazzo al sesto piano dell’hotel Santa Ana di Palma di Maiorca il 3 agosto 2011. […] In aula c’erano sia Vanneschi che Alessandro Albertoni, l’altro trentenne di Castiglion Fibocchi, difeso dall’avvocato Tiberio Baroni. E c’erano come sempre i genitori di Martina, Bruno Rossi e Franca Murialdo. […] Nella precedente udienza, il pg Luigi Bocciolini aveva chiesto di condannare entrambi a tre anni di carcere per tentata violenza sessuale di gruppo. […] Era la notte tra il 2 e il 3 agosto del 2011. La ragazza, in vacanza a Palma di Maiorca, salì in camera dei due giovani perché nella sua stanza le amiche erano in compagnia degli altri della comitiva di aretini. All’alba Martina precipitò dal balcone della stanza 609 dell’hotel Santa Ana, quella dei due giovani aretini, per sfuggire, sempre secondo l’accusa, a un tentativo di stupro. Secondo la ricostruzione della procura, Martina cercava di scavalcare il parapetto del balcone per mettersi in salvo nella stanza accanto. Dopo indagini in Spagna, dove il caso fu archiviato frettolosamente come suicidio, i genitori di Martina Bruno Rossi e Franca Murialdo hanno lottato a lungo per far riaprire l’inchiesta in Italia. La pronuncia di primo grado è arrivata solo nel 2018, con la condanna di Vanneschi e Albertoni a sei anni ciascuno per i reati di tentata violenza sessuale di gruppo e morte in conseguenza di altro reato. Due anni dopo, nel 2020, la caduta del reato più pesante, quello di morte in conseguenza di altro reato, per avvenuta prescrizione, e l’assoluzione in appello da entrambi i capi di imputazione. Decisione bocciata […] dalla Cassazione, che ha ordinato un nuovo processo d’appello a Firenze parlando di “incompletezza, manifesta illogicità e contraddittorietà” della sentenza, “priva di una visione sistematica dell’intero quadro istruttorio”. “Se ho fiducia? Bella domanda, non posso non averla – aveva commentato […] uscendo dal tribunale Franca Murialdo, la mamma di Martina –. Almeno quel poco di verità processuale che rimane dev’essere accertata”».

Esteri
Colloquio in teleconferenza tra il vicepresidente esecutivo della Commissione europea Margrethe Vestager e il ministro lituano delle Finanze Gintarė Skaistė.
Colloquio in teleconferenza tra il commissario europeo per il Mercato interno Thierry Breton e il primo ministro lituano Ingrida Šimonytė.
Bruxelles (Belgio) il presidente del Parlamento europeo David Sassoli riceve il primo ministro kosovaro Albin Kurti.

Agenda politica
In Senato votazione della mozione di sfiducia individuale presentata da Fratelli d’Italia contro il ministro della Salute Roberto Speranza: probabile l’uscita dall’aula dei senatori della Lega.
In Senato convegno «La democrazia del diritto. Ecco i precedenti tenuti nascosti», con la partecipazione, tra gli altri, del vicepresidente della Camera Fabio Rampelli (ore 11).
Presso la commissione parlamentare Antimafia, a Palazzo San Macuto, audizione del procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Venezia Bruno Cherchi (ore 14).
Cultura
Libri
Sulla pagina Facebook della Casa Museo Alberto Moravia presentazione di L’America degli estremi di Alberto Moravia a cura di Alessandra Grandelis (Bompiani) (ore 18.30). Paolo Di Stefano sul Corriere della Sera: «È sorprendente quanta materia su cui riflettere ancora oggi […] emerga dalla lettura dei reportage di Alberto Moravia negli Stati Uniti. […] Per esempio, sarà ancora vero quel che Moravia scriveva nel 1937: “L’aspetto più importante dell’America è il suo futuro”? La risposta arriva quasi vent’anni dopo, nel 1955, quando Moravia precisa che negli Usa “certi aspetti del futuro sono già presenti”, e riguardano “la macchina che trasforma in macchine gli uomini per sostentarli e farli vivere”, mentre “a loro volta gli uomini si trasformano in parti di macchine per far funzionare questa macchina che li fa vivere”. Vertiginoso paradosso, che somiglia al nostro rapporto con la tecnologia. Ancora a proposito di futuro. “L’America – scrive Moravia – è il teatro immenso e impreparato di un dramma o di una commedia […] i cui attori non sono ancora nati”: in quel ’37 Reagan era un attore ventenne non ancora sceso in politica, mentre Trump sarebbe nato nove anni dopo, ma forse già Moravia ne presentiva l’avvento: dramma o commedia? Certamente più l’uno che l’altra. Ci viene da sorridere piuttosto di fronte alla sottigliezza di vedere una discrepanza con l’Europa nel diverso spruzzo della doccia, che a New York è “un furioso getto di spilli”, mentre nel Vecchio Continente è una carezza. O laddove Moravia si sofferma a segnalare l’assenza di donne “veramente belle”, che al cospetto delle europee pensano poco all’amore e “fanno figure di frigide”. Un po’ di Pasolini non manca nel ’68, quando Moravia avverte nell’aria un’opera di “manipolazione” per “convincere l’uomo a diventare uomo medio” e sottolinea lo scandalo di città ricche e vitali che sono insieme, in troppi quartieri, “sinistre, squallide, sordide, crollanti, decrepite”. Per non dire della “pinguedine vorace” e della illusione o truffa che “identifica felicità con consumo”, sicché business ed “edonismo di massa” hanno distrutto ogni possibilità di rivolta. Tranne la “rivolta negra”, che rischiava di radicalizzare il razzismo già esistente. Il sospetto è che il futuro dell’America, cioè il nostro presente, fosse già tutto lì, nel passato».
Da oggi in libreria
Una vita all’estremo. L’impresa dell’esploratore Vittorio Bottego di Gianfranco Calligarich (Bompiani). Arianna Boria su Il Piccolo: «Gianfranco Calligarich, scrittore e sceneggiatore triestino nato ad Asmara, si gode il nuovo successo del suo libro del 1973, L’ultima estate in città, che folgorò Natalia Ginzburg dopo una notte di lettura senza sosta e vinse quell’anno il Premio Inedito. Pubblicato da Garzanti, riscoperto da Aragno e poi da Bompiani nel 2016, oggi vive una seconda giovinezza con l’edizione in audiolibro, letta dallo stesso autore. […] Lei ha pronto un nuovo libro, che la riporta alla terra dove è nato, l’Eritrea… “Si intitola Una vita all’estremo ed è la storia di Vittorio Bottego, esploratore in Africa, nella regione della Dancalia, alla fine dell’800. La sua feroce smania di vivere lo avrebbe distrutto e, insieme a lui, avrebbe distrutto le vite di tutti quelli che lo hanno incontrato. È un libro di avventura, ma anche sostanzialmente esistenziale. Come gli altri miei: perché di cos’altro vuoi raccontare, se non della vita?”. Com’è incappato in questo esploratore morto giovanissimo? “Nel modo migliore. Vale a dire accompagnando tutte le notti a casa una amica con cui, diciamo, andavo al cinema. Abitava in una lunga e quasi periferica strada romana dietro la quale c’era una piazzetta dove sostavamo piuttosto a lungo per darci la buonanotte, vagamente infastiditi dalla presenza di un monumento di bronzo con un militare che puntava il fucile verso la notte. Era una terza presenza che in qualche modo ci disturbava, per cui una notte sono andato a leggere il suo nome alla base del monumento. Vittorio Bottego. Non mi diceva niente, così il giorno dopo ho cominciato a fare delle ricerche sul web finché ho scoperto che era un avventuroso esploratore africano. Allora ho comprato una sua biografia. E ho conosciuto un personaggio straordinario, a tal punto che ci ho scritto un libro”».
Collezione di spine. Vita di un giardino di Agostino Muratori (Bompiani). «Gamera è una tartaruga d’acqua, la più prepotente e sfacciata tra quelle che abitano il laghetto giapponese che Agostino Muratori accudisce nel suo giardino ad Anzio. È lei che veglia sulle piante esotiche come una brutale divinità, avida e battagliera come dice il suo epico nome derivato da un manga. Ma questo è un libro di piante più che di animali: palme, agavi, dracene, cycas ricevute in regalo o in eredità, a lungo cercate nei vivai, accudite con passione, viste attecchire o spegnersi, desiderate, sperate, salutate. Ed è anche un libro di uomini, incontrati in tanti punti del mondo, che in comune con l’autore hanno questa passione. La storia di un giardino è anche sempre una storia di conoscenze condivise, di ibridazioni tra noi e gli altri. E Muratori, pittore e maestro bonsaista, racconta la storia del suo giardino attraverso i singolari personaggi che l’hanno influenzato e aiutato nell’impresa, siano essi uomini o piante» (dalla presentazione).
Musica
Concerto «Alla francese» su TeatroallaScala.org e AccademiaLaScala.it (ore 18). Daniela Zacconi sul Corriere della Sera: «Frutto di un percorso di approfondimento del repertorio romantico francese realizzato sotto la guida di Alexandre Dratwicki, direttore artistico del Palazzetto Bru Zane di Venezia, centro di ricerca che promuove la riscoperta e la diffusione del patrimonio musicale francese dell’Ottocento, il concerto […] vede protagonisti i solisti dell’Accademia di perfezionamento per cantanti lirici del Teatro alla Scala e i pianisti del Corso per maestri collaboratori dell’Accademia. In diretta dal Ridotto dei Palchi Toscanini del Piermarini, il soprano Noemi Muschetti, il mezzosoprano Andrea Niño, i tenori Brayan Avila Martinez e Paolo Antonio Nevi, i baritoni Ettore Chi Hoon Lee e Paul Grant accompagnati al pianoforte da Emma Principi, Eric Foster, Lorenzo Tomasini, Francesco Manessi, Hyeona Lee e Marco Schirru, propongono pagine di Hahn (Quand la nuit n’est pas étoiléeSi mes vers avaient des ailes), Fauré (Clair de luneChanson du pêcheur), Massenet (AmoureuseCendrillonAllez, laissez-moi seul… Cœur sans amour), Saint-Saëns (Aimons-nous), Godard (DanteAh! De tous mes espoirs il ne me reste rien…Nos généreux espoirs seraient-ils vains?JocelynCaché dans cet asile), Messager (Madame ChrysanthèmeLe jour, sous le soleil béni), Dietsch (Le vaisseau fantômeDans ce port, à l’abri des tempêtes…), Delibes (Jean de NivelleLe rossignol et la fauvette… Les cris de la colère), Gounod (Le tribut de ZamoraÔ jeu du sort!… Je veux ma fiancée)».
Cinema
All’Anteo Palazzo del Cinema di Milano proiezione speciale di Nuovo cinema paralitico di Davide Ferrario, con la partecipazione del regista (ore 19.40). Giancarlo Grossini sul Corriere della Sera: «Lo stesso regista interviene in sala […] per raccontare la nascita e la realizzazione del progetto che lo ho visto interagire con il “protagonista” del documentario, il poeta Franco Arminio, anche autore della sceneggiatura. Sullo schermo si va alla scoperta di un viaggio insolito fra paesaggi e paesi dello Stivale, tutto organizzato con un lavoro di montaggio dove immagini e sonoro riservano sorprese, anche poetiche».
Da oggi nelle sale
Lei mi parla ancora di Pupi Avati. Arianna Finos su la Repubblica: «“Lei mi parla ancora è forse uno dei miei film più personali”, racconta Pupi Avati. […] Il regista ha portato sullo schermo la storia dei genitori di Elisabetta e Vittorio Sgarbi, raccontata nel libro omonimo scritto nel 2014, a 93 anni, dal farmacista Giuseppe Sgarbi. Si racconta dell’incontro tra un anziano che vive nel ricordo della moglie, con cui parla ancora, e un ghostwriter chiamato dalla figlia dell’uomo per raccogliere la storia d’amore, durata sessant’anni. Protagonisti sono Renato Pozzetto, in una interpretazione toccante, e Fabrizio Gifuni: due generazioni a confronto sul rapporto di coppia, sull’amore che dura, sul tempo che passa. Nel cast del film […] ci sono anche Stefania Sandrelli, che interpreta l’amata moglie: nella versione giovane i due sono Isabella Ragonese e Lino Musella. E poi Gioele Dix, Alessandro Haber, Nicola Nocella. […] Quanto all’idea dell’amore che dura per sempre, “la mia generazione – continua il regista – lo diceva e lo pensava davanti al prete. Mi pare che Nino, che chiamava al telefono la figlia Elisabetta quando era davanti alla tomba della moglie per pregare insieme, abbia capito meglio di tutti gli altri che la vita è meno egoistica e limitata dalla ragione, più straordinaria, favolistica, ingenua. Mi ha commosso vedere in lui ciò che sto per essere io, con i miei 55 anni di matrimonio. Invecchiando si regredisce all’infanzia e si vuole credere ancora. Vorrei che questo film facesse pensare alla possibilità che il legame tra due persone che si scelgono, chiunque esse siano, duri per sempre. […] Racconta Renato Pozzetto che aveva molto timore di quello che è il suo primo ruolo drammatico, un personaggio che comprende profondamente, avendo perso sua moglie, Brunella Gubler, da undici anni: "Sono grato a Pupi. Prima di impegnarmi gli ho chiesto di vedere la sceneggiatura, dopo cinque minuti ero commosso e il mattino dopo lui è venuto a casa mia a Milano. Gli ho chiesto se c’era spazio per lavorare alla stesura, come mia abitudine, ma poi mi sono accorto che non ce n’era bisogno. Sono intervenuto solo in una scena, proponendo a Pupi di far tenere il cappello in testa al protagonista mentre mangia i ravioli". Il complimento più prezioso è arrivato dalla famiglia Sgarbi: "Elisabetta e Vittorio Sgarbi mi hanno telefonato dopo aver visto il film, elogiandomi. Sono stato felice: si capisce quanto hanno voluto bene al loro papà"».
100% lupo di Alexs Stadermann. La Repubblica: «Freddy Lupin è l’erede di una orgogliosa famiglia di lupi mannari. Nel disperato tentativo di diventare lui stesso un lupo mannaro, Freddy è scioccato quando al suo tredicesimo compleanno la sua prima trasformazione in lupo va male, trasformandolo in un feroce… barboncino. Proprio quando Freddy pensa che la vita non possa andare peggio, viene curato contro la sua volontà, inseguito per le strade e gettato nella prigione del cane. Freddy e il suo nuovo amico, Batty, possono scappare? Chi è l’uomo sinistro che segue ogni sua mossa? Nonostante il suo esterno rosa e soffice, Freddy può dimostrare di essere ancora lupo al 100%?».
Programmi Tv
Su Rai 1 Ulisse – Il piacere della scoperta con Alberto Angela: puntata intitolata Sei regine per Enrico VIII (ore 21.25).
Su Rai 3 Chi l’ha visto? con Federica Sciarelli (ore 21.20).
Su Rete 4 Zona bianca con Giuseppe Brindisi (ore 21.20).
Su La7 Atlantide – Storie di uomini e di mondi con Andrea Purgatori (ore 21.15).
Su Nove Accordi & disaccordi con Andrea Scanzi e Luca Sommi (ore 21.25).
Su Nove Fratelli di Crozza con Maurizio Crozza (ore 22.45).
Su Rai Movie Faccia a faccia di Sergio Sollima (ore 15.45).
Il Morandini 2018 (Zanichelli): «Mite professore, preso in ostaggio dai banditi, diventa peggio di loro. Il capo, invece, si redime. Attori bravi e affiatati, sotto la guida di Sollima, hanno creato personaggi ben delineati che conferiscono interesse nuovo a questo "spaghetti-western". Ben accolto dalla critica. La Rivista del Cinematografo ne diede un’interpretazione politica: il professore (Volonté) come simbolo delle guardie rosse con la sua rivoluzione culturale imposta attraverso formule come il culto della personalità, il terrore staliniano, la direzione individuale, e l’indio (Milian) che fa pensare a certi movimenti popolari messi in disparte o sconfessati dai burocrati moscoviti».
Su Rai Movie Brutti e cattivi di Cosimo Gomez (ore 23.25).
Paolo D’Agostini su la Repubblica: «Un antidoto, una smentita. Novità e originalità non sono impossibili. In sintonia ideale con il precedente di Lo chiamavano Jeeg Robot, perché Brutti e cattivi possiede lo stesso gusto per l’attraversamento e la mescolanza dei generi. Un po’ freaks e grand guignol, un po’ Soliti ignoti, riferimento al filone del "colpo grosso" sia in chiave comico-grottesca che in chiave avventuroso-brillante, un po’ film noir. Un capobanda senza gambe, una donna del capo senza braccia, un complice rasta tossico e scimunito, un altro complice nano rapper. Papero, Ballerina, il Merda, Plissé. Spietati, pronti a tutto, tradire ingannare uccidere nei modi più efferati. La posta in gioco sono i due milioni di una rapina il giorno dell’antivigilia di Natale. Per una nuova vita a Cartagena, villa con piscina-tormentone che accompagna tutto il film – "con l’acqua filtrata". Lungamente scenografo e allievo di Danilo Donati, Gomez si misura per la prima volta con il controllo totale di un’opera (co-sceneggiatore Luca Infascelli, soggetto premio Solinas). E lo fa con sicurezza ammirevole, aiutato da un senso della composizione che deriva dall’esperienza – ogni scena e ogni personaggio sono stati disegnati come un fumetto e concepiti come un cartone animato – ma anche da un senso del ritmo da consumato esperto di regia e di montaggio. Lodi al cast, partendo da Claudio Santamaria e Sara Serraiocco».
Su Iris Il filo nascosto di Paul Thomas Anderson (ore 20.55).
Valerio Caprara su Il Mattino: «Mentre gli uomini amano svestire le donne, lo stilista Reynolds ama vestirle per trasformarle in feticci privati di una volontà di dominio che le sublima nel momento in cui le imprigiona. […] Day-Lewis giganteggia – ancorché non gli giovi l’eccessiva affettazione del doppiaggio italiano – nel ruolo inventato a partire da figure storiche del cinico e anaffettivo protagonista di Il filo nascosto. […] Il fatto che il film pretenda e meriti un’attenzione spasmodica è certificato dal titolo originale Phantom Thread, il filo fantasma, perché la struttura registica opera come un campo magnetico dell’impenetrabile, il non detto o mostrato (come il sesso sempre relegato dietro porte chiuse), proprio come Reynolds cuce negli orli o nelle fodere degli abiti i suoi messaggi segreti. Quando nel cerchio magico della maison viene ammessa Alma (Krieps), una timida camerierina più vicina ai ritratti di Vermeer che ai cliché della “femme fatale”, s’avverte dapprima solo una scossa; tanto più che la giovane – non scacciata come le abituali amanti dopo qualche notte – è sottoposta all’inflessibile tutela della sorella dell’egotistico guru, chiaramente ispirata al modello hitchcockiano dell’inquietante governante di Rebecca, la prima moglie. Diventata prima musa e modella e poi moglie, però, Alma diventerà una “donna che visse due volte” in grado trasferire tonalità fotografiche, suoni, musica, ritmi di ciascuna sequenza, se non inquadratura del film dalla commedia romantica al noir sadomaso. La genialità di Anderson sta nell’abolire le facili chiavi dello psicologismo per lasciare campo libero all’ovattata violenza dei giochi perversi che nei protagonisti fungono da contrappunto alle rispettive strategie di potere».
Su Iris Nel nome del padre di Jim Sheridan (ore 23.40).
Massimo Bertarelli su il Giornale: «Da una storia vera tutt’altro che incredibile, un vigoroso dramma giudiziario dell’irlandese Jim Sheridan, che ha buon gioco a suscitare lo sdegno dello spettatore. I bei chiaroscuri psicologici illuminano l’eccellente caratterista […] Pete Postlethwaite, fiero recluso che insegna al più irruento figlio, l’altrettanto bravo Daniel Day-Lewis, a sopportare con dignità l’ingiustizia».
Su LaEffe Frantz di François Ozon (ore 21.10).
Alessandra Levantesi Kezich su La Stampa: «Frantz è il remake di Broken Lullaby, film del 1932 che Ernst Lubitsch aveva a sua volta tratto da una pièce di Maurice Rostand. Vi si narra di un giovane reduce francese della Grande guerra che, disperato per aver ucciso al fronte un coetaneo tedesco (il Frantz del titolo), si reca in Germania con l’idea di chiedere perdono ai genitori del defunto. Ma, non trovando il coraggio di palesarsi, si presenta loro in veste di amico del figlio degli anni parigini; e l’affettuosa accoglienza della famiglia, fidanzata di Frantz inclusa, non fa che acuirne il senso di colpa. “Con la sua morale pacifista […] trasmette un indiscutibile senso di verità e umanità”, scrisse all’epoca il New York Times. Lo stesso potremmo dire del melò di Ozon, che, in un bianco e nero giocato con stile classico, ha fatto proprio il racconto: assumendo sulla vicenda, lui francese, il punto di vista tedesco; sottolineando il tema del nazionalismo foriero di odio e sangue; eleggendo a protagonista la fidanzata di Frantz, cui l’attrice Paula Beer, giustamente premiata a Venezia, conferisce una sensibilità di eroina proto-moderna».

La sezione Oggi è curata da Simone Furfaro. Per segnalazioni scrivere a redazione@anteprima.news.
Santi e Vangelo
Santi del giorno
San Pietro Chanel, sacerdote e martire; san Luigi Maria Grignion de Montfort, sacerdote, fondatore della Compagnia di Maria e delle Figlie della Sapienza; sant’Afrodisio, primo vescovo di Béziers; santi Eusebio, Caralampo e compagni, martiri; san Vitale, martire; sant’Agapio, vescovo di Cirta e martire; santi Massimo, Dada e Quintiliano, martiri; san Prudenzio, vescovo di Tarazona; san Panfilo, vescovo di Corfinio; beato Lucchese, terziario francescano; beata Maria Luisa di Gesù Trichet, vergine, primo membro delle Figlie della Sapienza; santi Paolo Pham Khac Khoan, sacerdote, Giovanni Battista Dinh Van Thanh e Pietro Nguyen Van Hien, catechisti e martiri; beato Giuseppe Cerula, sacerdote e martire; santa Giovanna Molla, madre di famiglia.

Vangelo del giorno
In quel tempo, Gesù esclamò: «Chi crede in me non crede in me ma in colui che mi ha mandato; chi vede me vede colui che mi ha mandato. Io sono venuto nel mondo come luce, perché chiunque crede in me non rimanga nelle tenebre. Se qualcuno ascolta le mie parole e non le osserva, io non lo condanno; perché non sono venuto per condannare il mondo, ma per salvare il mondo. Chi mi rifiuta e non accoglie le mie parole ha chi lo condanna: la parola che ho detto lo condannerà nell’ultimo giorno. Perché io non ho parlato da me stesso, ma il Padre, che mi ha mandato, mi ha ordinato lui di che cosa parlare e che cosa devo dire. E io so che il suo comandamento è vita eterna. Le cose dunque che io dico, le dico così come il Padre le ha dette a me» [Giovanni 12,44-50].
Domani
Compleanni
Nati il 29 aprile
Il politico, accademico e economista Mark Eyskens (88), lo storico Giovanni Levi (82), l’industriale Carlo Callieri (80), l’ex arbitro di calcio ed ex designatore di serie A e B Paolo Bergamo (78), l’attrice Gay Hamilton (78), l’attrice e fotografa Angnès Spaak (77), il cantautore Paolo Pietrangeli (76), il re delle isole Samoa Va’aletoa Sualauvi II (74), il velista Mauro Pelaschier (72), il musicista, artista e scrittore Bill Drummond (68), l’imprenditore Giovanni Inghirami (66), la filosofa, saggista e editorialista Donatella Di Cesare (65), l’attore Daniel Day-Lewis (64), il mafioso Vito Badalamenti (64), l’ex calciatore, politico e commentatore sportivo Giovanni Galli (63), l’attrice Michelle Pfeiffer (63), il produttore di Z la formica Ratatouille Brad Lewis (63), il comico Luca Laurenti (58), l’attore che interpretava Furio Giunta nei Soprano Federico Castelluccio (57), la presentatrice televisiva Sveva Sagramola (57), la giornalista Annalisa Piras (55), il tennista Andre Agassi (51), l’attrice e modella Uma Thurman (51), l’ex giocatore di pallanuoto Francesco Postiglione (49), l’allenatore ed ex calciatore Fabio Liverani (45), il politico Lorenzo Fioramonti (44), la giornalista Valentina Neri (43), lo sciatore Patrick Staudacher (41), la tennista Sara Errani (34), l’erede al trono tailandese Dipangkorn Rasmijoti (16), l’infanta Sofia di Borbone-Spagna (14).

Nel 2020 abbiamo dedicato il profilo biografico a Michelle Pfeiffer.
Altro compleanno
di Simone Furfaro
Zubin Mehta, nato a Bombay (India) il 29 aprile 1936 (85 anni). Direttore d’orchestra. «Per essere direttori bisogna avere la forza di un boscaiolo, la concentrazione di un monaco buddista e il carattere della padrona di un postribolo. A ciò s’aggiunga la necessità di conoscere quattrocento anni di musica» (a Leonetta Bentivoglio) • «Mehta discende da un’aristocratica famiglia di antica tradizione parsi, i seguaci di Zarathustra che fuggirono dalla Persia per sottrarsi al dominio arabo che aveva islamizzato la loro terra: “Oggi i parsi sono […] una fetta minima della popolazione indiana. Forse anche per questo sono legato a Israele. La nostra religione, un monoteismo fondato sul conflitto tra luce e tenebre, ha qualche analogia con l’apocalittica giudaica. Abbiamo affinità culturali con gli ebrei: come loro diamo un’enorme importanza all’educazione e alla beneficenza, aiutiamo molto i nostri poveri. Santi, per noi, sono gli elementi naturali, il fuoco, l’acqua, la terra: per questo non possiamo bruciare o seppellire i nostri morti. Vengono posti in una grande fossa circolare murata dove li mangiano gli avvoltoi, e c’è uno sbocco che porta le ossa al mare. Si chiama ‘torre del silenzio’. Nel nostro tempio si prega il fuoco, una forza che può distruggere e creare, e il mese di aprile è dedicato all’acqua. Ricordo mia madre che pregava davanti al mare”» (Bentivoglio). «I miei primi ricordi da bambino sono segnati dall’importanza dei valori nella mia famiglia. Mi è stato detto dall’inizio che la nostra religione ha tre simboli: le buone parole, le buone azioni, i buoni pensieri. E io sono sempre cresciuto con questi tre princìpi in casa mia. Mio nonno e mia madre mi dicevano “non pensare brutte cose, non dire brutte parole”. Per noi è molto importante la separazione tra il bene e il male». Figlio del violinista e direttore d’orchestra Mehli Mehta (1908-2002), fondatore della Bombay Symphony Orchestra. «Mio padre era violinista, inizialmente autodidatta, poi allievo del fiorentino Oddone Savini, un musicista che si esibiva insieme ad altri due italiani nei grandi alberghi per stranieri, e dal quale anch’io ho preso le prime lezioni di teoria. Fu con un direttore d’orchestra belga, Jules Craen, che si trovava in quegli anni a Bombay, che svilupparono insieme il progetto dell’orchestra sinfonica, riunendo fortunosamente musicisti cristiani di Goa, colti dilettanti parsi, ebrei giunti in India dall’Europa (non quelli già presenti a Bombay, che provenivano dall’Iraq e non conoscevano la musica occidentale) e, per ottoni e strumentini, elementi della banda della Marina militare indiana di stanza nel porto della città» (a Riccardo Lenzi). «“Era un bizzarro miscuglio di musicisti professionisti, soprattutto negli archi, e di dilettanti. […] Mi ricordo che una volta c’era penuria di cornisti: furono sostituiti con dei sassofoni. […] Una volta suonarono con il grande violinista Yehudi Menuhin, e mio padre li mise sotto torchio, facendoli provare senza tregua. Lui suonava la parte che sarebbe spettata a Menuhin, a me fu affidato il compito di dirigere l’orchestra. Fu la prima volta che salii su un podio”. […] Nonostante il padre musicista, Mehta aveva il destino segnato: laurea in Medicina. Perché la tradizione indiana vuole che solo certe professioni possano essere legate a una determinata casta. Ma ci volle poco per capire che non sarebbe stata quella la sua strada, bensì la musica, assorbita fin da piccolo dai vecchi grammofoni di Mehli, con i dischi che potevano contenere, ognuno, poco più di 5 minuti di musica: per ascoltare una sinfonia, bisognava cambiarli continuamente. E, ancora, le partiture che il padre studiava nel soggiorno di casa: “Le contemplavo già volentieri, quando ancora non sapevo leggere. Ero letteralmente avvolto e circondato dalla musica; la musica era il mio divertimento quotidiano. Tutto questo rappresentava né più né meno, per me, che un accesso assai precoce al paradiso. Ho avuto la fortuna di entrare molto giovane in questo giardino dell’Eden musicale, e finora nulla e nessuno è mai riuscito a scacciarmi da lì”» (Fulvio Paloscia). «“Sono cresciuto nella musica. Non ricordo se prima ho iniziato a parlare o a cantare”. […] Lei ha studiato dai gesuiti. “Per ben undici anni. In classe c’erano ragazzi di sette religioni diverse. Ho sempre vissuto la mia città come un luogo in cui le culture si incontrano. A questa scuola devo una formazione eccellente, un’educazione profonda. Gli insegnanti erano spagnoli, o, meglio, catalani. Affrontavamo tante materie, compresa composizione. Il mio maestro di contrappunto e fuga era stato allievo di Granados. Tutti i preti erano in gamba. Certo, le regole erano chiare e andavano rispettate senza discutere. Non si poteva sgarrare. L’unica cosa che potevamo scegliere erano le lingue aggiuntive, e tra francese, latino e indiano scelsi il francese”» (Piera Anna Franini). «Il suo primo strumento? “Ero troppo pigro per applicarmi a uno strumento. Volevo dirigere, da subito”. I suoi maestri? “A parte mio padre, il primo fu […] Oddone Savini. Viveva a Poona. Per raggiungerlo dovevo farmi tre ore di treno e qualche chilometro in bici. Poi mi sono trasferito a Vienna”. Da solo? “Sì. A Mumbai avevo cominciato a studiare Medicina. Ma presto ho capito che non faceva per me. E così sono partito. Prima tappa a Napoli, dove io e altri adolescenti indiani abbiamo avuto la nostra iniziazione sentimentale”. Ehm… “Ci siamo capiti”» (Vittorio Zincone). Il San Carlo di Napoli fu il primo teatro europeo in cui Mehta mise piede, sia pure per pochi minuti: appena sbarcato dal piroscafo con cui era partito dall’India, infatti, «mi feci accompagnare al teatro dell’opera: non sapevo nemmeno come si chiamava. C’era un recital di Rubinstein in cartellone: non mi fecero entrare. Aspettai la pausa per vedere la sala vuota con il pianoforte. Restai affascinato». Poco dopo raggiunse la capitale austriaca, all’epoca «una città distrutta dalle bombe, occupata dalle forze straniere. Ricordo lo sguardo duro dei soldati russi» (a Valerio Cappelli). «Vienna innanzitutto perché vi abitava un mio cugino, più grande di me: era pianista, ed era fuggito dalla Cina dopo il comunismo (era vissuto a Shanghai). I miei genitori mi affidarono a lui. […] Vienna, […] per uno studente di musica, era come La Mecca, perché erano di casa tutti i più grandi musicisti dell’epoca». «Io mi sono sentito subito di casa a Vienna. Si viveva con settantacinque dollari al mese. Ho suonato il contrabbasso nelle orchestre, ho cantato nel coro» (a Rino Alessi). «L’impatto con Vienna […] fu straordinario. Credevo di conoscere concerti e sinfonie perché li avevo ascoltati nei dischi di mio padre. Ma dal vivo, in quelle sale maestose, erano un’altra cosa: magia». «Quando arrivai a Vienna, a 18 anni, ebbi la possibilità di seguire prove e concerti con direttori come Böhm, Karajan, Bruno Walter e Kleiber padre. Avevo un orecchio vergine, non esistevano i compact, non avevo termini di confronto. Ed eccomi nella Sala d’Oro del Musikverein, con la sua acustica insuperabile, tuffato nel sontuoso suono viennese. Fu l’esperienza che mi diede il via. Quello viennese, per me, è rimasto sempre il suono ideale». «A Vienna, maestro Mehta, lei fu allievo di Hans Swarowsky. Come lo ricorda? “Come un amico e come un padre. Posso dire che è stato, per la musica, la persona più importante nella mia vita dopo mio padre. […] Di Swarowsky ricordo ancora la voce in alcuni passaggi dell’Eroica. Era un toscaniniano, al cento per cento. Ricordo il suo amore per la disciplina: non trovare le cose fra le note, non fare compromessi, ci diceva. E poi ricordo, del periodo di Vienna, che a diciotto anni ho conosciuto più musica nella mia classe di tutti i miei colleghi”. Come ha imparato l’italiano? “Con me, a Vienna, studiava Claudio Abbado. Dovevo tradurgli in italiano quello che Swarowsky diceva in tedesco perché, all’epoca, lui non parlava ancora troppo bene il tedesco”» (Alessi). «Un’amicizia segnata, con Abbado… “Bellissima, la più profonda e importante che abbia avuto. Mi manca molto ancora oggi Claudio”» (Angelo Foletto). «“Insieme eravamo entrati in un coro, ma solo per assistere alle prove d’orchestra dei grandi maestri. Eravamo indisciplinati. Quando il direttore del coro se ne accorse, ci cacciò. E per umiliarci lo fece di fronte a Herbert von Karajan”. Il suo primo concerto da direttore? “A Mumbai avevo avuto un paio di esperienze con mio padre. Poi qualche cosa tra studenti, con cui ottenni il primo compenso della mia vita”. Soldi? “No. La copia originale della partitura dei Kindertotenlieder di Mahler. Il primo vero concerto, però, fu quello alla fine del corso con Swarowsky. Io e Abbado venimmo stroncati da un pianoman di un bar che era venuto a vederci e faceva recensioni per un giornale. D’estate con Claudio andavamo alla Chigiana, a Siena, ai corsi di Carlo Zecchi. Lì incontrai pure Daniel Barenboim. […] La prima volta che lo vidi, pensai che fosse un nano. Stava sul palco e dirigeva. In realtà era semplicemente giovanissimo, un bambino”» (Zincone). «Musicalissimo e bellissimo, Zubin fa strage di cuori mentre la sua carriera folgorante inizia con il primo premio al concorso internazionale di Liverpool del 1958; e con essa parallela cresce la sua fama di tombeur des femmes. A venticinque anni appena, con una accelerazione che lascia indietro l’amico Claudio Abbado, che studia a Vienna negli stessi anni, sale sul podio delle due grandi orchestre per antonomasia: i Wiener e i Berliner Philharmoniker» (Piero Violante). «Le tremavano le gambe? “No, anche se ero nervoso. Dirigevo la Sinfonia in tre movimenti di Stravinskij. Per fortuna non era molto conosciuta. E io ne ero consapevole”. Deve comunque avere fatto colpo, se da quel giorno l’hanno sempre voluta… “Alla fine della prova generale effettivamente gli applausi non mancarono. Subito dopo, il Don Chisciotte…”» (Franini). «“Dopo la II Guerra mondiale era venuta a mancare una generazione di direttori, e così dai grandi vecchi si è passati ai giovani”, dice oggi, come cercando una giustificazione per degli esordi così folgoranti, indiscutibili» (Sandro Cappelletto). «Da allora è stata tutta un’unica tirata. Maestro infaticabile, sprizzante intelligenza, affabilità ed energia, più di altri Mehta sembra incarnare il tipo di direttore globetrotter. Batte tutti i primati: numero di concerti e anni di presenza continuata sul podio delle orchestre che si affidano alla sua guida. Dalla Montreal Symphony, che dirige del ’61 al ’67, alla Los Angeles Philharmonic, dal ’62 al ’78: a soli ventisei anni, scalzando Georg Solti, conquista una delle orchestre più importanti del mondo; alla New York Philharmonic, che dirige dal ’78 al ’91 – dopo Boulez, che aveva lasciato il pubblico newyorkese tra non poche incomprensioni –, battendo ancora una volta Sir Solti, pare con l’aiuto di Isaac Stern; alla Israel Philharmonic, che […] gli è stata affidata a vita» (Violante). Nel 1962 l’esordio al Teatro alla Scala di Milano. «Si racconta che l’allora sovrintendente, Ghiringhelli, fosse disorientato per la sua provenienza. “Tanto che disse al direttore artistico Siciliani: ‘L’anno scorso avete invitato quel giapponese’, che era poi Ozawa, ‘adesso volete far venire un indiano: magari arriverà col turbante. E tutto questo alla Scala, il tempio della musica…’. Per fortuna Siciliani insistette, anzi quando andò alla Rai mi chiamò anche lì. Il concerto era poi andato bene, comunque”. Presentò autori all’epoca impossibili, come Webern e Schönberg. “E infatti la sala era mezzo vuota, ma mi lasciarono fare”. Con Ghiringhelli come andò a finire? “Che diventammo amici, e lo stesso con Paolo Grassi, il suo successore”» (Franini). Nel 1963, a Montréal, Mehta diresse la sua prima opera lirica: Tosca di Giacomo Puccini. «Era una nuova produzione e abbiamo un po’ “improvvisato”, ma avevamo nel cast il grandissimo basso-baritono George London, che è venuto soltanto per la prova generale perché eravamo amici e mi ha fatto un favore! […] Nel 1964 ho diretto un’opera per la prima volta in Europa, con La traviata» (a Gaja Hubbard). «Nel 1965, a ventinove anni, incise l’ultima e incompiuta sinfonia di Bruckner per il debutto discografico, con l’Orchestra Filarmonica di Vienna. “Sì, con la Nona di Bruckner ho un rapporto lungo. L’avevo studiata a Vienna e l’ho potuta approfondire, ristudiandola con Bruno Walter, quando la stava registrando con la Filarmonica di Los Angeles. Da allora non mi ha più lasciato”. È una sinfonia che suggerisce molte interpretazioni. “Questo racconto musicale di un mondo religioso che guarda oramai all’aldilà mi ha fatto maturare come musicista”» (Foletto). «Tutti i pezzi che ho registrato, prima li ho suonati a lungo dal vivo: è stata sempre una mia caratteristica quella di voler sperimentare sul campo i brani prima di arrivare in studio. Sono sempre entrato in sala di incisione solo quando ero convinto della mia interpretazione, perché il disco per me è sempre stato un punto di arrivo nel quale condensare tutte le riflessioni che nel tempo avevo fatto accostandomi alle diverse partiture» (a Pierachille Dolfini). «Capitolo Los Angeles. “Era ancora di più la città dei divi del cinema, ambiente del tutto scollegato da noi. Per la musica era il deserto. A dieci minuti da casa mia c’era il Centro della cultura tedesca: era stato frequentato da Thomas Mann e Bertolt Brecht, che non si parlavano. Mann non era certo di destra, ma l’altro era troppo di sinistra”» (Cappelli). «A Los Angeles, quando ci andai nel 1962, la Filarmonica era già un’orchestra di buona qualità, ma non della qualità che ho lasciato sedici anni dopo. Ho portato un po’ di Europa centrale in California». «L’ex sindaco di New York Ed Koch […] in 11 anni di mandato non venne mai a un mio concerto con la New York Philharmonic. Gli dissi: “Ma che ebreo sei, se non ti piace la musica?”» (Cappelli). «Fra le sue medaglie al valore, c’è anche quella di essere stato uno dei primi a sdoganare le esibizioni di musica classica e lirica in stadi e piazze. Memorabile è rimasto il concerto di Caracalla dei Tre Tenori. Ovvero la santissima trinità lirica: José Carreras, Plácido Domingo, Luciano Pavarotti. E lui sul podio. […] Dopo quella serata il mondo della lirica non è più stato lo stesso. Si aspettava di scatenare un fenomeno del genere? “È vero, quel concerto ebbe un impatto incredibile. Ma tutto andò ben oltre i nostri propositi. Non intendevamo educare alla lirica, attirare il grande pubblico nei teatri d’opera. Volevamo semplicemente dare il benvenuto a Carreras, che tornava a cantare dopo la malattia. Era un incontro fra amici, tra l’altro uniti dalla comune passione per il calcio, tanto che cantammo alla vigilia della finale dei Campionati del mondo di Italia ’90. Le esibizioni erano gratuite, anche se la casa discografica Decca vendette dischi per quasi venti milioni di euro. Certo, avrebbero potuto regalarci almeno una penna a Natale…”» (Franini). «Fra le altre cose Mehta collabora da tempo coi Berliner Philharmoniker, una delle compagini cui rivolge maggiormente la sua passione musicale, “sempre nel ruolo di direttore ospite”, riferisce. “Coi Berliner non faccio tournée, dato che l’orchestra viaggia solo col suo direttore stabile. Ma non ho mancato una partecipazione annuale nella loro stagione concertistica berlinese fin dal 1961!”» (Bentivoglio). Nel 2016 «ha fatto il giro del mondo per i concerti in omaggio ai suoi 80 anni. La tappa a Mumbai deve essere stata speciale… “Non dimenticherò mai quel giorno. Eravamo nello stadio di cricket, davanti a una platea di 14 mila persone. Andrea Bocelli è venuto apposta per cantare in mio onore”. Sembra emozionato mentre ne parla… “Bocelli è una delle persone più delicate che abbia mai conosciuto. Con me, ha sempre voluto fare opera pura, non crossover tra generi diversi. Apprezzo la sua curiosità, legge un sacco di libri. Si informa su tutto. […] Per lui ho un grande rispetto”» (Franini). Tra il 2017 e il 2018 Mehta ha dovuto combattere contro il cancro, riuscendo infine ad avere la meglio. «Un bravo ortopedico, da cui ero andato per un ginocchio, ha intuito che si trattava d’altro. Gli esami hanno confermato cancro al rene, già in metastasi. Tutti sembravano molto spaventati, tranne me. Ho chiamato il mio medico in Israele: mi ha raggiunto a Los Angeles. Sono stato operato da un’equipe composta da un conte austriaco, un medico siriano, due dottoresse greche. Davvero internazionale. Poi ho seguito un protocollo di cure sperimentali. E ora il cancro non c’è più. Ne sono uscito più forte di prima» (a Giuseppina Manin). «Per quanto tempo ha smesso di dirigere? “Otto mesi. È stata la prima volta che sono stato fermo così a lungo. E anche la prima volta in cui mi sono ammalato. A parte una meningite a sei anni, sono stato sempre sano”. Come ha reagito alla paura? “A dire il vero, ero pieno di fiducia nei medici e nella possibilità di superare la malattia. Mi ha aiutato molto mia moglie Nancy. Mi ha convinto che il male andava sconfitto e mi ha trasmesso la sua positività”. Le è mancata la musica? “Era con me ogni notte. Mi circolava in testa mentre dormivo: di volta in volta c’era un brano. Aveva un passo diverso rispetto allo stato di veglia. Ma era onnipresente nei miei sogni”» (Bentivoglio). Nel 2019 Mehta ha concluso con un ultimo ciclo di concerti il suo «splendido rapporto cinquantennale» con la Filarmonica di Israele. «Nel 1961 Mehta dirige per la prima volta in Israele: “Andare in Israele fu come tornare a casa, dopo sette anni di Europa. La gente era molto più asiatica, la stessa confusione per la strada, venti opinioni per ogni problema. Superficialmente, in Israele, c’è molta disorganizzazione, come in Asia”. Nel 1969 diventa direttore stabile della Filarmonica di Israele di cui, in seguito, è nominato direttore a vita» (Alessi). «Il suo rapporto con l’Orchestra cominciò quando si mise a disposizione per sostituire l’austriaco naturalizzato statunitense Erich Leinsdorf, che durante la Guerra dei sei giorni diede forfait e fuggì da Israele. Mehta si trovava a Porto Rico per il Festival Pablo Casals. “Capii che dovevo subito tornare in Israele. All’interno dell’aereo non si stava comodi. Prima dell’atterraggio venni a sapere che ero seduto su un sedile contenente una cassa di munizioni. L’intero apparecchio ne era zeppo”» (Cappelli). «Una notte che era a Gerusalemme, all’Hotel King David, un proiettile forò la parete sopra il suo letto, mentre dormiva: “Ho un buon angelo custode: gli spari non mi hanno svegliato”. Quando volle proporre a Israele il preludio e la morte d’amore dal Tristano e Isotta di Wagner, in sala esplose il finimondo: “Insulti, grida, gente che tentava di salire in palcoscenico, aggressioni fisiche agli orchestrali, un caos furioso. Nel pubblico c’era gente che aveva sentito Wagner nei lager, e che aveva ancora il numero tatuato sul braccio. Non si può non rispettare certe emozioni. D’altra parte, la storia della musica degli ultimi centocinquant’anni sarebbe impensabile senza Wagner”» (Bentivoglio). Con la Filarmonica di Israele, tuttavia, «molti sogni sono […] stati realizzati. Volevo andare in India: per molti anni i due Paesi non hanno avuto relazioni diplomatiche, e nel ’94 siamo andati in India e l’orchestra ha suonato gratis. Il concerto non è stato solo per 2.000 persone: le registrazioni del concerto, le abbiamo date gratuitamente alla tv indiana perché potesse essere visto da tutti. Siamo andati anche in Cina. Abbiamo fatto un concerto in Polonia nell’87 e in Russia nel ’90. Siamo andati gratuitamente per aprire una nuova porta. Dovevamo fare questo per Israele, per l’amicizia che ci lega». «Nel 1991, mentre volavano gli Scud iracheni, ero a Tel Aviv, e in platea c’erano arabi e israeliani. Non dico che alla fine si siano abbracciati, ma almeno sono stati insieme per qualche ora»: in quell’occasione «Mehta diresse Bach, con il violinista Isaac Stern come solista, davanti a una platea con indosso le maschere antigas» (Giulio Meotti). In Israele «ho maturato una coscienza politica. A Begin chiesi di mandarmi con l’Orchestra a suonare al Cairo, mi rispose che prima doveva firmare i settlement, gli accordi con Sadat. Non sapevo nemmeno il significato di quella parola. Con Netanyahu non sono d’accordo su nulla. Ho detto addio alla Israel. All’ultimo tour, con la Terza di Mahler, le donne dell’orchestra avevano il trucco sciolto dalle lacrime». È ancora vivissimo, invece, il suo rapporto, anch’esso risalente ai primi anni Sessanta, con l’Orchestra del Maggio musicale fiorentino (di cui dal 2006 è direttore onorario a vita), che «è la mia famiglia da quando nel 1986 ne assunsi la direzione, anche se avevo già iniziato a frequentarla come ospite nel 1962. Debuttai l’11 febbraio in un concerto sinfonico che presentava un pezzo contemporaneo in prima esecuzione per la città, Incontri di Piero Giorgi, più il Concerto in la minore di Schumann con il pianista Friedrich Gulda e la Prima sinfonia di Mahler». «Il suo rapporto con Firenze è affettuoso e speciale, e il suo nome è legato ad alcune tra le produzioni più rilevanti del Comunale fiorentino. Qui, nel ’64, debuttò […] con La traviata; qui diresse il primo ciclo completo realizzato in forma scenica in Italia (regia di Ronconi) della Tetralogia wagneriana (tra il ’79 e l’81). Sempre a Firenze guidò la Trilogia Mozart-Da Ponte messa in scena da Jonathan Miller (’90-’92) e stimolò la prima regia lirica di Julie Taymor (oggi celebre regista cinematografica) con un Flauto magico nel ’93. A Mehta inoltre, Firenze deve un premiatissimo Moses und Aron di Schönberg (’94). E fu l’Orchestra del Maggio che il maestro indiano diresse, nel ’90, per quell’evento-fenomeno (il più redditizio mai realizzato nel mondo della classica) che fu il primo concerto dei Tre Tenori a Caracalla» (Bentivoglio). Fu ancora alla direzione dell’Orchestra del Maggio musicale fiorentino che, nel 1998, Mehta eseguì la Turandot di Giacomo Puccini nella Città Proibita di Pechino, con la regia di Zhang Yimou. «Il governo cinese non la voleva: dicevano che Zhang Yimou, il regista, girava film contro il loro Paese. Così andai dal ministro degli Esteri con una scatola di biscotti al mango di Bombay. Se lo dirigi tu va bene, mi disse. Coprirono con dei drappi alcuni danni lasciati da Bertolucci quando girò L’ultimo imperatore. Erano ancora arrabbiati» (Cappelli). A Firenze, il 30 agosto 2020, in memoria delle vittime della pandemia da Covid-19, «dirigeva il Requiem di Verdi. Cosa pensava in quel momento? “A chi non ce l’ha fatta, ma anche a chi si è speso per cercare di salvare più vite possibile. Una grande preghiera collettiva con un grande cast canoro. Quasi lo stesso di quello di Chailly in Duomo”» (Manin). Il 15 settembre 2020 ha diretto per la prima volta La traviata di Giuseppe Verdi al Teatro alla Scala di Milano (in forma di concerto). «La musica per me è come l’ossigeno. Tra il fermo per la malattia e il Covid, non ce la facevo più, a stare lontano dal podio. E poi Traviata l’ho diretta ovunque tranne che alla Scala. Un debutto a 84 anni». «Alla sua età pare non preoccuparsi del Covid. “Io sono sano e una persona molto positiva. In ogni senso. Poi vengo da una famiglia in cui tutti hanno abbondantemente superato i novant’anni. E io ne ho solo 85”. […] Avrebbe dovuto dirigere “Rigoletto” di Martone. Quando pensa potrà farlo? “Non lo so. Mi spiace che il progetto sia sfumato. Più ancora mi mancherà l’opera di Nono, anzi il dittico di Intolleranza e di Erwartung di Schönberg, un vero accostamento “di famiglia” che avevo voluto nel trentennale della morte di Nono”. Pensa ci siano speranze? “Aspetto che qualcuno si faccia vivo per parlarne. Ci tengo molto”» (Foletto). Il 13 febbraio 2021 fu colto da un malore mentre stava dirigendo l’Orchestra del Teatro alla Scala di Milano nelle prove della Salome di Richard Strauss. «Alle prove avevo problemi di concentrazione, facevo errori che non commetto. Una pausa e riprendiamo, dissi. Ma Meyer, il sovrintendente, insisteva per portarmi in ospedale. Era una leggera ischemia. Non ho sofferto, non ho sentito nulla». «“È stato un vero dispiacere non poter dirigere Salome. […] Sono molto grato a Riccardo (Chailly, ndr), che l’ha presa in mano con tanta passione”. […] In questi mesi il maestro indiano […] ha fatto la spola con Firenze (“Per me non esiste la fatica nel far musica”) ed è diventato familiare al popolo degli appassionati “salvati” dalla musica a distanza: “Lo streaming ha salvato lo spirito dei musicisti, ma non si può più continuare così – ribadisce Mehta –: abbiamo bisogno di respirare con più libertà nella musica viva. […] Suonare in (e per) un teatro vuoto dà sempre l’angoscia. Alla Scala lo è meno solo per l’acustica: tutto un teatro che vibra all’unisono è un’emozione difficile da dimenticare”» (Foletto). «“Il 29 aprile compio 85 anni. Li festeggio con un concerto a Berlino da Barenboim”. Un direttore si ritira? “Non si ritira mai. Io mi sento giovanissimo. E torneremo alla vita di prima”» (Cappelli) • «Negli Stati Uniti mi sono rifiutato di dirigere colonne sonore. Ho accettato una sola volta, per Manhattan. Ma si trattava di Gershwin. Tutto il cast – Mariel Hemingway, Meryl Streep, Diane Keaton – venne a sentire il risultato musicale in uno studio di registrazione. Woody Allen? Era molto umile» • «Di leggendaria bellezza da giovane, un rubacuori con pochi confronti, un mito di avvenenza persino a Hollywood, in mezzo ai divi del cinema, molti dei quali sono stati suoi amici» (Bentivoglio) • Due figli, Mervon e Zarina, dal primo matrimonio (1958-1964), con il soprano canadese Carmen Lasky, in seguito risposatasi con Zarin Mehta, fratello dell’ex marito; un’altra figlia, Arianna, da una relazione sentimentale avuta tra le prime e le seconde nozze; il quarto e ultimo figlio, Ori, da una relazione extraconiugale intrattenuta da Mehta in Israele tra fine anni Ottanta e inizio anni Novanta, quando era già sposato (sin dal 1969) con l’attrice statunitense Nancy Kovack, sua consorte ancor oggi. «Ancora ringrazio mia moglie Nancy, che è rimasta con me, sebbene offesa e ferita» • «Ho cominciato a dirigere a 21 anni. La musica è il filo rosso della mia esistenza. Insieme alla mia famiglia è la cosa più importante. Sento molto la mancanza dei miei genitori. Mio padre, Mehli, […] mi fece amare la musica e ha seguito insieme con mia madre ogni giorno della mia vita musicale. Erano quasi ossessivi, volevano sapere ogni dettaglio. Mi mancano molto questi colloqui notturni dall’altro capo del mondo» (a Laura Dubini). «In famiglia sono cresciuto parlando un dialetto della lingua gujarati, la stessa del Mahatma Gandhi. Ho avuto un rapporto fortissimo con i miei genitori, entrambi molto longevi. Mio padre è morto a novantaquattro anni, mia madre a novantasei, e quando avevo più di sessant’anni potevo ancora conversare con loro ogni giorno. Uno dei motivi per cui li chiamavo spesso era il piacere di usare la mia lingua, che ho perso da quando non ci sono più. Adesso, quando telefono a mio fratello Zarin a New York, gli parlo in gujarati e lui mi risponde in inglese. Per me è una tragedia» • «Il sogno del direttore d’orchestra Zubin Mehta è trascorrere la sua vecchiaia in Kashmir, “immerso nella sacralità della natura, in una casa da cui si veda il punto di confluenza tra i fiumi Gange e Jamuna. […] Sono indiano al cento per cento, dentro e fuori. Nessuna cucina mi soddisfa tanto, neanche quella italiana, che pure è meravigliosa: diciamo che merita il secondo posto. Nessuna terra mi appartiene così intimamente come il mio Paese. […] Che felicità tornare a Bombay, dove sono nato. Apro la finestra e mi affaccio su un flusso di migliaia di persone, oceani incredibili di umanità. Scendo per strada ed è come nuotare, mi piace confondermi tra la folla senza che nessuno mi riconosca. […] Quando ho cominciato a lavorare in America, nel ’61, ero quasi l’unico indiano conosciuto negli Stati Uniti. Oggi non c’è ospedale né borsa né compagnia finanziaria dove non lavorino gli indiani. Sono gli artefici delle infrastrutture americane. Però in India, su un miliardo e duecento milioni di abitanti, solo quattrocento milioni sanno leggere e scrivere. Gli altri vivono nell’ignoranza e nella povertà. In alcuni villaggi vige ancora il sistema per cui si ammazzano le figlie femmine, in quanto meno utili per i lavori nei campi. È spaventoso”» (Bentivoglio). «Credo che il governo indiano non protegga abbastanza i musulmani, che nel Paese sono numerosissimi, molto più che in Pakistan. Pesante e dolorosa è la situazione in Kashmir, dove nel 2013 ho diretto un concerto in cui per la prima volta spettatori indù e musulmani si sono trovati uniti spiritualmente ad ascoltare Franz Joseph Haydn e Beethoven. La musica ha una forza di coesione che arriva in sfere decisamente inaccessibili alla politica». «Lei, che è un cittadino del mondo, cosa porta sempre con sé del suo Paese? “Ho sempre con me delle piccole medaglie raffiguranti Zarathustra che mi ha dato mia madre. Sono come piccoli bottoncini che porto sempre all’occhiello, anche nei concerti”» (Hubbard) • «Lei è un direttore d’orchestra politico? “Che cosa vuol dire?”. Che è spesso impegnato in iniziative politiche. […] Nel 1956 ha suonato per i profughi ungheresi, negli anni Settanta contro la guerra in Vietnam a Los Angeles. Poi a Oslo, nel 1993, durante i trattati di pace tra Arafat e Peres. […] Ha diretto un concerto nella biblioteca distrutta di Sarajevo, durante la guerra, nel 1994… “Quindi, sono un direttore per la pace. Sembrerà retorica, ma la musica unisce. Nessuno pretende di portare la pace in punta di bacchetta, ma si possono dare segnali”» (Zincone). «Zubin Mehta considera la musica come un ponte fra i popoli, e oltre all’impegno in campo umanitario si dedica al sostegno e alla formazione di giovani talenti musicali in India con la Mehli Mehta Music Foundation e in Israele con la Buchmann-Mehta School of Music» (Hubbard). «Nel mio Paese c’è molto interesse nei confronti della musica classica occidentale, nonostante la musica tradizionale indiana sia fortemente radicata nella cultura e nella vita quotidiana. Per questo l’educazione ad altri tipi di suoni non viene contemplata: la Fondazione a nome di mio padre permette a giovani musicisti indiani di studiare in Europa, invita grandi solisti del resto del mondo a tenere lezioni a Bombay, ed è un caso unico» • «Dove si sente a casa? “A Firenze, a Tel Aviv, a Los Angeles e a Mumbai”. In che lingua pensa e in che lingua sogna? “Mi capita di farlo anche in tedesco. Ma quando sogno i miei genitori lo faccio in gujarati, che è la lingua dei parsi”» (Zincone). «La mia casa sulle colline [nel contado fiorentino – ndr], dove faccio anche l’olio, […] è il mio paradiso. La mia vita in teatro e il rifugio nella casa sulle colline […] rappresentano per me la condizione ideale di vita. Anche la mia casa americana, a Los Angeles, mi permette di vivere a stretto contatto con la natura. Ho una bella casa circondata da tre ettari di bosco: da una parte vedo, in lontananza, il Pacifico, dall’altra le montagne della California. […] Il bisogno di vivere a contatto con la natura ha reso i tredici anni di New York infelici per me. Non vivevo bene nella città, a Manhattan. Ero felice solo con i musicisti; anche il carattere aggressivo dei newyorkesi non mi è mai piaciuto» • «Quanto conta il rapporto tra musica e religione? “Difficile rispondere: per noi tutta la musica è una religione. Non sappiamo distinguere dove finisce l’una e inizia l’altra”. Non esistono atei in musica, quindi. “È impossibile vivere senza musica, piuttosto”» (Foletto) • «Ha un brano di musica pop preferito? “No. Non ho mai messo un disco pop o rock nel mio lettore cd. Apprezzo il jazz perché i musicisti sono bravi e improvvisano, ma il rock…”. Che cosa ha che non va? “Fanno lo stesso ritmo per 5 minuti. Allora preferisco il rap, che alle origini aveva un ruolo sociale notevole. Nei testi c’era tutta la sofferenza dei ghetti neri”» (Zincone) • «Peperoncino: mito o realtà? È vero che ne trasporta sempre una scatola con sé? “Sempre! Però non mi piace il cioccolato (altra mia grande passione) con il peperoncino. Adesso in Italia è di grande moda mescolarli, e questo non mi piace. O peperoncino o cioccolato!”» (Hubbard) • «Dal punto di vista logistico, com’è organizzato il suo archivio musicale? Viaggia con una valigia piena di partiture? “No, no! Devo organizzare tutto con anticipo, perché la mia biblioteca è a Los Angeles e ogni volta che viaggio parto per 6 mesi. Confeziono dei pacchi di partiture con etichette che indicano la data e il luogo di destinazione: Monaco, Firenze, Tel Aviv. Prendo con me soltanto le partiture che devo provare subito, e, le altre, le spedisco con FedEx. FedEx vive con me!”» (Hubbard) • «Mehta conta sull’immagine di un musicista “naturale”: pur coltivato nello studio e nella solida esperienza, il suo rapporto con la musica sembra manifestarsi senza diaframmi intellettuali, come sgorgasse da un dono che lo possiede. Appassionato e consapevole, con una carica umana contagiosa e un gesto limpido e perentorio, spicca sul podio con un’autorevolezza e un fascino che paiono garantirgli il dominio assoluto dell’orchestra. […] Conoscitore dei classici viennesi e del più germanico degli autori, Wagner, viaggia in un repertorio che include Mozart e Brahms, Mahler e Bruckner. Fastoso uomo di teatro, cattura il pubblico con le sue interpretazioni di Verdi, Puccini e Richard Strauss; ma può anche offrire uno Schönberg denso e profondo, e sa orientarsi abilmente nelle geometrie complesse di Stravinskij» (Bentivoglio) • «Mi sento ancora profondamente indiano. Sono cresciuto nella cultura, nell’arte e nella gastronomia del mio Paese. Ma, per quanto riguarda la musica, la mia formazione è stata solo occidentale. Fin da piccolo, in casa, ho sempre ascoltato Mozart e Beethoven. Solo da grande sono diventato un fan della musica indiana, e oggi mi piacciono musicisti come il sitarista Ravi Shankar e i tablisti Ali Akbar Khan e Zakir Hussain. Ho fatto anche concerti insieme a Shankar e alla Filarmonica di New York». «Per scelte di cultura e occasioni di vita, io sono “viennese”». «Niente, racconta, gli dà più piacere del dirigere l’Eroica di Beethoven. E soprattutto il Don Giovanni di Mozart, che “è insieme pathos e commedia, capace di provocare il pianto e il riso. Potrei dirigere quest’opera in ogni momento della mia vita. E anche La Valchiria di Wagner: mi toccano nel profondo i sentimenti che vi sono espressi, i forti legami fraterni, l’amore del padre per la figlia che, per intesa spirituale, per lui è quasi una fidanzata. Tutto è concreto, vivido, riconoscibile”» (Bentivoglio) • «Penso […] d’essere un direttore sinfonico e operistico in egual misura. Ho dato moltissimo anche al teatro». «Un direttore con un gesto di rara eleganza come il suo si sente ugualmente appagato dallo stare nella fossa piuttosto che in palcoscenico? “Ho quasi cominciato le due cose insieme. Opera e sinfonica rappresentano una sfida completamente diversa. Con l’opera si controlla la scena e l’orchestra, e per creare questo colloquio tra scena e orchestra si deve sapere quand’è il momento di accompagnare un cantante e quando invece lo si deve dirigere. Allo stesso modo bisogna sapere quando dirigere una scena, come nel secondo atto della Tosca, dove se si fa lo sbaglio di accompagnare i cantanti tutto il senso drammatico cade. Bisogna dirigere il dramma! […] Molti cantanti non sentono questo rapporto. Anche Plácido Domingo mantiene sempre il contatto con la fossa e con il direttore, se il direttore comanda”» (Hubbard). «La regia è fondamentale, ma a volte con i registi sono un rompiscatole. Ho avuto a che fare con geni come Strehler e Cacoyannis, con scenografi come Frigerio. Per un’Aida gli avevo detto: voglio vedere il Nilo e il deserto tutto il tempo. E lui me li ha creati. Ma non va sempre così. Ricordo un Fidelio con un regista spagnolo di cui ho rimosso il nome. Ero arrivato che lui aveva già deciso tutto. Quando si è alzato il sipario sono rimasto spiazzato: non riconoscevo neanche il protagonista, che invece di incontrare la moglie in carcere ci parlava al telefono. Ho riso tutto il tempo. Così, prima di accettare una produzione chiedo sempre di incontrare il regista» • «La mia generazione è sempre stata molto solidale e mai competitiva. Claudio Abbado era un fratello, e così Riccardo Muti e Lorin Maazel. Le liti tra direttori si sono fermate a chi ci ha cronologicamente preceduto». «Quali i direttori che hanno più suggestionato Mehta? “Non voglio fare nomi, ma forse colui che osservai di più fu Herbert von Karajan”» (Lenzi). «Chi sono i solisti migliori che ha diretto? […] “Ho diretto sia un Arthur Rubinstein ottantenne sia Pinchas Zukerman. Lui, ormai, è come un fratello”. Quale è la sala acusticamente migliore per dirigere? “Il Musikverein di Vienna. Detta ‘la scatola da scarpe’. Dopodiché, ci sono alcuni teatri moderni ottimi in Spagna e in Giappone. Lì, a volte copiano le sale occidentali più antiche in ogni particolare. E fanno bene. In Europa, invece, gli architetti sono troppo orgogliosi”» (Zincone). «Il cantante più grande? “Domingo. Il giorno che lo dissi ero con Pavarotti: un vero galantuomo, non fece alcun commento. Mi accolse a Modena con una torta”» (Cappelli) • «Se avesse avuto la possibilità di parlare a un grande compositore del passato, chi avrebbe voluto incontrare e cosa gli avrebbe chiesto? “Sicurissimamente Mozart, sicurissimamente Verdi. Avrei voluto sedermi per ore e ore con Wagner a fargli domande. Per il repertorio sinfonico ci sono molte cose di cui mi piacerebbe parlare con Mahler, nonostante abbia scritto molte istruzioni per il direttore nelle partiture”» (Hubbard). «Ha conosciuto Alma Mahler, la vedova del musicista. “Sì, nella sua casa di New York, con mobili Bauhaus che sembrava di stare a Vienna. Mi tenne la mano tutto il tempo, nell’altra aveva un ventaglio di Kokoschka. L’atmosfera era decisamente teatrale”» (Cappelli) • «Com’è cambiato, negli anni, il direttore Mehta? Il suo gesto sembra essere diventato più asciutto ed essenziale. “Da giovani si è più esuberanti, e oggi ho il vantaggio di lavorare con orchestre che mi capiscono al volo. Non c’è bisogno di esagerare gestualmente. Ma anche quand’ero giovane tenevo bene a mente la regola del rigore imposta da Swarowsky. Quanto all’interpretazione, il passare degli anni, com’è naturale, ci regala acquisizioni e approfondimenti”» (Bentivoglio). «“Mentre dirigo, non mi agito. […] Swarowsky mi ha insegnato a guidare l’orchestra col polso. Uso molto gli occhi”. Gli occhi? “Ci sono colleghi che tengono lo sguardo fisso sullo spartito. Bravissimi, eh, ma io non potrei. Conosco gli occhi di tutti i miei musicisti: serve anche per governare gli imprevisti”. Lei ha detto: “Il mio strumento è l’orchestra”. “Mi illudo che sia così. Comunico con i musicisti col corpo durante tutte le rappresentazioni”. Sa a memoria tutte le sinfonie o le opere che dirige? “La musica, sì. E nelle ore che precedono il concerto la rivivo, in testa. Anzi, è l’inconscio che la rivive, perché nel frattempo io magari faccio altro. Mi capita anche mentre gioco a backgammon con mia moglie Nancy”» (Zincone). «Le orchestre lavorano bene con Mehta perché lui ricorda sempre che sono formate da uomini e donne che chiedono a un direttore di condurre il loro talento verso il miglior risultato possibile. Non solo un dato tecnico, una convinzione culturale. Si tramandano aneddoti leggendari: l’impermeabilità a qualsiasi disturbo da fuso orario, così che può sbarcare da un aereo dopo un volo intercontinentale e lavorare subito in teatro sei ore; la capacità di dormire a comando: c’è chi giura di averlo visto assopito anche durante una coda al check-in. “Non so far altro che lavorare”, dice di sé» (Cappelletto) • «Direttore d’orchestra premiato da un consenso pluridecennale e internazionale, Mehta, per qualche strano miracolo, non condivide le bizze delle super-star, coltivando virtù quali la generosità e l’empatia» (Bentivoglio). «Non conosce le ripicche, le polemiche, non è geloso dei colleghi: “Cerco sempre, per le mie orchestre, altri grandi direttori: tengono alto il livello, così, quando ritorno io, non devo faticare”. […] Se gli capita di leggere una critica perplessa non si arrabbia, non protesta, non pensa a un complotto, […] ma si dispiace per non essere riuscito a farsi capire. Ha relazioni internazionali tali da poter chiudere una tournée, una sponsorizzazione, un’incisione discografica: l’attività di direttore principale non si esercita solo dal podio, la funzione richiede altre energie. Abita la musica senza angoscia e dunque non la trasmette. […] È indifeso […] di fronte alle amicizie. Non darebbe mai un dispiacere a Sophia Loren, e così Carlo Ponti jr. può oggi scrivere nel curriculum di aver diretto anche lui l’orchestra fiorentina» (Cappelletto). «Autentico e spontaneo. Signore dai modi gentili e allo stesso tempo uomo concreto che vuole sempre fare centro, raggiungere l’obiettivo che si è prefissato. Per questo non ama perdere tempo, anche tenendo conto del fatto che l’agenda organizzata in modo teutonico non gli offre grandi margini per variazioni improvvise di programma. Autoironico ed essenziale, ha in queste due caratteristiche una sorta di antidoto utile a evitare il rischio di perdersi nel labirinto dei capricci d’artista, come invece accade ad altri suoi colleghi. […] Mehta ama da sempre il basso profilo, anzi, bassissimo; eppure è stato scelto come uomo copertina dal settimanale Time e il New York Times lo ha menzionato 2.300 volte, come e più di un presidente americano. Critici e osservatori sono d’accordo nel presentarlo come un monumento vivente della storia dell’interpretazione musicale. […] Se gli si domanda “Maestro, ha un database di tutti i concerti fatti?”, lui risponde semplicemente con un “sì, è tutto qui”, indicandosi la fronte» (Franini). «“Suonare con Mehta è sempre una festa”, ha detto una volta Arthur Rubinstein. Mehta ha uno stile sfolgorante, un’adesione immediata alla pagina, dirige, sembra, con felicità. Un grandissimo interprete soprattutto del tardo Ottocento, del primo Novecento e dell’opera» (Violante). «È, a detta di Maurizio Pollini, uno dei pochi artisti che hanno saputo coniugare al rigore delle letture la sensibilità per la grande musica moderna» (Lenzi) • «Si dice che il pubblico è invecchiato, che non c’è ricambio, che dilaga la crisi. Ma anche quand’ero giovane ci si lamentava che i giovani non venissero ai concerti. Quelli che oggi sono maturi o vecchi dove stavano cinquant’anni fa? Non erano forse i giovani di allora? Io credo che non ci sia alcuna flessione d’interesse: semplicemente, la musica classica si fa capire e apprezzare di più da chi ha superato i quarant’anni. Crescendo si comprende meglio il senso e il peso della cultura, diventa più necessaria. Non a caso i musei non traboccano di ventenni. Però […] sono convinto che noi musicisti possiamo ancora parlare al cuore della gente, di ogni generazione» • «Se non fosse stato un direttore d’orchestra? “Non posso immaginare altra professione per me”. […] Che difetto umano si riconosce? “Sono così tanti… l’impazienza, innanzitutto. Per fortuna c’è mia moglie che mi controlla”. E, quanto alle qualità… “Sono un musicista onesto: rispetto le partiture, il credo e lo stile di un compositore”» (Franini). «L’errore più grande che ha fatto? “Quando ero un giovane direttore, ho un po’ maltrattato alcuni strumentisti”. Era arrogante? “No. Molto esigente. Non erano grandi musicisti, ma gli ho rovinato un periodo della vita, e mi dispiace”» (Zincone). «Non avevo ancora trent’anni ed ero mal consigliato a Los Angeles. Ma poi ho sempre chiesto scusa. L’armonia tra le persone è importante» (a Laura Dubini) • «Il sogno della mia vita è fare un Parsifal»: «stranamente, ho fatto tutto Wagner tranne quel titolo». «Quale […] musica […] porterei su un’isola deserta? La Messa in si minore di Bach, che non ho diretto mai: mi fa paura, così la studio per il resto della mia vita» • «“Ho una buona memoria, ricordo tutti i concerti che ho fatto e conservo nel cuore ogni momento della mia avventura musicale. Ma non è mia abitudine guardare al passato. Preferisco guardare avanti, al futuro. Spinto sempre a fare quello che faccio dall’amore per la musica”. […] Non vorrebbe concedersi un po’ di risposo? “No, finché troverò soddisfazione in quello che faccio”» (Dolfini). «A noi direttori piace morire sul podio».
SF
C’era una volta
Dieci anni fa
Venerdì 29 aprile 2011. A Londra, William d’Inghilterra sposa Kate Middleton. Cerimonia all’abbazia di Westminster, tutta addobbata di alberi la navata centrale. Lei: abito bianco firmato Sarah Burton (della maison Alexander McQueen) con strascico di tre metri, corpetto di pizzo a maniche lunghe, velo, tiara imprestata dalla regina Elisabetta. Lui: divisa da colonnello della Guardia irlandese, con giacca rossa e bandoliera azzurra. Invitati: 1.900. Anello (uno solo, messo dallo sposo alla sposa, come usa nelle famiglie dell’alta aristocrazia inglese) ricavato da una pepita del Galles donata dalla regina al nipote. Sovrana in giallo pastello, Camilla in panna, Carole, madre della sposa, in grigio-celeste. Notate e apprezzate le belle forme di Philippa Middleton, sorella e damigella della sposa. Sguardi di approvazione anche da parte di Harry, fratello e testimone dello sposo (con uniforme di capitano di Cavalleria dalla giacca nera). Cappellini notevoli: quelli delle cugine di William, Eugenia e Beatrice, figlie del principe Andrea e Sarah Ferguson. Finita la cerimonia, giro in carrozza aperta per le vie intorno a Buckingham Palace, poi bacio rituale dal balcone del palazzo e infine altro giro per le vie a bordo dell’Aston Martin Cabriolet (a bioetanolo) del principe Carlo, addobbata con palloncini e targa “JU5T WED” [Tutti i giornali 30/4 e 1-2/5/2011]. L’abito di Kate è in satin e gazar di seta, stretto in vita, imbottito sui fianchi come una veste vittoriana e adornato da pizzi realizzati da ricamatrici che, tenute all’oscuro della destinazione del loro lavoro, cambiavano ago ogni tre ore e si lavavano le mani ogni mezz’ora. Nei pizzi erano stati inseriti, invisibili ai più ma estremamente importanti, i simboli di ciascuno dei quattro paesi che formano il Regno Unito: la rosa d’Inghilterra, il narciso del Galles, il cardo di Scozia e il trifoglio dell’Irlanda del Nord. Da molti anni gli esperti di moda attendevano un abito da sposa che superasse in grazia quello indossato nel 1956 da Grace Kelly per il matrimonio con il principe Ranieri di Monaco, e finalmente l’avevano trovato». William, che indossava l’uniforme delle Irish Guards cucita su misura da Kashket & Partners, era stato preso da un attacco di panico pochi minuti prima di entrare nell’abbazia, ma il suo best man, il fratello Harry, era riuscito a fargli riprendere il controllo. Quando le telecamere riprendono l’ingresso della sposa, inquadrano Pippa mentre si chinava in avanti per sistemare lo strascico della sposa all’ingresso dell’abbazia. Immagine che risulterà essere molto apprezzata. In chiesa Kate, come Diana, promette di «amare, confortare, onorare e avere cura» del marito, ma non di «ubbidirgli». L’arcivescovo di Canterbury unisce in matrimonio il duca e la duchessa di Cambridge alle 11.20. Prima di uscire dall’abbazia la coppia sosta davanti alla regina per l’obbligatorio inchino che deve concludere ogni matrimonio reale. Nel tragitto tra Westminster e Buckingham Palace una folla composta da un milione di persone attende William e Kate, mentre altri due miliardi e mezzo li seguono in televisione. Il matrimonio è costato quaranta milioni di sterline, un milione solo per i fiori, ma ancora una volta la Gran Bretagna ne trae un grande beneficio in termini di immagine e di ricavi dal turismo: la monarchia non è mai stata così fiorente e così in forma. Quando William e Kate si baciano sul balcone le urla dei sudditi sono così forti che una delle piccole damigelle d’onore si copre le orecchie con le mani. Un’immagine immortalata in una bella foto che sembra un quadro di Raffaello con gli angioletti annoiati e indispettiti. Dopo il ricevimento ufficiale a Buckingham Palace, concluso con i discorsi di Carlo e degli amici della coppia, conditi di umorismo, di battute e di ogni episodio imbarazzante che gli sposi avrebbero voluto tenere nascosto per sempre, Harry e Pippa invitano gli ospiti rimasti a trasferirsi nella sala del trono. Alla festa, una piattaforma da disc jockey, un bar pronto a servire Crack Baby e ogni altro cocktail. Al party non c’è la regina ma Carlo e Camilla che ballano fino a notte fonda. I neosposi trascorrono la prima notte di nozze nella Belgian Suite che la regina ha loro riservato [Sabadin, La guerra dei Windsor].
Manifestazioni in Siria. Per la prima volta compaiono organizzazioni dichiaratamente islamiste, come la Fratellanza Musulmana.
La vita del giornalista tv Lamberto Sposini, 59 anni, è appesa a un filo. È stato colto da malore davanti a Mara Venier negli studi romani della Rai di via Teulada, poco prima dell’inizio di una puntata de La vita in diretta dedicata al matrimonio reale britannico. Ricoverato d’urgenza è stato operato dai neurochirurghi del Policlinico Gemelli, a Roma, che hanno rimosso un’emorragia cerebrale. L’intervento è riuscito, ma le condizioni del giornalista restano «molto critiche». Polemiche sui ritardi nei soccorsi.

Venti anni fa
Domenica 29 aprile 2001. Continuano le polemiche sul monologo di Celentano. Veronesi apprezza la sollecitudine del presidente Zaccaria «per la tempestività della risposta», ma lo scambio di cortesie si ferma qui. «Conferma tutte le accuse il ministro della Sanità, Umberto Veronesi, che liquida in quattro righe – neppure di suo pugno, ma delegate all’ufficio stampa — la replica alla lunga lettera che il numero uno della Rai, Roberto Zaccaria, gli ha inviato in risposta ad una sua altrettanto lunga, e più pepata, missiva sul pasticcio Celentano e l’invettiva contro la legge sulla donazione degli organi. Nelle quattro righe, il portavoce scrive che Veronesi ha apprezzato “molti dei pensieri espressi” da Zaccaria, ma senza specificare quali. […] Il ministro, confidano i suoi, sarebbe molto risentito perché “su di lui grava la responsabilità di trovare una soluzione alle richieste dei malati che attendono il trapianto” e dunque “non riesce ad accettare che un monologo in tv mandi all’aria quanto fatto fin qui”. I numeri sembrano premiare la legge contro cui si è scagliato Celentano: dal marzo del 1999, quando il nuovo testo è stato approvato, ad oggi i donatori d’organo sono aumentati. Un trend che continua, per la verità, dal 1992. Nel 2000 si sono contati 15,2 donatori per milione di abitanti, il 4,3% in più rispetto al 1999. L’Italia, dunque, si sta allineando ai valori europei (16,5 donatori di media per milione di abitanti), ma restano grandi le differenze fra il Nord (22,9 donatori per milione di abitanti), il Centro (14,1 donatori) e il Sud (6 donatori). Non è cresciuto, invece, il numero degli interventi: nel 2000 i trapianti di rene sono stati 1.308 (contro i 1.314 del 1999), i trapianti di cuore sono stati 298 (337 nel 1999), i trapianti di polmone 60 (l’anno precedente erano stati 101). Unico dato in controtendenza, i trapianti di fegato: 730 nel 2000, 685 nel 1999. Infine, le liste d’attesa, che nello scorso ottobre contavano 6.858 pazienti in fila per un rene, 986 per il fegato, 706 per il cuore, 176 per un polmone».
Israeliani e palestinesi sono vicini a un cessate il fuoco: lo ha annunciato ieri il presidente egiziano Mubarak, cogliendo di sorpresa il ministro degli Esteri di Gerusalemme Peres (con cui aveva avuto un lungo incontro al Cairo) e il presidente palestinese Arafat. Ancora incerta la lunghezza del periodo di tregua che dovrebbe precedere la ripresa dei colloqui. Peres starebbe per riaprire la frontiera con la striscia di Gaza, permettendo ai palestinesi di tornare al lavoro [Sta].
I benedettini dell’abbazia di Badia a Passignano, a Tavarnelle Val di Pesa (Firenze), minacciano di sfrattare dalla loro cantina 2 mila botticelle di rovere dove matura tra gli altri il Solaia, un vino rosso Antinori giudicato tra i migliori del mondo. Visto che i prezzi delle preziose bottiglie sul mercato ormai superano le 300 mila lire, il priore ha ritenuto di rivedere, dopo sei anni, il canone d’affitto, ora di 2 milioni e mezzo al mese. E ha chiesto al marchese Antinori di quintuplicare la cifra. L’azienda vinicola ha fatto una controfferta giudicata insufficiente dai monaci, affermando che il vino viene buono anche se invecchiato in una cantina meno bella ma con le giuste caratteristiche. Ora le parti si affidano agli avvocati e non è escluso il trasloco delle prestigiose botti.

Venticinque anni fa
Lunedì 29 aprile 1996. Di Pietro annuncia l’intenzione di fondare un movimento politico autonomo di centro, mentre proseguono a toni alterni le scommesse sulla sua partecipazione al Governo Prodi.

Trenta anni fa
Lunedì 29 aprile 1991. «Sotto la stella di Giuseppe Ciarrapico, fedelissimo di Giulio Andreotti, l’Ingegnere e Silvio Berlusconi raggiungono l’accordo che dopo 500 giorni mette fine alla guerra di Segrate, con la spartizione della Mondadori. A De Benedetti restano Repubblica, l’Espresso e i quotidiani locali della Finegil, a Berlusconi libri e periodici tra cui Panorama. La vicenda, iniziata nel 1989 e arrivata a quella mediazione dopo che la magistratura romana ha annullato il lodo arbitrale che aveva dato ragione a Cir, ha poi vissuto tante altre puntate» [Bocconi, CdS].
Carmine Del Prete è tornato libero dopo 52 giorni trascorsi nelle mani dei banditi. È stato rilasciato dai sequestratori in una strada della zona industriale di Giugliano a una ventina di chilometri da Napoli. « Per gli uomini del Nucleo antisequestri e i Nocs è stata una lunga e rocambolesca nottata degna, fatta di inseguimenti in auto, testacoda, sparatorie, fughe lungo le strade al confine tra Lazio e Campania. Tutto doveva svolgersi secondo copione con la consegna della prima tranche del riscatto: un miliardo dei 5 pattuiti. All’appuntamento lungo l’Aurelia vicino all’ospedale di Civitavecchia l’emissario dei Del Prete doveva viaggiare col denaro su una Golf. Al volante però, anziché un familiare, c’era un agente dei Nocs. L’auto era seguita a distanza da sei pattuglie della polizia e da un elicottero dei carabinieri. È partita così l’operazione che ha portato alla liberazione di Del Prete» [CdS].

Quaranta anni fa
Mercoledì 29 aprile 1981. Angelo Rizzoli, presidente e azionista di maggioranza della Rizzoli, firma ufficialmente l’accordo per la cessione del 40% delle azioni della Rizzoli Editore Spa alla Centrale Finanziaria Generale per 115 miliardi di lire.
Nei Paesi Bassi un solo voto di scarto fa approvare la legge che legalizza l’aborto.
A Londra inizia il processo del secolo contro Peter Sutcliff, lo squartatore, reo confesso di aver ucciso tredici donne e di aver cercato di ucciderne altre sette.
Sulla prima rete della Rai va in onda la prima puntata di Dallas.
«Nella versione della Rai non si capiva niente della storia e delle intricate vicende familiari e professionali degli Ewing. E certo: la tv di Stato, che evidentemente non credeva in una soap opera, così lontana dallo spirito educativo, ancora aleggiante, del servizio pubblico, trasmetteva quelle prime puntate alla rinfusa. Lo spettatore, anche se volenteroso, non poteva seguire nessun filo logico» [Comazzi, Sta].

Sessanta anni fa
Sabato 29 aprile 1961. Al teatro dell’opera di Reggio Emilia, trionfo per Luciano Pavarotti che debutta nel ruolo di Rodolfo ne La Bohème di Puccini diretta da Francesco Molinari Pradelli.
Che ricordo ha del suo debutto? «Fu il 29 aprile 1961, ero molto teso, ovviamente, quella sera capii che sarei diventato un cantante d’opera invece di fare l’assicuratore o il maestro elementare come stavo facendo» [Pavarotti a Enzo Biagi].

Settanta anni fa
Domenica 29 aprile 1951. Muore a Cambridge Ludwig Josef Johann Wittgenstein.
«Nato in una delle famiglie più in vista di Vienna fu via via ingegnere aeronautico, maestro di scuola elementare, aiuto giardiniere in un monastero, architetto, fotografo, scultore, infine professore a Cambridge… Dove morì il 29 aprile 1951. Il 25 aprile precedente aveva iniziato un nuovo manoscritto. L’ultimo appunto reca la data del 27 aprile. Ma quante furono le vite di Wittgenstein? Fu un personaggio che si prestava alla grande rappresentazione di sé, “recitava” come un consumato commediante e il suo repertorio passava spontaneamente dal comico al drammatico, con esibizioni che alimentavano leggendarie dicerie. Si presentava come un grande outsider, “un mutante che non finiva mai di reinventarsi”. Fu “soltanto Wittgenstein”: unico e diverso per chiunque lo avvicinasse. Centomila Wittgenstein. Con la rappresentazione di sé entrò nell’immaginario come un “supremo carismatico”. Un sommo trasformista. Un tipo che nei rapporti con la gente emanava un fluido magico. E che faceva di tutto per sottolinearlo, esaltandolo con le proprie eccentricità. Quelli che non capivano ciò che andava dicendo, “sapienza” esibita come una profonda saggezza surrogata da “sentenze”, per dare senso alla propria perspicacia e non passare per torpidi, lo ammiravano proprio per la complicata inarrivabilità del suo disegno filosofico. Dal ristretto giro di chi non voleva cadere nel suo gioco era considerato un ciarlatano. Eppure anche questi gli riconoscevano una personalità irresistibile. Seminò una messe di aneddoti riferiti poi dai suoi allievi. Anche da quelli che all’apparenza lo idolatravano incondizionatamente. Uno di loro raccontò: “Era un mimo assolutamente meraviglioso. Aveva trascurato la sua vocazione: avrebbe dovuto fare il cabarettista. Nel suo buffo austriaco era capace di imitare ogni sorta di accento, stile, modo di parlare. Parlava sempre dei diversi toni di voce con cui si può dire una cosa ed era davvero avvincente» [Marcenaro, Foglio].

Ottanta anni fa
Martedì 29 aprile 1941. Africa settentrionale. Aerei inglesi bombardano Bengasi.
Africa Orientale Italiana. Reparti della 5a divisione indiana raggiungono da nord le pendici dell’Amba Alagi: nello stesso tempo continua da sud l’avvicinamento alle posizioni italiane da parte delle truppe del gen. Cunningham dopo la conquista di Dessiè.
Malta. Nuova incursione dei velivoli del Corpo Aereo Tedesco sul porto di La Valletta.
Grecia. Georgios Tsolakoglu succede a Emmanouil Tsouderos quale primo ministro della Grecia
«Con Buffarini prepariamo la carta politica per la occupazione della provincia di Lubiana, ispirata a concetti molto liberali. Varrà ad attirarci simpatie nella Slovenia tedeschizzata nella quale si registrano i più cupi soprusi. Casertano dal Duce. L’affare croato ha fatto molti passi avanti. Anche la corona è offerta a un Principe di Casa Savoia. Però, l’intransigenza è assoluta nei confronti di Spalato. Pavelic dichiara che se dovesse mollare Spalato, dovrebbe dimettersi e con lui crollerebbe tutto il sistema filo-italiano. Il Duce si rende conto di quello che è il nostro vero interesse, ma è molto restio a cedere sulla questione di Spalato. In lui riaffiorano i suoi stessi accenti della polemica fiumana e dalmatica. Io sempre più mi convinco della necessità di avviare il problema verso una soluzione politica, che anche dal punto di vista militare mi sembra la più conveniente. Vale proprio la pena per salvare una città nella quale d’italiano vi sono i soli monumenti, perdere il controllo su un grande e ricco regno? I diritti delle pietre sono innegabili, ma ancora più forti sono i diritti dei vivi» [dai diari di Galeazzo Ciano].

Centosessanta anni fa
Lunedì 29 aprile 1861. Alla Camera il ministro per le Finanze, Bastogi, presenta due disegni di legge: uno per la creazione del gran libro del Debito pubblico del Regno d’Italia, ed altro per l’effettuazione di un prestito di 500 milioni da inscriversi sullo stesso Gran Libro, per far fronte al deficit di 314 milioni ed all’unificazione dei debiti varii pubblici • «In qualsiasi modo lo si voglia definire il debito pubblico italiano nasce e cresce con il Paese: quando il ministro delle Finanze Pietro Bastogi parla alla Camera il 29 aprile 1861 dice parole che oggi potrebbero essere definite di “stringente attualità”: “Perché l’Italia meriti il credito di tutta l’Europa deve cominciare a rispettare i debiti contratti...”. Inizia così la lunga marcia del debito pubblico italiano che Quintino Sella riporta in sostanziale pareggio nel 1876» [Bocconi, CdS].
Da Majatico Garibaldi scrive a Giuseppe Guerzoni a Torino: «Io non ho stretto la mano di Cavour, nè cercato riconciliazioni. Ho bensì consentito ad un abboccamento, i cui risultati sono stati da parte mia: armamento, giustizia all’esercito meridionale. Se così riesco - io porgerò la piccolissima opera mia all’opera del conte. - Diversamente io seguirò il sentiero che ci siam tracciato da tanto tempo — per il bene della causa nazionale - anche contro la volontà di chicchessia. Trecchi, che servì d’intermediario alla conferenza, s’incarica di far tacere le millanterie dei ministeriali. - Vedremo - in ogni modo non si deve pubblicare nulla di mio per ora. - In caso poi - cosa molto probabile - che non si ottenga nulla, e che quei signori continuino a gracchiare - allora ripiglieremo il tralasciato» (Comandini).
Erano volontari o mercenari gli inglesi aggregati alla Spedizione dei Mille? Massimo d’Azeglio potrebbe rispondere. Sa che Garibaldi ha goduto dell’appoggio della massoneria inglese, favorevole all’impresa italiana anche per cancellare lo Stato della Chiesa. Si mormora che abbia ricevuto circa tre milioni di franchi francesi solo in Inghilterra. Il denaro è stato speso in armi e per pagare collaboratori nel regno borbonico. D’Azeglio ha ben presente che a Londra si è costituito il «Garibaldi Italian Fund Committee». I maligni sostengono che abbia arruolato i mercenari. Calunnie? Comunque sia, dinanzi a d’Azeglio sono giunti i conti che il neonato Regno d’Italia è invitato a saldare a Londra, per pagare quello che viene definito «il nolo della Brigata Britannica» delle truppe garibaldine. Sono migliaia di sterline, che il Governo Garibaldi si era impegnato a pagare giunto a Napoli. Saldano sei mesi di «soldo» degli inglesi, più spese di vitto, trasporto e rimpatrio. Il governo Cavour ha incaricato d’Azeglio a parlarne con discrezione con il console britannico Heath. È un affare delicato. Il Regno Unito è un alleato, che ha appena riconosciuto il Regno d’Italia. Ma oggi il Times mette in piazza la questione. E suggerisce anche come risolverla: «Quelle spese le paghi pure il governo italiano, perché gode del profitto di avere annesso il Regno di Napoli» [Lupo, Sta].
Il pittore Claude Monet, di 21 anni, non disponendo dei 2.500 franchi necessari per essere esonerato dal servizio militare, è arruolato tra i Cacciatori delle Alpi e spedito in Africa, destinazione Algeri. La partenza è programmata per giugno.
Lettere
Dear Giorgio, Bertolaso lascia la Lombardia: non servo più. L’hubbandono.
Ciao
Massimo Lodi
Gentile Dell’Arti, perché nessuno mai osserva che il reddito in Italia è molto basso rispetto al patrimonio e si cita sempre il rapporto inverso?
Forse bisognerebbe tener presenti produttività e criteri di stima del patrimonio immobiliare?
Piernicola Carollo
Ringrazio Giulia Alberico che ha colto la sincerità e l’autenticità del mio gesto raccontato in una lettera ad Anteprima: dare 50 euro a una giovanissima cantante di strada che rasserenava una piazza di Milano con la sua voce. Io, invece, della Alberico apprezzo, oltre al suo ameno luogo natio (San Vito Chietino), la sua raccolta di racconti Madrigale, pubblicati da Sellerio nel 1999 (Premio Arturo Loria 2000). Con la speranza che ora lei legga il libro che ho scritto con Stefania Sirtori Lettere e letture (Linea edizioni) le invio l’email che mi ha chiesto: tiberio.fusco@gmail.com. Grazie a Giorgio Dell’Arti che, pubblicando le nostre lettere, crea affinità elettive. «La macchina tecnologicamente più efficiente che l’uomo abbia mai inventato è il libro» sosteneva il critico letterario canadese Northrop Frye (1912-1991).
Tiberio Fusco

Di Giulia sta uscendo adesso, per Piemme, il romanzo storico La signora delle Fiandre.
Caro Giorgio,
Michele Santoro, 70 anni, è tornato, lunedì sera in tv, nel programma di Lilli Gruber, 64 anni, su la 7 di Urbano Cairo, 64 anni. E ha proclamato: «Se la ’Ndrangheta gestisse certi ospedali calabresi, li gestirebbe meglio di alcune persone, che li gestiscono oggi, purtroppo». Non so a te, ma a me un giornalista che spara queste sciocchezze non mi mancava affatto! .
Pietro Mancini


Il signore che, nella lettera di ieri per colpa mia anonima, voleva spendere e spandere per aiutare l’economia italiana è naturalmente Mauro della Porta Raffo, come tutti avranno di sicuro capito.
Ci vediamo domani.
Anteprima di Giorgio Dell’Arti
Anno V numero 816
Mercoledì 28 aprile 2021
ISSN 2611-3430


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