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sabato 31 marzo 2012

L'UDIENZA DEL 30 MARZO PER IL PROCESSO A CARICO DELL'AVV. MICHELE SANTONASTASO

SENTITO IL CONSULENTE INFORMATICO DELLA DDA LORENZO LAUDATO  RINVIATO AL 13 APRILE IL RIESAME DEI TRE PERITI CHE SCONFESSARONO LA PERIZIA FICHERA –
RINVIATO A FINE MAGGIO ANCHE IL PROCESSO A ROMA CHE VEDE CANTONE E DE RAHO PARTI LESE –
FERMO DA OLTRE 2 ANNI ( E SI CAPISCE PERCHE’) QUELLO DI NAPOLI DOVE RISULTEREBBERO
PARTI OFFESE (SIC!!!)
ROBERTO SAVIANO
 E
 ROSARIA CAPACCHIONE








S. Maria C.V. - ( di Ferdinando Terlizzi ) – Ancora una udienza interlocutoria – con scarso effetto mediatico - quella di ieri che si è tenuta ieri, innanzi la prima sezione del Tribunale di S. Maria C.V., ( collegio A – Presidente Orazio Rossi, a latere Francesca Auriemma e Paola Montanaro , - Pm. della DdA Dr. Antonello Ardituro ), per il processo a carico dell’avvocato Michele Santonataso, accusato di concorso in associazione mafiosa e di corruzione in atti giudiziari, difeso dagli avvocati Avv.ti Giuseppe Garofalo, Gaetano Pastore, Stefano Sorrentino e Laura Arena.
Assieme a Santonastaso, sono imputati anche Francesco Bidognetti, - difeso dagli avvocati Elsa Cardone e Nicola Filippelli, in video conferenza dal Carcere di Parma, perché in regime di 41 bis e Alberto Alfio Fichera, ( presente in aula ) perito dell’Università di Catania, che avrebbe truccato una perizia su impulso del Santonastaso, difeso dagli avv.ti Bruno Von Arx e Giovanni Vanila.
L’intera udienza ( iniziata con notevole ritardo a causa del fatto che un giudice a latere pare la dottoressa Montanaro doveva essere sostituita e per difficoltà con la video conferenza di Bidognetti ) è stata dedicata alla escussione del dr. Lorenzo Laudato, tecnico informatico, consulente della DdA che ha operato verifiche sul computer sequestrato al prof. Fichera e che ha esaminato una fitta corrispondenza via mail tra lo stesso Fichera e l’altro consulente Dr. Luciano Romita. Anche su specifiche domande della difesa di Fichera e del pubblico ministero d’udienza il teste ha riposto alle domande dando spiegazioni tecniche sui file salvati nel computer sequestrato al prof. Alfio Fichera accusato, come è noto di aver falsificato i risultati non attribuendo ( come sostiene l’accusa ) la voce al Raffaele Bidognetti.
Ieri, come è già capitato un’altra volta, Michele Santonastaso, aveva fissato due processi: quello di cui ci siamo occupati, che è stato rinviato in prosieguo al prossimo 13 aprile, ed un altro processo, fissato a Roma che lo vede imputato per minacce di cui sono parti lese i magistrati Federico Cafiero De Raho e Raffaele Cantone. Questo processo nasce dalla lettura dell’editto ( atto di remissione ) letto nel corso dell’udienza di Appello del processo Spartacus che ha comportato a carico del professionista casertano anche un altro processo, per presunte minacce nei confronti di Roberto Saviano e Rosaria Capacchione ( passato però, per competenza, al Tribunale di Napoli ) in istruttoria da tre anni.
Per queste accuse gli avvocati della difesa di Santonastaso sostengono che si tratta di pura fantasia e di farneticazione accusatoria. Nessuna minacce in quelle frasi né contro i giornalisti né contro i magistrati: solo una critica al metodo poco ortodosso nell’uso dei pentiti diretti e pilotati in modo soggettivo “ed usum delfini” pro accusa. Anche questo precesso per impegni del piemme è stato aggiornato a fine maggio.


















giovedì 29 marzo 2012

IN SEGUITO ALLE ISTANZE PRODOTTE DAL DIFENSORE AVV. ALFONSO QUARTO

ANCHE LA PREFETTURA DI CASERTA HA REVOCATO L’INTERDITTIVA ANTIMAFIA ALLA ECOTRANSIDER DEL GRUPPO RAGOSTA  DOPO IL PROVVEDIMENTO POSITIVO DEL GIP CAPUANO –
LA REGIONE AUTORIZZA LA SOCIETA’ A RIPRENDERE IL LAVORO E A PARTECIPARE ALLE GARE –
SONO INTERESSATI I COMUNI DI S. MARIA C.V., CASAGIOVE, VILLA DI BRIANO, CELLOLE, MARCIANISE E GRICIGNANO D’AVERSA -






Caserta ( di Ferdinando Terlizzi ) Le azioni intraprese nell'interesse della società ECOTRANSIDER di Giuseppe Ragosta, che avevano spinto il legale a chiedere la revoca della interdittiva antimafia e la piena "riabilitazione" dell'azienda, hanno avuto un positivo riscontro. Ieri mattina, infatti, vi è stata la revoca della interdittiva precedentemente disposta dalla Prefettura di Caserta ed in queste ore anche la Regione Campania stà rivedendo il provvedimento con cui veniva revocata la autorizzazione allo smaltimento dei rifiuti. Tutto ciò aveva portato al collasso il predetto servizio con la conseguente paralisi della raccolta dei rifiuti nei Comuni serviti dalla Società. Da domani l'attività riprenderà. Grande soddisfazione per la sensibilità dimostrata da parte dell'A.G. e delle Istituzioni è stata espressa dal Titolare della Società, Giuseppe Ragosta e dal suo legale di fiducia Avv. Alfonso Quarto.

Ma tutto ciò è stato possibile grazie alla sensibilità del Gip Capuano che haqemesso un provvedimento nel quale chiarisce tra l’altro: “Letta l'istanza presentata nell'interesse della Eco Transider s.r.l. rilevato che la revoca degli appalti disposta dai comuni analiticamente indicati non si fonda su alcun presupposto giuridico. Atteso che la società in oggetto è sottoposta ad un sequestro preventivo con nomina di due amministratori giudiziari e che la interpretazione fornita dagli enti predetti relativamente alla interdittiva antimafia contrasta con la corretta interpretazione del quadro normativo e rischia di produrre effetti del tutto opposti alla interdittiva antimafia. Invero l'organo amministrativo deve rilevare la presenza dì elementi sintomatici dell'infiltrazione criminale in via di prevenzione rispetto all'attività dell'autorità giudiziaria penale, per evitare che pur in assenza di provvedimenti giudiziari, la criminalità controlli il settore economico degli appalti pubblici attraverso imprese apparentemente legali”.

“ E' in quella sede, - prosegue il provvedimento del Gip - tutta amministrativa e precedente ai sequestri di processo penale e di prevenzione che si attende il controllo dell'autorità sulla presenza si indici presunti di mafiosità dell'impresa. Di contro, intervenire a cose fatte e cioè dopo il sequestro, significa mortificare l'azione di gestione dei beni da parte dell' Amministrazione giudiziaria che, sì ricordi, è organo ausiliario del giudice penale; procedere con l'interdittiva antimafia nei confronti dell'Impresa in sequestro giudiziario confligge con gli obiettivi propri del sequestro, finalizzato al mantenimento, alla conservazione ed all'eventuale incremento del complesso aziendale, dei livelli occupazionali e delle attività economiche dell'impresa, attraverso un procedimento di legalizzazione finalizzato alla ipoteca confisca”.

«L'interdittiva antirnafia, comunicata alla Prefettura alle stazioni appalti, ha come conseguenza la revoca delle concessioni e la risoluzione dei contratti proprio nel momento in cui l'impresa, di cui evidentemente si ritiene la pregressa mafiosità, è amministrata dal Giudice e dunque dallo Stato. Con l'ulteriore risultato, indiretto e certamente non voluto, ma gravissimo in termini di percezione sul territorio, che i cittadini assistono attoniti alla presenza di un' impresa che lavora ad opera, garantendo occupazione e produttività, quando è amministrata dagli imprenditori coinvolti in indagini di criminalità organizzata, e sostanzialmente chiude (perché questa è la conseguenza) quando è amministrata dagli organi dello Stato, i quali sono costretti a licenziare maestranze e liquidare i beni. Del resto, poiché il provvedimento cautelare è sottoposto a successivi controlli giudiziari, esso potrebbe essere revocato in corso d'opera o conseguire all'eventuale assoluzione dell'indagato. E' quello l'ulteriore momento in cui l'organo amministrativo dovrà essere richiamato alle sue valutazioni autonome rispetto alle decisioni dei giudici, traendo dagli atti processuali gli elementi per una scelta discrezionale sulla sussistenza dei presupposti di legge per continuare l'attività di partecipazione a gare pubbliche. Rimetto queste considerazioni per le competenti valutazioni degli organi interessati disponendosi la necessità di consentire agli ausiliari del giudice di proseguire l'amministrazione dell'azienda evitando cosi la revoca degli appalti a cui si dovrà necessariamente procedere con le relative impugnative”.

In effetti si è ripetuta la questione sollevata nei giorni scorsi in occasione delle interdittiva antimafia del Gruppo Matrominico chieste, come si ricorderà, addirittura direttamente dal piemme della D.d.A. di Napoli, che qualche giorno prima, aveva richiesto ed ottenuto dal Gip, sial’arresto degli imprenditori e sia il sequestro dei beni.
















UNA BUONA NOTIZIA PER BIBLIOFILI, STUDIOSI E RICERCATORI: L'EMEROTECA PIU' RICCA DELLA REGIONE E' CONSULTABILE


L’EMEROTECA DEL MUSEO CAMPANO: un gioiello che ci invidiano in molti. E’ consultabile la collezione de “IL MATTINO”, dal 1908, de “IL ROMA”, dal 1928 e “Il Giornale d’Italia”, dal 1901 - Preziosissima e rara la biblioteca con l’archivio Storico Capuano. Oltre 80 mila volumi.


Capua ( di Ferdinando Terlizzi ) - Tra i gioielli conservati presso il Museo di Capua sono da annoverare certamente la biblioteca e l’emeroteca. Una preziosità ed una rarità di pubblicazioni, che soddisfano ampiamente le esigenze dei ricercatori e degli studiosi. In questo periodo che il Museo, per esigenze di ristrutturazione è stato chiuso, molti ( compreso il sottoscritto ) sono stati costretti a sobbarcarsi l’onere di recarsi a Napoli presso la Tucci.

Questa mattina ci siamo recati di buon’ora, presso il Museo dove si notava una frenetica attività – frammista a soddisfazione – per l’imminente visita del Capo dello Stato. Siamo stati accolti, con il tratto e la cordialità di sempre dalla direttrice Dott.ssa Maria Luisa Nava che ci ha messo a disposizione un qualificato staff di esperti ( Gennaro D’Amato, Lucia Del Santo, Gaetano Treppiccione e Giuseppe Molinaro) che ci hanno illustrato per filo e per segno tutti i “segreti” della Biblioteca e dell’emeroteca.

La Biblioteca, di rilevante importanza documentaria per tutta l’Italia meridionale, nacque nel 1874, con l’istituzione e l’apertura al Pubblico del Museo Campano. Sotto la guida e la direzione del canonico Iannelli, (negli anni Ottanta diretto anche dal professore Don Giuseppe Centore, sacerdote, direttore oltre che del Museo anche dell’Istituto Superiore di Scienze Religiose di Capua. Centore è considerato uno dei maggiori esponenti della lirica religiosa dell’ultimo secolo. Tradotto in numerose lingue - ha a sua volta curato – la versione italiana del “Cantico dei Cantici”, delle Poesie di “S. Giovanni della Croce” e de “Il Cimitero Marino” di Paul Valèry, successivamente da Giuseppe Garofano Venosta ) fu approntato il primo ordinamento sistematico dei volumi di vario genere che in maniera crescente venivano donati al Museo sia da famiglie capuane sia da Enti pubblici. Ancora oggi il patrimonio librario dell’Istituto continua a crescere grazie alle rilevanti donazioni di privati attestandosi a più di 70 mila volumi che possono essere consultati nella grande sala “popolare”.

La Sala di Consultazione: Nella bellissima sala, detta anche “Popolare”, dotata di ampissime librerie e di tavole e sedie in legno mogano è possibile consultare i cataloghi bibliografici ordinati per autore al quale si aggiunge poi il catalogo Topografico ( unico nel suo genere ) delle località di Terra di Lavoro ( per tutti i 106 comuni ) che comprende, naturalmente anche la Antica “Terra di Lavoro” i cui confini, come è noto arrivavano a sud fino a Nola ed a Nord oltre Gaeta.

Tra i preziosi manoscritti fanno bella mostra di sé…”La dichiarazione dei disegni del Reale Palazzo di Caserta”, edito nel 1756, da Luigi Vanvitelli. Questo ponderoso volume raccoglie le tavole del progetto originale incise da Carlo Nolli, che l’Architetto presentò in quella veste ai reali Carlo di Borbone e Maria Amalia di Sassonia. L’altro prezioso gioiello è rappresentato dal volume di Carlo Tethi: “ Discorsi delle Fortificazioni Espugnazioni e Difese delle Città e d’altri luoghi – Venezia 1589.

L’Emeroteca: Questo reparto istituito nel 1902, raccoglie in fascicoli rilegati per ogni mese le collezioni de “IL MATTINO ( dal 1908 ); “Il Roma”, ( dal 1868 al 1869 e dal 1928 al 1993 ); “Il Giornale di Napoli”, ( dal 1989 al 1995 ); “Il Giornale d’Italia”, ( dal 1901 sl 1995 ); “Il Risorgimento”, ( dal 1943 al 1950 ); “Il Napoli Notte”, un giornale della sera he usciva per il Gruppo de Il Roma ( dal 1984 asl 1985 ); “La Stampa” di Torino, ( dal 2001 al 2003).

La sala topografica: Angelo Broccoli, successore di Grabriele Iannelli, nel selezionare i volumi che riguardavano la storia e l’attività politico-amministrativa della Provincia di Terra di Lavoro, per la stampa de “Il Catalogo della Biblioteca Topografica” del Museo Campano ( 1903-1914), sistemò il patrimonio librario seguendo un criterio “topografico”. I libri sono ordinati alfabeticamente da Acerra a Vitulazio compresi i comuni e le frazioni staccatisi dalla Provincia nel 1861.

Di rilevante importanza sono alcuni testi che testimoniano l’attività svolta a Capua da due celebri tipografi: Preller e Sultzbach. Del primo è conservato il “breviarum Capuanum” del 1489, stampato su invito dell’Arcivescovo Giordano Gaetani D’Aragona e del secondo “La Disfida di Barletta”, stampato a Capua nel 16° Secolo.

L’Archivio storico Capuano: L’archivio custodisce editti, diplomi, privilegi, catasti, processi civili, e penali, registri daziali, ed annonari che costituiscono un importante “corpus” documentario della vita amministrativa e politica della città di Capua dall’epoca Aragonese alla Unità d’Italia. In una bacheca, in particolare sono esposte carte autografe di Ambrogio Attendolo, di Maria Isabella di Borbone, di Giuseppe Garibaldi, di Pietro Giannone, di Alessio Simmaco Mazzocchi, di Ludovico Antonio Muratori, di Teodoro Mommsen, di Camillo Pellegrino e di Luigi Vanvitelli.

La Sala Marzano-Daniele: In questa sala sono raccolti – e questa è una rarità assoluta – i volumi e i documenti di interesse storico-artistico donati nel 1956 dal dott. Giuseppe Marzano ( prefetto di Milano nel 1939 ) e della consorte Maria Daniele, discendente di Francesco Daniele, illustre storiografo campano del 18° Secolo. La raccolta comprende – come ci hanno spiegato gli addetti alla biblioteca - circa tremila volumi a carattere storico, letterario e bibliografico tra cui alcune cinquecentine ed opere a stampa di pregevole fattura quali il “Voyage pittoresque ou description des Royaumes de Naples ed de Sicile dell’Abbate Saint-Non ( Parigi 1782) e la riproduzione della Bibbia di Borso d’Este.

La Biblioteca di Storia Moderna e contemporanea: Questa sala ospita la più recente acquisizione libraria della Biblioteca del Museo: oltre 2000 volumi di storia moderna e contemporanea ai quali si vanno ad aggiungere la donazioni ( c’è anche il mio libro “Il Delitto di un uomo normale”, dove la città di Capua è protagonista, in primo piano, dell’agghiacciante fatto di cronaca – l’omicidio di un giovane ucciso da un medico e scaraventato nel Volturno, dalla Scafa di Caiazzo - il cui cadavere fu raccolto a Porta Roma di Capua nel marzo 1960) ed i nuovi acquisti bibliografici.

Ed infine, la singolarissima e preziosa Biblioteca Medico-Storica che raccoglie i testi appartenuti all’illustre medico capuano Ferdinando Palasciano ( 1815-1841 ) sostenitore, come è noto, della neutralità dei feriti in guerra e riconosciuto come colui che pose i presupposti per la nascita della Croce Rossa. La raccolta libraria consta di 1500 volumi di medicina: dalle opere di Fracastoro a quelle di Aristotele, dai testi di Galeno a quelli di Troia, le pubblicazioni di De Renzi, e di Esdrubaki. “Questo fondo bibliografico – ci hanno spiegato – rispecchia l’evoluzione della storia della Medicina e del pensiero scientifico dell’Umanità”.




































domenica 25 marzo 2012

LA CRONACA DELL’EPOCA SENZA MODIFICHE O CORREZIONI



ACCADDE A SESSA AURUNCA IL 7 GENNAIO DEL 1941
Quattordici morti sepolti da una frana in una grotta

Venti zingari, che dormivano in una grotta sulla strada comunale Fasani-Scssa, sono rimasti seppelliti da una improvvisa frana. Di essi soltanto sei, di cui quattro feriti, hanno potuto salvarsi. All'allarme, dato da uno degli scampati, alcuni volenterosi sono accorsi, chiedendo l'intervento sul posto dei Vigili del fuoco di Napoli e di Capua, ai quali seguì una compagnia del genio. Si è provveduto ad estrarre dalla terra franata i quattordici cadaveri delle vittime. Le autorità sono accorse sul posto. Nella disgrazia ha perduto la vita una madre con tutti i suoi cinque figliuoli; una intera famiglia, costituita dal padre, dalla madre e da tre figliuoli; e similmente è pure perita una madre con due figli.

ACCADDE A ROCCADEVANDRO IL 24 GIUGNO DEL 1952
Altri quattro morti per una frana nella “Galleria della Morte”
La “galleria della morte” di Mignano Montelungo ha voluto ancora altre vittime. Poco dopo le ore 13.30, infatti, a distanza di tre mesi dall’orrenda tragedia che causò tante vittime, nel cantiere dell'impresa C.I.P. che esegue in località Pece, a 3 km. dall'abitato, i lavori presso un profondo canale idraulico in corso di escavazione si è verificata una frana che ha investito in pieno un gruppo di operai che rimanevano sepolti. Il canale indicato congiunge la “galleria della morte” –( ove, come è noto, il 24 marzo perirono tragicamente 42 operai ed un ingegnere in seguito ad una violenta esplosione) - con l'ultima cascata della centrale elettrica.
La notizia della nuova sciagura si è diffusa rapidissima in tutta la zona facendo accorrere sul posto numerosi contadini che organizzavano le prime squadre di soccorso mentre dalla direzione del cantiere veniva chiesto l'intervento dei vigili del fuoco di Caserta e di Cassino. Dopo alcune ore di intenso lavoro venivano estratti dalle pietre e dal terriccio i corpi dei quattro manovali deceduti per asfissia. Altri quattro operai, feriti più o meno gravemente, venivano ricoverati nell'ospedale di Cassino. Sopraggiunta la notte, i lavori di sgombro dell'enorme cumulo di terreno continuavano alla luce di grosse lampade e di torce. Si ha, comunque, ragione di ritenere che non vi siano a registrare altre vittime.


ACCADDE A S. PRISCO IL 16 APRILE DEL 1956
Venti persone sprofondano durante una veglia funebre
Una disgrazia che poteva avere conseguenze funeste è avvenuta stamane a S. Prisco, un piccolo comune sulla via Appia a 5 chilometri da Caserta, Nell'abitazione sita in via Massara 27, una trentina di persone tra familiari ed amici stavano vegliando la salma della quarantunenne Maria Ercolano, deceduta ieri, quando improvvisamente, a causa dell'eccessivo affollamento della stanza, una parte del pavimento cedeva paurosamente, travolgendo tra pietre e calcinacci una ventina di persone. Indescrivibili le scene di panico susseguitesi al crollo, che però risparmiava la salma, la quale rimaneva in bilico su due travi, tra lo stupore di quanti accorrevano a portare aiuto ai feriti. Per fortuna, nel vano sottostante non vi erano in quel momento inquilini. Dal cumulo di macerie sono state estratte ventiquattro persone, di cui quindici sono state trasportate all'ospedale MeIorio di S. Maria Capua Vetere, con ferite per fortuna non gravi, da un automezzo della Scuola Specialisti dell'Aeronautica militare, di transito a quell'ora sulla via Appia, ed altre quattro dalla Croce Rossa Italiana, all'Ospedale civile di Caserta. In più gravi condizioni è la quarantacinquenne Maria Casertano, ricoverata con prognosi riservata. Giungevano frattanto i vigili del fuoco di Caserta, che provvedevano a sistemare la salma, allo sgombero delle macerie e al puntellamento delle parti pericolanti del fabbricato. Il giorno successivo, raccontano le cronache, furono presi d’assalto i botteghini del lotto.


ACCADDE A CASTEL VOLTURNO NEL MARZO 1957
Sei cadaveri in auto precipitata nel Volturno
Orribile sciagura nei pressi di Caserta. Sei cadaveri in un'auto precipitata nel Volturno. Due donne, due bambini e due uomini prigionieri nella macchina inghiottita dal fondo limaccioso. La difficile operazione per il ricupero delle salme della famiglia composta dal il ventiquattrenne Angelo Capomazzo e la fidanzata di questi Emma Masiello di 20 anni. La comitiva s'era recata a Roma per una gita. Al chilometro 34,240 calcolando da Roma all'inizio della Domiziana, cioè a un settanta chilometri da Napoli, mentre l'auto filava alla velocità di cento chilometri, improvvisamente per un errore di guida, probabilmente dovuto a stanchezza, la ruota destra uscendo dal ciglio della banchina, sfondava il cordone stradale e urtava contro un paracarro. L'urto era violentissimo. (Stamane abbiamo visto il paracarro completamente divelto nel terriccio fresco). In conseguenza dell'urto, l'auto faceva un salto, un vero, tragico capitombolo. La sfortuna ha voluto che proprio in quel punto vi fosse sulla destra un declivio che reca ad uno dei canali di bonifica. Il fondo non è alto: raggiunge appena i tre metri. Ma l'auto si è schiantata sul greto, capovolta metà dentro l'acqua, metà sulla sponda erbosa. Dal ristorante un cameriere, Giovanni Cicchella, ha visto la paurosa caduta, ha udito il tonfo e subito ha dato l'allarme. Nel locale vi era un ufficiale della Finanza, il tenente Giuseppe Carnato, con due guardie, Giuseppe Contu e Michele Jovine. Sono stati i primi ad accorrere. Ma l'auto era invischiata nella melma del canale: occorreva altra gente per estrarla. Ai quattro si è aggiunto tutto il personale del ristorante, poi due militi di una pattuglia della Stradale. Con uno sforzo sovrumano la 1100 è stata strappata al fango. Ma ormai era troppo tardi: erano passati venti minuti. Come ha accertato stamane il dott. Guido Cappuccio, medico legale inviato dalla Procura della Repubblica di Santa Maria Capua Vetere, i sei sono morti per annegamento. Dopo che il Pretore di Capua, Antonio Abbamonte, ha dato la sua autorizzazione, le salme, composte in rozze bare, sono state trasportate nel cimitero di Castelvolturno. Gli oggetti d'oro e altri preziosi repertati dal capitano del carabinieri Vincenzo Pallisco, comandante la Compagnia di Capua, sono custoditi a disposizione del familiari. Poi un successivo lancio di agenzia precisava: Caserta, lunedì sera. Questa notte, all'una e cinque minuti, un'auto che percorreva la via Domiziana è precipitata in un'ansa del fiume Volturno: le sei persone che erano a bordo sono morte. La sciagura è accaduta al km. 34,240 della nuova arteria che unisce Napoli a Roma, in località Ponte a mare, nel comune di Castel Volturno. Le indagini compiute dal capitano Luigi Saporito, comandante la sezione della Polizia stradale di Napoli e dagli altri specialisti, indagini facilitate dalle concordi testimonianze del personale di un vicino ristorante, hanno ricostruito in modo preciso la disgrazia. Al volante della 1100-103 blu, targata NA 91494, era un impiegato della Raffineria di Napoli, Guglielmo Fenda di 43 anni, con la moglie Marlena quarantacinquenne, le loro due figliole, Wilma di 12 anni e Patrizia e due suoi amici.



ACCADDE A PARETE IL24 SETTEMBR DEL 1963
SALTA UNA FABBRICA DI FUOCHI ARTIFICIALI 14 I MORTI
Primo dispaccio ANSA. La disastrosa sciagura all'alba nell'abitato di Parete. Tre case distrutte e 14 morti per uno scoppio di fuochi artificiali. Il disastro provocato dall'accensione di una scintilla durante una manipolazione clandestina di polvere pirica - E* rimasto ferito, fra gli altri, anche il proprietario della fabbrica “proibita”, assieme alla moglie e ad un'altra decina di persone. Continua lo scavo nelle macerie, alla ricerca di altre eventuali vittime. Angosciosa la rimozione delle macerie alla ricerca dei feriti e dei morti. Tutti gli abitanti del paese (in cui vivono circa cinquemila persone) si erano riversate sulla piazza del municipio, dove sorgevano gli edifici crollati e aiutavano come potevano le squadre di soccorso. L'esplosione è avvenuta, per l'esattezza, qualche minuto prima delle cinque, quando ancora tutta la popolazione era immersa nel sonno: questa circostanza ha provocato naturalmente anche l'elevato numero di vittime. I tre edifici distrutti erano pieni di gente.
Secondo lancio ANSA. Caserta, martedì sera. Una spaventosa esplosione ha squassato .stamane all'alba tre edifici nel centro del Comune di Parete, a ventiquattro chilometri da Caserta: alle dieci, dopo ore ed ore di affannosa ricerca fr» le macerie delle tre case, i vigili del fuoco e gli abitanti del paese avevano estratto quattordici cadaveri. Si teme che altre vittime dello scoppio siano ancora sepolte sotto l'enorme cumulo di mattoni, calcinacci, travi di legno. L’esplosione avrebbe avuto origine, come lasciano supporre i primi risultati della indagine svolta dalla polizia, in uno scantinato dove si stavano fabbricando clandestinamente fuochi artificiali. Proprietario della fabbrica è il cinquantasettenne Antonio Mariniello, ferito nello scoppio. Si sono appresi subito i nomi di due morti: il ragazzo Giuseppe Morelli, di dodici anni, e la giovane Rosa Masiello, di sedici, che sono giunti cadaveri ai “Pellegrini”, dopo essere stati estratti dalle macerie agonizzanti per le gravissime ferite riportate. Le salme delle altre dodici vittime sono state pietosamente composte in bare di fortuna fornite dal municipio, e allineate sulla piazza del paese, in attesa di essere avviate in chiesa, dove si sta febbrilmente preparando una camera mortuaria. E' stato il parroco il primo ad accorrere sul luogo del disastro, a dare l'allarme ai carabinieri, che hanno, subito chiesto rinforzi a Napoli e Caserta e ai vigili del fuoco; un'ora dopo sono giunti anche il prefetto di Caserta e il medico provinciale. Già stava fervendo l'opera calcolando che non meno di trenta debbano essere i feriti. L'angosciosa ricerca di altre vittime sotto i detriti degli edifici crollati continua febbrilmente, perché nessuno è stato finora in grado di stabilire con esattezza quante persone vi fossero ospitate al momento dell'esplosione e quelli che potrebbero fornire notizie si trovano ricoverati in diversi ospedali, distanti fra loro parecchi chilometri. Non c'è altro da fare che scavare fra l'ammasso di detriti, nella speranza che chi vi è sepolto sia ancora in vita. Ma nessun lamento si sente più uscire dal polveroso cumolo di rovine. Sul posto sono affluiti e continuano ad affluire squadre di vigili del fuoco e carabinieri anche da Aversa e Santa Maria Capua Vetere, oltre che da Napoli e da Caserta, dalla quale ultima località Parete dista ventiquattro chilometri. Le prime indagini hanno consentito di accertare che al pianterreno dello stabile in cui è avvenuta la esplosione che ha poi coinvolto i due edifici più vicini, demolendoli quasi completamente, era ammassata in un piccolo magazzino, una notevole quantità di polvere pirica e di fuochi artificiali già confezionati. La presenza di questo materiale ha dato proporzioni catastrofiche alla sciagura, che è stata molto probabilmente provocata dall'accensione di una scintilla durante la manipolazione della “polvere fiera”. Tutta la piazza del municipio, dove sorgevano i tre edifici, è stata subito coperta da una coltre di polvere nerastra. Ai primi soccorritori si è presentato uno spettacolo di indescrivibile tragicità: sono stati loro, tutti contadini, lavorando di pale, vanghe, picconi e badili, a tirare fuori i primi morti e i primi feriti. Alle 13 l'opera di scavo da parte dei vigili del fuoco continuava senza soste: la massa di macerie da rimuovere è infatti ancora notevole. I feriti ricoverati negli ospedali di-Napoli o di Aversa sono nove: cioè Antonio Mariniello, la moglie Rosa e il figlio Nicola, Maria Teresa Masiello, Maria Masiello, Raffaelina Masiello, Iolanda Chianese, Maria Falco, Carmine Masiello. Altre due persone, Antonietta Chianese e Silvestro Chianese sono ricoverati al ”Cardarelli”. Il corpo edilizio interessato dal crollo era lungo una ventina di metri sul fronte della strada. Esso comprendeva tre fabbricati, l'uno vicino all'altro, dei quali uno a due piani. Di tutto il corpo edilizio non restano che parti di due muri perimetrali; quello frontale e quello alle spalle sono anch'essi interamente crollati insieme con i muri divisori e i solai. Lo spostamento d'aria provocato dallo scoppio ha mandato in frantumi i vetri degli edifici vicini, per un raggio di cento metri. In questo raggio, a meno di settanta metri dai fabbricati crollati, si trova la sede del Municipio di Parete. Dalle prime indagini è anche emerso che il Mariniello era sospettato di fabbricare fuochi pirotecnici in luogo abitato dove la legge vieta l'installazione di opifici del genere. Negli ultimi tempi i carabinieri avevano fatto anche sopralluoghi nella sua abitazione, ma l'esito dell'indagine era stato negativo. All'ultima ora si apprendono i nomi di undici persone morte in seguito all'esplosione dei fuochi artificiali: Anastasia (e non Rosa, come si era appreso in un primo momento) Mastello, Raffaele Morelli, Vincenzo Chianese, Giuseppe Morelli, Clementina Maisto, Maria Domenica Sabbatino, Maria Rotonda Tamburrino, Raffaella Principato, Anna Chianese, Nunziata Tessitore e Maria Paola Cecere. Dei feriti, Antonio Mariniello, il proprietario della fabbrica clandestina di fuochi artificiali che è piantonato nell'ospedale dei “Pellegrini” di Napoli, ha riportato una grave ferita al viso per cui si ritiene che perderà la facoltà visiva all'occhio sinistro. La moglie Rosa è ricoverata nell'ospedale di Aversa; in questo stesso ospedale è anche Nicola Mariniello di 66 anni, il quale è fratello e non figlio di Antonio Mariniello.

ACCADDE A TEANO IL 25 SETTEMBRE DEL 1964
LO SCOPPIO DELLA FABBRICA DI MUNIZIONI “LA PRECISA” 5 MORTI E VARI FERITI
Primo dispaccio Ansa. Stamane poco dopo le 11 Cinque operai morti in uno scoppio a Teano Una ventina di feriti, alcuni gravi. La sciagura è avvenuta in una fabbrica di esplosivi. La prima vittima estratta dalle macerie è una donna, carbonizzata, della quale, non si conosce l'identità. Altre tre donne si trovano ora all'ospedale di Teano in grave stato. Esse sono Anna Mesolella di vent'anni, Anna Donatiello di diciannove e Sabina Pilotti di ventisette. Mentre telefoniamo i vigili del fuoco stanno ancora lavorando alla rimozione delle macerie e non è escluso che altre persone vengano estratte senza vita.

Esplode una fabbrica di munizioni a Caserta dilaniate quattro giovani operaie e un tecnico
Secondo dispaccio ANSA. Il disastro provocato dalla caduta d'una cassetta piena di detonatori. Distrutto un capannone. Subito dopo si è sviluppato un incendio che ha minacciato di raggiungere il deposito di polvere da sparo. La popolazione della zona ha creduto, dapprima, ad un'eruzione del Vesuvio. Quattro giovani operaie e un tecnico sono stati dilaniati da una spaventosa esplosione avvenuta questa mattina nella fabbrica di munizioni “La Precisa” di Teano. I danni riportati dallo stabilimento, secondo un primo calcolo, ascendono a circa duecento milioni. La sciagura, avvenuta poco dopo le undici, si è prodotta in uno dei due capannoni della fabbrica, lungo circa cinquanta metri e largo otto, nel quale erano al lavoro una decina di persone. Con un pauroso boato, l'intero capannone - che sorge a cinque chilometri da Teano, nei pressi dello scalo ferroviario, sulla linea Napoli-Cassino-Roma - è saltato in aria. Le macerie sono volate tutto intorno per un raggio di cento metri, mentre un notevole quantitativo di polvere pirica incombusta si è sparsa nella zona circostante. Per gli operai che erano al lavoro non v'è stato scampo. Investiti in pieno dallo scoppio, alcuni di essi sono rimasti completamente dilaniati; altri sono stati estratti dalle macerie più tardi, dai vigili del fuoco, in gravi condizioni. Altre persone che si trovavano nei pressi dello stabilimento, a causa dello spostamento d'aria sono state proiettate lontano rimanendo ferite. Subito dotto l'esplosione - che ha causato danni anche all'altro capannone attiguo ed ha provocato la rottura dei vetri e delle imposte di tutti i fabbricati situati in un raggio di cinquecento metri - .si è sviluppato un incendio - molto pericoloso per la presenza di materiale esplosivo nel secondo capannone - che è stato subito domato, in una rischiosa opera di spegnimento, dalle numerose squadre di vigili del fuoco giunte da Napoli e da questo capoluogo. Dalle prime indagini svolte dai carabinieri e dalla polizia giunti in forze sul luogo della sciagura per presidiare la zona e tenere lontano i curiosi, è risultato che l'esplosione è avvenuta durante il trasporto, dal deposito al capannone, di una cassetta contenente detonatori per bombe a mano. La cassetta è caduta a terra provocando il disastro. I vigili del fuoco e la polizia hanno iniziato subito l'opera di soccorso, mentre nell'ospedale di Teano venivano mobilitati medici ed infermieri. Il primo corpo estratto dal cumulo di macerie è stato quello di una donna, orribilmente carbonizzato: Maria Luigia Capuano, sposata Caianiello, di 25 anni. Poi sono venuti alla luce i corpi di altre tre donne ancora in vita. Sono state trasportate in ospedale dove i medici le hanno giudicate in gravi condizioni. Sono state identificate per Anna Mesolella di 20 anni da Teano, Anna Donaticllo di 11 anni da Sparanise e Sabina Pilotti di 21 anni da Teano. Poi sono stati estratti i corpi degli altri morti, i cui resti venivano pietosamente composti in un casolare di campagna, a poca distanza dal luogo dell' esplosione. Si tratta delle operaie Clelia Feola di S3 anni, Anna Orciuolo di 28, Sofia Mele di 25 e del tecnico Guelfo Giacinto di 25 anni. L’ultima operaia estratta dalle macerie è stata la ventenne Donatella Tammaro da Teano. La ragazza è stata sottoposta, nell'ospedale di Teano, a diverse trasfusioni di sangue con plasma sanguigno fatto giungere appositamente da Napoli. Altre persone che erano all'esterno del capannone sono rimaste ferite per lo spostamento d'aria, ma le loro condizioni non destano preoccupazione. Scene strazianti sono accadute poco dopo la sciagura da parte dei familiari delle vittime. Alcune madri, fra cui quella del tecnico Giacinto Guelfo che fungeva da capo reparto, aggrappate alle sbarre del cancello d'ingresso hanno invocato disperatamente i nomi lei loro cari. Un drammatico racconto à stato fatto da un'operaia. Maria Di Spirito, di 26 anni, miracolosamente scampata alla sciagura. “E stato spaventoso - ha detto la ragazza, con le vesti lacere e il viso annerito dal fumo della esplosione- Ho visto la grande fiammata arancione, ed ho avvertito un boato. Poi un vento caldo. Ho corso disperatamente”. Scene di panico si sono avute nella zona dell'esplosione. Credendo in una eruzione del Vesuvio molte famiglie si sono riversate nella strada, temendo il peggio. Poi, rassicurate, sono tornate alle proprie abitazioni. Per fare luce completa sulle cause del disastro, sono state ordinate due inchieste: una dalla Magistratura, disposta dal procuratore della Repubblica di Santa Maria Capita Vetere, l'altra, tecnica, ordinata dalla direzione di artiglieria. Lo spolettiflcio “La Precisa” Teano, di proprietà privata, fu costruito due anni fa e vi lavorano circa duecento operai. Lo stabilimento consta di due complessi adiacenti - due grossi capannoni - adibiti l'uno a produzione di materiale bellico non esplosivo “ferramenta, involucri di proiettili e di-bombe”. L’altro - attrezzato per il caricamento dei proiettili. Questa sera le condizioni delle quattro operaie ferite sono sensibilmente migliorate. I funerali delle cinque vittime si svolgeranno domani nella cattedrale di Teano a spese del comune. Il prefetto dì Caserta, che è stato fra i primi a giungere sul luogo della sciagura, ha disposto l'erogazione di sussidi a favore delle famiglie delle vittime.

ACCADDE A PASTORANO IL 25 LUGLIO DEL 1967
Quattro persone morte avvelenate in un pozzo nel tentativo di salvarsi l'una con l'altra
Quattro persone, tre contadine e un carrettiere, sono morte stamane in un pozzo d'irrigazione, uccise dalle venefiche esalazioni di un motore a scoppio che serviva a pompare l'acqua per i campi. Sono decedute nello spazio dì un'ora, in una tragica catena, nel generoso intento di soccorrersi tra loro. Le vittime sono Anna Barbato, di 34 anni. Margherita Formicola, di 21, Maria Angela Cafaro, di 60, e Domenico Scialdone, di 54. La sciagura è avvenuta in un podere nelle campagne del comune di Pastorano, distante 25 chilometri da Caserta. Stamane, come ogni giorno, il motorino è stato messo in funzione alle 7 dalla proprietaria della fattoria, Carmela Montanaro, di 65 anni. Due ore dopo, le braccianti che lavoravano nei campi sono state costrette a sospendere l'irrigazione perché il motore si era improvvisamente fermato. Informata del guasto, Carmela Montanaro chiamava la nuora, Anna Barbato, madre di tre figli, pregandola di scendere nel pozzo per un controllo. La Barbato - che da quindici giorni era rimasta sola con l figli, essendo il marito emigrato per lavoro presso una fabbrica di Wìll in Svìzzera - si è calata nel cunicolo: la cisterna, profonda trentacinque metri, è al centro dell'aia. Per pochi minuti il motore ha ripreso a girare adagio, poi dal fondo del pozzo non si è udito più nulla. Invano la suocera ha chiamato la giovane: «Anna, Anna, rispondi, che cosa sta succedendo?». In preda all'angoscia la Montanaro è corsa a chiamare una lavorante, Margherita Formicola, pregandola di scendere a sua volta nella cisterna per vedere cosa fosse accaduto. Da questo momento è cominciata la tragica catena. La giovane, appena giunta in fondo al pozzo, è stata colpita dalle tremende esalazioni e si è abbattuta sul corpo inerte della Barbato. La stessa sorte è toccata a Maria Angela Cafaro, proprietaria di un podere attiguo, accorsa in aluto delle sventurate. Nel generoso tentativo dì salvare le tre donne, per ultimo si è calato nella cisterna Domenico Scialdone, un carrettiere che si trovava nel cascinale per il trasporto di un carico di foglie di tabacco essiccate. E' sceso nel pozzo convinto che le donne fossero soltanto svenute e che sarebbe stato facile rianimarle e riportarle alla superficie. Invece anche egli è stato colpito e ucciso dalle esalazioni venefiche. Carmela Montanaro è corsa infine a chiedere l'aiuto dei carabinieri. Sul posto sono giunte poi da Teano squadre di vigili del fuoco muniti di maschere antigas. La notizia della sciagura richiamava nella fattoria un gruppo di persone, tra cui i parenti delle vittime. La speranza che qualcuno fosse stato trovato ancora in vita è crollata quando per ultima è stata estratta dalla cisterna la salma di Anna Barbato. Un tragico silenzio è sceso sull'aia, rotto soltanto dai pianti dei tre figli della giovane, di cui il primo, Lorenzo, di 6 anni, è paralizzato agli arti per una grave forma di poliomielite.
ACCADDE A S. CIPRIANO D’AVERSA IL 3 APRILE DEL 1968
Tre scolari che attraversano i binari stritolati dal rapido Napoli-Torino
Terrificante sciagura nei pressi di Caserta Tre scolari che attraversano i binari stritolati dal rapido Napoli-Torino. Le vittime sono due fratellini di 8 e 12 anni ed un loro cugino di 11. – Ieri pomeriggio erano usciti per una passeggiata seguendo un sentiero che costeggia la linea. La disperazione del macchinista che ha tentato invano di frenare (Nostro servizio particolare) Caserta, 2 aprile. A San Cipriano d'Aversa, comune distante ventiquattro chilometri da Caserta, nelle prime ore del pomeriggio, due fratellini ed un loro cuginetto, mentre attraversavano i binari, a circa quattrocento metri dallo scalo ferroviario di Albanova, sono stati travolti ed uccisi dal rapido Napoli-Torino, che viaggiava ad una velocità di oltre cento chilometri orari. Le vittime sono Giuseppe e Francesco Diana, di 12 e 8 anni, e Paolo Diana, di 11. Figli di modesti operai del paese, erano usciti subito dopo pranzo per andare a giocare al pallone con altri coetanei in uno spiazzo poco distante dalle loro abitazioni. Alle madri avevano detto che sarebbero tornati verso le sedici per svolgere i compiti di scuola. Evidentemente, i ragazzi hanno preferito fare una passeggiata in campagna, prendendo per scorciatoia il sentiero che fiancheggia la strada ferrata. La sciagura è avvenuta alle 14,45, in un tratto dove i binari corrono su doppia fila per circa dodici chilometri in un lungo rettilineo. Giuseppe, Francesco e Paolo Diana procedono spensieratamente, godendo della bella giornata primaverile. Improvvisamente odono alle loro spalle il fischio di un treno: è il direttissimo 97 proveniente da Roma che deve raggiungere Napoli alle 15.03. Il convoglio è distante, da loro ed ì ragazzi pensano di aver tutto il tempo per passare dall'altra parte della massicciata e non essere quindi risucchiati dallo spostamento d'aria provocato dalla velocità. Si affrettano a scavalcare i binari e non si accorgono che sull'altra rotaia sta per sopraggiungere il rapido 56, partito da Napoli alle 14,20 e diretto a Torino. I tre fanciulli hanno un attimo d'incertezza quando vedono davanti a loro l'altro treno che si avvicina rapidamente con un rombo sordo. Paralizzati dal terrore, restano immobili con gli occhi fìssi al locomotore che sta per I piombare su di essi. Il macchinista del rapido Generoso Caputo, di 54 anni, residente a Roma, si accorge dei tre bimbi spauriti al centro dei binari ed impotente a scongiurare la tragedia, aziona con fermezza la frenata “rapida”. Accanto a lui, l'aiuto macchinista Luigi Mancini, di 41 anni, anche egli abitante a Roma, inorridito dalla improvvisa e spaventosa scena si copre il volto con le mani, gridando:”Dio mio salvali tu”. II treno, nonostante la brusca frenata piomba a notevole velocità sul gruppetto, falciandolo in pieno. Un violento sobbalzo ed il convoglio continua ancora la sua corsa per altri duecento metri, trascinando per un breve tratto sotto le ruote i miseri corpi straziati. Sull'altra coppia di binari, sferragliando passa il direttissimo Roma-Napoli ed i passeggeri non si avvedono di nulla. Sul rapido investitore, intanto, il macchinista ed il suo aiuto sono colti da grave choc emotivo ed essi scendono piangendo incontro al capotreno Renato Modugno, di 58 anni, napoletano. I due ferrovieri sono sconvolti e Generoso Caputo, prima di accasciarsi svenuto al suolo, trova la forza di mormorare: “Avrei dato la mia vita pur di salvarli”. Che tragedia, non la dimenticherò mai più ». Avvertiti per telefono dal capostazione di Albanova, sono giunti sul posto i carabinieri di San Cipriano d'Aversa, il dirigente della polizia ferroviaria di Napoli, dott. Achille De Feo e l'autorità giudiziaria per gli accerta- menti di rito. Il rapido per Torino è rimasto bloccato per oltre un'ora e soltanto verso le 17 con il locomotore inviato da Napoli e altri due macchinisti è proseguito per Roma. Alcuni viaggiatori del “rapido” rimasti lievemente contusi a causa della brusca frenata e dopo il contraccolpo sono stati assistiti e medicati dal personale ferroviario.
ACCADDE A CASALUCE NEL MARZO DEL 1968
Dieci contadini travolti nel crollo di un ponte presso Caserta: 3 morti
Dieci contadini travolti nel crollo di un ponte presso Caserta: 3 morti Altri due sono feriti gravi. Le vittime avevano 52, 35 e 34 anni. Poco prima della disgrazia 200 agricoltori erano riuniti sul viadotto per una pacifica manifestazione di protesta. Il ponte, distrutto dai tedeschi durante la guerra, era stato ricostruito nel '48. Tre morti e due feriti gravi sono il tragico bilancio del crollo di un ponte, avvenuto nelle prime ore del pomeriggio a Casaluce, un centro agricolo di 5000 abitanti a sedici chilometri da Caserta. La sciagura avrebbe potuto avere proporzioni più vaste: pochi attimi prima, sul viadotto, erano riuniti 200 contadini per manifestare contro l'amministrazione provinciale di Caserta. La protesta traeva origine proprio dalle pericolose condizioni del ponte che da otto mesi era chiuso al traffico per il cedimento di un'arcata. Le vittime sono Marco Diretto, di 52 anni, residente a Giugliano e padre di quattro figli; Enrico Paone, di 35 anni, da Aversa e con tre figli; Pasquale Dello Maggio, trentaquattrenne, da Gricignano. Sono stati ricoverati in ospedale Pasquale Iovine, di 22 anni, e Luigi Ortolano, di 35. ai quali i medici hanno riscontrato fratture e contusioni multiple e si sono riservati la prognosi. In ospedale è stato trattenuto per choc Luigi Diretto, di 20 anni, che ha assistito alla tragica fine del padre. Il crollo è avvenuto alle 14,30 a due chilometri dal paese su una strada provinciale che collega Casaluce ad altri Comuni casertani. Sotto il ponte, ricostruito nel 1948 dopo che i tedeschi lo avevano fatto saltare con le mine, scorre un ampio canale di irrigazione, largo una ventina di metri, che convoglia le acque del Volturno. Sette mesi fa un'arcata aveva ceduto per difetto di costruzione ed infiltrazioni d'acqua. Il tratto del ponte crollato era stato sostituito con malsicure tavole di legno sulle quali non potevano transitare i veicoli ed i trasbordi avvenivano a spalla d'uomo. Stamane i contadini, stanchi delle promesse non realizzate, hanno deciso di inscenare una manifestazione di protesta e dai Comuni vicini sono affluite duecento persone. Tra essi era anche il sindaco di Casaluce, dott. Ferdinando Cristiano, che in questi mesi ha spesso richiamato l'attenzione della Provincia sul disagio dei suoi concittadini. La dimostrazione si è protratta a lungo senza incidenti e da Santa Maria Capua Vetere è stato inviato verso le 13 un reparto di carabinieri per mantenere l'ordine e convincere i contadini a rientrare alle loro case. Le esortazioni dei militi e la promessa dell'imminente ricostruzione del ponte hanno placato gli animi, inducendo la folla ad allontanarsi. Sul ponte diroccato sono cosi rimaste soltanto una decina di persone. Improvvisamente, con un cupo boato, l'arcata ancora in piedi ha ceduto di schianto. Mentre alcuni volenterosi si precipitavano a prestare i primi soccorsi traendo in salvo coloro che erano caduti in acqua, sul posto giungevano i vigili del fuoco da Aversa e Caserta, la febbrile opera di rimozione dei detriti è durata oltre quattro ore e dalle macerie sono stati dissepolti i corpi ormai privi di vita dei tre contadini. Un'inchiesta è stata disposta dall'autorità giudiziaria per accertare le circostanze in cui è avvenuta la sciagura e stabilire eventuali responsabilità.

Agenzia Giornalistica - "CRONACHE": Il Tribunale di Carinola fa giurisprudenza in mate...

Agenzia Giornalistica - "CRONACHE": Il Tribunale di Carinola fa giurisprudenza in mate...: DUE INTERESSANTI DECISIONI PER QUERELE INTENTATE CONTRO IL NOSTRO DIRETTORE  DA ANDREA SULLO  IMPRENDITORE DI SESSA AURUNCA ACCOLTE LE RICH...

Il Tribunale di Carinola fa giurisprudenza in materia di diffamazione a mezzo stampa


DUE INTERESSANTI DECISIONI PER QUERELE INTENTATE CONTRO IL NOSTRO DIRETTORE  DA ANDREA SULLO  IMPRENDITORE DI SESSA AURUNCA
ACCOLTE LE RICHIESTE DELLA DIFESA NONOSTANTE L’OPPOSIONE DEL PUBBLICO MINISTERO E DELLA PARTE CIVILE

La diffamazione via Web è similarmente paragonabile a quella a mezzo della carta stampata. Occorre un giudizio con l’istruttoria del Gip.








Sessa Aurunca - E’ la terza vittoria, in pochi giorni, per il giornalista Ferdinando Terlizzi, nostro DIRETTORE; la prima è quella di Milano, contro Roberto Saviano ( che aveva querelato il collega ritenendosi diffamato per alcune frasi inserite in un commento sul sito web “casertasette”) in quella circostanza infatti, il giudice aveva stabilito che il processo dovrà celebrarsi a S. Maria C.V. luogo dove anagraficamente è iscritto l’imputato.
La seconda e la terza, sono relative a vicende locali, che sono passate al vaglio del Tribunale Penale di Carinola. Vediamole in breve. Il signor Andrea Sullo, un imprenditore di Sessa Aurunca, con mire espansionistiche ( è presidente del Consorzio “Aurunca Shopping” che avrebbe in animo di costruire un centro commerciale sull’Appia, che dovrebbe fare la concorrenza al “Sidicinum” di Teano e a “Panorama” di Formia; recentemente ha cambiato casacca, è passato da affiliato “Sisa” ad affiliato “Conad”… i cambi di casacca sono sempre sospetti o per evasione di fisco o per preparazione di truffe ) si è sentito “leso” da alcuni articoli pubblicati – per varie vicende – ed ha per questo presentato due querele.
Dopo varie vicissitudini al Terlizzi è stato contestato il reato di cui all’art. 595 ( diffamazione ) perché, nella qualità di direttore responsabile della testata giornalistica on-line www Casertasette it, pubblicava in rete articoli e servizi con titoli delle seguenti notizie: “Caserta, esposto consumatori: I surgelati? Dal Market a casa del proprietario”; “Sessa Aurunca, supermercato con parcheggio.. a rischio”; In arrivo miliardi per danni centrale, focus su città; “Molto probabilmente ci sarà un futuro con sole a scacchi per il Presidente e i componenti del consiglio di amministrazione del consorzio Aurunco Shopping”. E ancora: “Caserta stalking giudiziario ai danni di una vedova. Resa giustizia”; “Continua la farsa dell’eredità dei Sullo a Sessa”.
In due udienze diverse i processi venivano, il primo innanzi al giudice monocratico dott.ssa A. Vona ( pubblico ministero d’udienza Dott.ssa Monaco ) e il secondo giudice S. Ninna ( pubblico ministero dott.ssa G. Sciorio ) ma la decisione finale è stata la stessa.
In apertura, l’avv. Dario Pepe ( che difendeva il giornalista, unitamente al penalista Gennaro Iannotti ) esordiva: “Questo procedimento -a nostro avviso - non doveva pervenire innanzi alla Signoria Vostra con le forme del decreto di citazione a giudizio ma, bensì, con le forme di cui all’Art. 416 e seguenti del Codice di Procedura Penale. Riteniamo, pertanto che, appunto il decreto emesso sia nullo e quindi debba disporsi la restituzione degli atti al Pubblico Ministero. Sul punto la giurisprudenza ha avuto modo di pronunciarsi e le produco anche sentenza emessa dalla Corte di Cassazione, depositata del dicembre del 2010, avente ad oggetto – appunto- un conflitto di attribuzioni tra GUP del Tribunale di Milano e il GUP del Tribunale di Roma e quindi la risoluzione di questo problema della competenza o meno e quindi il passaggio per l’udienza preliminare. Vediamo, infatti, che nel caso di specie – potrà rilevarlo anche dal capo di imputazione - sebbene si tratti di un articoli diffuso on line, quindi su internet, si tratta di una testata giornalistica. Testata giornalista che, appunto per questo motivo, e assimilabile in punto e per tutto quindi anche quod penam- a quella che e la legge sulla stampa. Ragion per cui il reato per cui si procede deve essere non solo quello di cui all’Art. 595 ma, bensi, di diffamazione a mezzo stampa così come riferito poco fa”.
Dopo alcune precisazioni del giudice l’avv. Pepe ha proseguito: “Le produco anche il provvedimento emesso dal Giudice: Quindi, tanto è vero che il Pubblico Ministero qualifica il giornale come testata giornalistica, quindi lo qualifica non come una diffamazione on-line quale potrebbe essere quella su un blog o su Facebook - ad esempio - quindi su un social network. Ma, appunto, si tratta di testata giornalistica assimilabile in tutto e per tutto. Anche una sua collega, la dottoressa Ninna, tra l’altro tra le stesse Parti: imputato Terlizzi, persona offesa il Sullo, in data 7 febbraio del 2012 si è pronunciata in tal senso restituendo gli atti al Pubblico Ministero e dichiarando nullo il decreto di citazione; quindi chiede dichiararsi nullo il decreto e la conseguente restituzione degli atti al Pubblico Ministero”.
Poi il Giudice chiedeva alle altre Parti: “Su questa eccezione? Prego, il Pubblico Ministero?”. Prendeva quindi la parola il piemme d’udienza dott.ssa Monaco, la quale dichiarava:”Io mi oppongo alla richiesta fatta dal difensore perche non ritengo che debba essere integrato il capo di imputazione, almeno alla luce della querela. Perche, praticamente, la legge sulla stampa prevederebbe… chiedo scusa un attimo. . . Va be, sarebbe l’attribuzione di un fatto determinato. Se noi leggiamo la querele fa riferimento ad una serie di episodi e quindi mi risulta difficile sapere quel è il fatto determinato per cui – poi - era necessario fare ricorso a quella normativa”.
In prosieguo il Giudice dava la parola alla Parte Civile, rappresentata dall’avv. Luigi Imperato, il quale diceva: ”Si, Giudice, il problema e il seguente: in astratto quello che dice il difensore dell’imputato e vero, ma il presupposto nel caso di specie manca. Cioè, l’applicazione della legislazione speciale, in particolare Art. 13 della legge 47 del ‘48, richiede non soltanto l’elemento della diffamazione a mezzo stampa ma richiede anche l’attribuzione di un fatto determinato. Ora il problema e di carattere strettamente processuale. Allo stato, dal capo di imputazione, tutto ciò non si evince e perciò –correttamente - la Procura ha contestato il 595. Quindi, questo, potrebbe avvenire ma successivamente e non allo stato degli atti cosi come formulato il capo d’imputazione. Pertanto ritengo che, allo stato, non possa essere accolta la questione di carattere preliminare sollevata dalla Difesa”… in effetti un bla, bla, bla… come quello del pubblico ministero.
Invece il giudice uniformandosi all’altra analoga decisione ha accolto in toto le doglianze dell’Avv. Dario Pepe. “Il Giudice Monocratico sull’eccezione difensiva rilevato che come si evince dalla lettura del capo di imputazione il reato in contestazione appare definibile come quello di diffamazione a mezzo stampa attesa la portata diffusiva ormai - pacificamente riconosciuta alle testate giornalistiche on line. Considerato che il discrimine e l’applicabilità della normativa, di cui all’Art. 595 del Codice di Procedura Penale e l’art. 13 della legge 8 febbraio del 48 n.47 Disposizioni sulla Stampa, e individuato nella attribuzione di un fatto determinato oggetto della condotta diffamatoria; osservato che l’ipotizzata condotta ritenuta diffamante- e riferita ad un fatto determinato relativo ad una controversia penale meglio specificata nel pezzo di cronaca de quo; considerato che pertanto la normativa speciale prevalendo su quella di cui all’Art. 595 del Codice Penale debba trovare applicazione, ai sensi dell’Art. 15 del Codice Penale; letto l’Art. 13 della legge 8 febbraio 1948 n. 47 a norma del quale si applica la pena della reclusione da uno a sei anni; considerato – pertanto - che più correttamente l’azione penale avrebbe dovuto essere esercitata nelle forme di cui agli Art. 416 e seguenti del Codice di Procedura Penale; ritenuta fondata e tempestivamente dedotta l’eccezione avanzata dalla Difesa del imputato, per questi motivi - letto l’Art, 550, comma 3 Codice di Procedura Penale- dispone trasmettersi gli atti al Pubblico Ministero in sede per ulteriore corso”. Prosit!


sabato 24 marzo 2012

Il Processo all’avv. Michele Santonastaso


SENTITI I TRE PERITI – LE DICHIARAZIONI SPONTANEE DELL’IMPUTATO SMANTELLANO PARTE DELL’ACCUSA – IL “PASTICCIACCIO” DELLA SUPER PERIZIA CON LO SCAMBIO DELLE INTERCETTAZIONI – PROSSIMA UDIENZA 30 MARZO


S. Maria C.V. - ( di Ferdinando Terlizzi ) – Si è tenuta ieri un’altra udienza innanzi la prima sezione del Tribunale di S. Maria C.V., ( collegio A – Presidente Orazio Rossi, a latere Francesca Auriemma e Paola Cervo, - Pm. della DdA Dr. Antonello Ardituro ), per il processo a carico dell’avvocato Michele Santonataso, accusato di concorso in associazione mafiosa e di corruzione in atti giudiziari, difeso dagli avvocati Avv.ti Giuseppe Garofalo, Gaetano Pastore, Stefano Sorrentino e Laura Arena.
Assieme a Santonastaso, sono imputati anche Francesco Bidognetti, - difeso dagli avvocati Elsa Cardone e Nicola Filippelli, in video conferenza dal Carcere di Parma, perché in regime di 41 bis e Alberto Alfio Fichera, perito dell’Università di Catania, difeso dagli avv.ti Bruno Von Arx e Giovanni Vanila.
I più significativi fatti che hanno caratterizzato questo udienza sono: la registrazione di una radio tedesca (www. dradio.dr) che sta seguendo in Italia vari processi per poi compararli con la legge tedesca; la escussione dei tre periti che confutarono la perizia di Fichera, con un comunicato anticipato ai giornali che puzza di bruciato; le esplosive dichiarazioni spontanee dell’avv. Santonastaso, il controesame dei difensori di Fichera e la presenza ingombrante di Qui, Quo, Qua e di Topo Gigio.
In apertura di udienza uno dei periti nominati per la trascrizione delle intercettazioni ha annunciato che trattandosi di ben 350 interventi fonici occorrerà oltre un anno per il lavoro. A questo punto sorge spontanea una domanda: Può un imputato in detenzione preliminare restare in carcere per tanto tempo considerato che alcuni reati sono prescritti?

Poi è stata la volta dei tre “soloni” che la DDA ha scelto per incastrare Fichera e Santonastaso: Ugo Cesare, Roberto Porto, Sebastiano Zavattari, il primo professore universitario, il secondo ingegnere fonico ed il terzo colonnello dei RIS di Roma. Le consulenze per conto dei PM Ardituro, Milita, Curcio, depositate dal sottoscritto dal prof Cesari in collegio con Ing. Porto e Maggiore Zavattaro del RIS di Roma hanno evidenziato (nell'anno 2008) quanto segue: La perizia a cura dell'imputato prof. Fichera presenta errori inspiegabili quali: presenza di valore '0' per le voci degli anonimi intercettati per ben 20 volte con alterazione dei valori medi finali presenza di valori elevatissimi (fuori Scala) per le voci degli imputati di camorra (Bidognetti e Tammaro). Casualmente gli zeri (valori impossibili in una misurazione di voce) cadono solo da una parte. Il Tammaro riceve in una telefonata, il 4 marzo, gli auguri di compleanno, ma Fichera sostiene che non è la sua voce”.

“I saggi fonici prelevati da Fichera consistono nel far ripetere a imputati della caratura (nota) di Bidognetti e Tammaro le seguenti parole: Topo gigio, qui quo qua, uruguay e paraguay. In nessun altra perizia fonica di Fichera, prelevata dal computer a lui sequestrato, compare lo zero come misura vocale. Il prof. Paoloni, perito di parte di Fichera, non appare mai scandalizzato da tali errori, pur essendosi definito un luminare sul tema.”.


Nel corso della complessa deposizione – più volte contrastata da accusa e difesa – è emerso chiaramente che non esiste un metodo scientifico per la comparazione fonica ma ogni perito usa un sistema che ritiene infallibile ( un programma che si chiama idem ) il quale ha delle indicazioni in italiano ed in dialetto napoletano e siciliano ( ma non in casalese ) tanto è vero che il perito Ing. Porto in un altro processo è stato accusato di aver scambiato la voce dio un albanese per un casalese.

I tre periti ci hanno tenuto ad evidenziare che, pur avendo operato separatamente sui reperti a loro disposizione il risultato finale è stato univoco. Hanno anche rimarcato che non esiste una banca dati per potersi confrontare e che molte bobine consegnate loro per la comparazione erano inutilizzabili perché “inquinate” da molti disturbi ambientali.

In effetti la cosiddetta super perizia ( cioè quella che doveva contrastare quella redatta da Fichera che aveva escluso la voce di Bidognetti ) si è dovuta svolgere su saggi di altre intercettazioni e non su quelle registrate all’interno della macchina dove erano Bidognetti e Tammaro, entrambi accusati del duplice omicidio Cimmino avvenuto al Vomero.

Sul dubbio della utilità dei reperti fonici e delle relative perizie ha espresso il suo parere l’avvocato Michele Santonastaso, nel corso delle sue rituali dichiarazioni spontanee, confutando punto per punto ogni assunto e sfaldando ogni angolo dell’accusa su questo argomento.

E’ stata poi la volta del controesame della difesa di Alfio Fichera la quale – se è vero come è vero – che il compito principale della difesa è quella di instaurare il dubbio nella mente del giudice – con le argomentazioni in contraddittorio vi è pianamente riuscita. In particolare – ha fatto notare la difesa di Fichera – che i super periti hanno combinato un “pasticciaccio” ( sia pure in buona fede ) dove è difficile districarsi e far emergere la verità specialmente per quanto attiene alla mancata comparazione dei saggi che erano stati adoperata da Fichera limitandosi a confrontare le voci del nastro con quelle di intercettazioni di altri processi.

“In effetti non esiste un protocollo ufficiale univoco per identificare le voci molto è affidato – ha detto il colonnello del Ris Sebastiano Zavattari ( autore tra l’altro di testi sulle analisi forensi in materia di identificazione di voci ) alla logica e alla intuizione soggettiva”.

Il processo è stato poi aggiornato al 30 marzo per la escussione di due testi (Romito e Laudato ) dell’accusa e al 13 aprile per la conclusione del riesame dei tre “tenori”…












L'ESPERTO RISPONDE RUBRICA GIURIDICA DELL'AVV. PROF.CIRO CENTORE




Ai genitori di un bambino “nato male” vanno assegnati anche indennizzi risarcitori per il danno “permanente “ che viene al proprio figlio.

     Una sentenza clamorosa è intervenuta giorni fa da parte della Suprema Corte di Cassazione. Ce la segnala il Prof. Avv. Ciro Centore, noto esperto anche in materia di famiglia e di responsabilità “medica”. Ecco in breve la vicenda. Una “partoriente” in sofferenza per l’imminente parto, è stata, purtroppo, oggetto di “attenzione medica” molto superficiale, tanto è vero che si è determinato un particolare parto che ha dato luogo ad una “paralisi” del braccino destro del figlioletto.

     Apriti cielo, ed era giusto  questo invocare la protezione della “Madonna” e, di poi, anche ricorrere al Tribunale. Era ben chiaro e conclamato che “l’intervento” effettuato non era stato fatto secondo le tecniche di necessità e la chiara “ignoranza” dell’operato medico ha scatenato non solo un procedimento di carattere amministrativo ma ancor più un procedimento giudiziario in tema di “responsabilità” per malasanità ed errore medico. Naturalmente la controparte non ha riconosciuto questo errore e l’avvocato di controparte ha eccepito che, dal punto di vista della legittimazione,  ossia del soggetto che era abilitato a poter rivendicare un “quantum” per il danno sofferto era e poteva essere il solo  “minore”, sia pure rappresentato dai genitori ma per un danno di solo carattere patrimoniale. In altre parole, si contestava la richiesta risarcitoria, così come “impostata” con la carta bollata. I genitori avevano chiesto una certa somma per il futuro “danno” di relazione che ne sarebbe venuto al bambino, nel rapportarsi a terzi, bambini o non nell’ambito della scuola e, nel futuro, nell’ambito del lavoro. Avere un braccio “fuori uso”, ed è evidente, crea problematiche psicologiche e di rapporto e relazione sociale, non di poco conto, sicchè questo danno / sofferenza andava risarcito. Questa tesi e questa prospettazione, tra alterne vicende, in vario grado, è giunta in Cassazione. E qui, soggiunge il Prof. Avv. Ciro Centore si è avuto il giusto verdetto. Ai Giudici della Suprema Corte è stato posto il quesito che andava posto e rappresentato dal seguente interrogativo: il danno permanente al figlio va ricarico?. Sì, hanno risposto le toghe, va risarcito e in particolar modo va indennizzato lo sconvolgimento “esistenziale” del soggetto leso e quello “esistenziale” degli stessi genitori. Nell’uno e nell’altro caso ci si trova in presenza di un danno non patrimoniale per il quale va attribuito un giusto indennizzo.


UNA ENNESIMA SENTENZA CI VIENE SEGNALA DAL PROF. AVV.  CIRO CENTORE IN TEMA DI CONIUGI SEPARATI.

Il Prof. Centore, noto avvocato, da qualche tempo super esperto sulle tematiche della famiglia, ci ha segnalato un verdetto recentissimo di Cassazione. Si rapporta ad una coppia “scoppiata”. Separazione in Tribunale, attribuzione alla donna, cinquantenne disoccupata, di un assegno alimentare, per lei e per i figli. L’ex marito, naturalmente, è tenuto a sborsarlo. Fino a quando, ci si è chiesto. L’ardua sentenza è intervenuta da parte dei Giudici di Cassazione. L’ex deve provvedere a questo assegno fino a quando la ex non trova lavoro. E se, pur non trovando lavoro, incontra un nuovo compagno e convive stabilmente con lo stesso, l’ex marito deve continuare a corrispondere gli alimenti ?. Un no secco e reciso interviene da parte della Cassazione. Nulla è più dovuto. Questo il responso.

                               










martedì 20 marzo 2012


Saviano e il "mezzo imbroglioncello", una grande lezione per il "beato" giornalista



NAPOLI - Quarantasette arresti per associazione camorristica e riciclaggio. Questo il bilancio dell’operazione messa in atto dalla Guardia di Finanza di Napoli su ordine della Direzione distrettuale antimafia. L’azione ha avuto come obiettivo principale il gruppo criminale dei Fabbrocino e quello imprenditoriale dei Ragosta, nota famiglia di imprenditori a capo di un impero che spazia dal settore alimentare alle compravendite immobiliare, dalla gestione alberghiera all’industria del ferro. Oltre a diversi esponenti della famiglia sono finiti in manette ben 16 giudici tributari, otto tra funzionari e impiegati delle Commissioni Tributarie, un commercialista e un noto avvocato napoletano, docente universitario alla Federico II. Grazie a loro, e dietro pagamenti sostanziosi, i Ragosta avevano la copertura necessaria per “coprire” i loro affari davanti alla legge. Fin qui la ricostruzione della Dda che ha diretto le indagini. Oltre agli arresti la Guardia di Finanza ha sequestrato beni per oltre un miliardo di euro. E fino a qui niente di nuovo, verrebbe da dire a noi che di operazioni di questo genere siamo abituati a sentirne, a leggerne e parlarne. La grande novità sono due righe di una intercettazione, un brevissimo passaggio dove si parla del padre di Roberto Saviano nei termini di un “mezzo imbroglioncello”. Saviano Senior non è indagato e il commento a lui riferito probabilmente è falso, esagerato, inventato. Sicuramente questo è il primo schizzo di fango che colpisce il giornalista. Il “beatificato” giornalista è vulnerabile agli attacchi, come tanti lo sono stati prima di lui (molti proprio dallo stesso Saviano che non si astiene mai dal condannare pubblicamente e mettere all’indice prima dei giudici). Questa è la grande lezione di questa storia. Una lezione che dovrebbe apprendere il grande giornalista. Mai giudicare senza che ci sia la certezza del giudizio.

PAOLO LUNA
Pubblicato da Redazione a 05:00
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domenica 11 marzo 2012










Ricorre in questi giorni il 60° anniversario
A Mignano Montelungo   il 25 marzo 1952

42 morti e 63 feriti nella Galleria di Cannavinelle

  





   Mignano Montelungo - I primi flash battuti dalle agenzia di stampa sono drammatici e parziali. Poi i dettagli nella loro crudeltà.  Le prime domande dei soccorritori con i riflettori  nella galleria della morte:  Come si è prodotta la terrificante sciagura di Mignano Montelungo in località Cannavinelle?  La coraggiosa  lotta dei  pompieri nelle viscere nere del monte;   salveranno gli altri operai sotto le macerie? Ventuno le  salme identificate finora.  Una visione d'orrore.   I morti che erano  saliti a 39 ( divennero 42 con la morte di molti feriti gravi )  ed i feriti a 63 avvolti in teli e coperte.  Questa notte si è vegliato nel grande cantiere della ditta “Farsura”, a Cannavinelle, una località lontana dalle case, dove, in una radura, ci sono le baracche dei minatori. E' qua, dalla parte di Mignano,  l'imbocco della galleria lunga dodici chilometri, che termina dall'altro lato, a Roccapipirozzi  (una. borgata di  Sesto Campano) in provincia di Campobasso, da  questo punto, venti mesi fa trecento uomini attaccarono la roccia tagliente, per quest'opera che avrebbe dovuto convogliare, nel prossimo novembre, l'acqua del Volturno ad una centrale, costituendo un passo decisivo nel grande piano di redenzione del Mezzogiorno.
     Ecco il drammatico racconto di un inviato speciale dell’epoca. “E… oggi trentotto di questi uomini  sono caduti. La luce dei proiettori è concentrata sul vasto cantiere dove ora tutto, è fermo. Nel silenzio s'ode il rombo dei motori elettrici e il cigolio dei vagoncini della “decauville”: avanzano nel viscere nero del monte portando i vigili del fuoco che, armati di lampadine, piccozze, vanghe, badili, scavano ancora dove, dopo lo scoppio, è crollata la volta. Vi sono ancora uomini sepolti ma v’è la speranza che siano ancora vivi. Perciò, mentre un turno ritorna, con i vagoncini colmi di materiale, altri vigili vanno. Due operai, Ernesto Mignaca e Michele Schiavitela,  guidano  i vigili del fuoco nelle viscere della terra,  mentre continuano ad essere affiancati i corpi straziati delle vittime del crollo. Dirige la manovra l'ing. Alfonso Busacca, comandante i vigili  del Fuoco di Caserta,  che operano con quelli di Frosinone, Teano e Campobasso. “I  feriti - dice l'ingegnere -  sono saliti a 56: trenta all'inizio della galleria, dalla parte di Mignano, e il resto dall'altra parte. Per i morti, invece, occorre sgomberare tutta la galleria per. potar dare sul loro numero una risposta definitiva”.
     La scena si ripete, affannosa, truce: la decauville riparte. Impiegherà esattamente 45 minuti a percorrere i chilometri 3,200 arrivando al punto preciso del crollo II ritorno è in discesa, e i vagoncini impiegano dieci minuti in meno. Saliamo nella baracca della direzione. Il geometra Enzo De Biasi, direttore del cantiere è ferito al viso e non c'è. Mancano anche i capi-assistenti Alberto Di Stefano e Raffaele Micarelli, feriti anch'essi. Un impiegato, Innocente Moret, da Conegliano Veneto, piangendo,  ha raccontato ai cronisti che  ha riconosciuto in uno dei cadaveri recuperati il proprio fratello Antonino ed ha narrato,  con particolari raccapriccianti,  l’accaduto. Egli era nella baracca con due amici, Enrico Nissi e Giacomo Presi: hanno udito lo scoppio. Prima .sono rimasti perplessi, poi hanno intuito, e sono accorsi sui vagoncini della “decauville”. I primi a trovare sotto la galleria sono stati De Biase e Micarelli, stesi per terra e pallidi.
      Fino a quel momento era incerto il numero dei morti.  Poi la sera l'elenco dei presenti è passato alla direzione. Non ai può sapere, quindi, quanti erano  minatori del turno che, iniziato alle sette, avrebbe dovuto terminare alle 14. “Erano tutti piovani - conclude Moret -  dall'età media di 30 anni”. Circa l'esplosivo di cui si aveva notizia stanotte egli precisa che, anche se ve ne fosse stato sotto la galleria, ciò era normale perchè questo  è il compito del tecnico  Federico Fabiano,  che lo porta con uno  speciale vagoncino. Sembra da escludersi, comunque, che il disastro debba attribuirsi all'esplosivo.
     Il Genio Civile, e l'Ispettorato delle miniere e del lavoro,  stanno  svolgendo le indagini. Chiedo: “A che ora esatta si è avuto lo scoppio !”. “Dagli  orologi di alcuni morti -  risponde l'interpellato -  segnavano  le 11,48 precise”. Scendo dalla baracca della direzione, in alto sul pendio i morti stanno in due capannoni: l'officina e il magazzino. Sono allineati, per terra, avvolti in coperte grigio scuro  da  cui spuntano  rozze scarpe infangate e braccia levate in alto, con le mani aperte e le dita rigide. A uno l'esplosione ha tolto le scarpe e appaiono i calzini bianchissimi; in un altro, girato sul fianco, si vede lo scapolare, con una Madonna e il Bambino. Spicca cereo il viso di un giovane ingegnere, Massimo  Di Giacomo, per la prima volta ieri in visita ai lavori, con un amico. Fuori i capannoni sono affissi dei manifesti a colori: “Una scala in cattivo stato non regge al peso” , dice uno. “Attenti! Non fate il sottoscavo!”, avverte un altro. E un terzo più grande: “L'infortunio, legato a un filo, pende sul vostro capo. Evitatelo!”. Il viola cupo sui monti  di Venafro si sbianca in un chiarore perlaceo: è quasi l'alba. La luce di fari e lampade sul cantiere è sempre più fioca. Adesso, che è chiaro, appare un grosso camion, fermo fuori dei capannoni, ricolmo fino in cima: sono le trentotto bare inviate questa notte dalla Prefettura.
     Più tardi tornerà il ministro Campili che è rimasto a Caserta. E' atteso pure il Procuratore della Repubblica.  Lenta è l'opera di identificazione delle salme in quanto la terrificante esplosione ha asportato ad alcuni operai parte del viso ed ha ridotto in brandelli le tute in cui erano custoditi i documenti. I morti finora identificati sono ventuno: Vittorio Tarquinia, Amerigo Pczzuti, Giuseppe Martino, Onofrio Delli Cunti, Ettore Rugghia, Gabriele Dermo, Mario Allegretti, Giuseppe Grande, Antonino Crea, Battista Trombini, Pietro Salutari, Remo Filonetti, Giuseppe Troletti, Giovanni Sciara, Mario Flamini, Francesco Verticchio, Domenico Paolini, Giuseppe Giovarrusci, Raffaele Cosentini, Vincenzo Ranieri, ing. Massimo Di Giacomo.
Quest'ultimo, un giovane ingegnere ventiquattrenne, non apparteneva alla ditta assuntrice dei lavori, ma, recatosi sul posto a visitarvi un amico, era stato invitato a entrare “ nel tragico tunnel per rendersi  conto di come procedevano i lavori. La  “decauville”  è di ritorno e fa udire il suo fischio. Incastrato nel cemento hanno trovato un altro cadavere: il trentanovesimo. Si chiama Giovanni Battista Trombetti. “Non ve ne dovrebbero essere altri”, commentano i minatori. Intanto dalle borgate arrivano gruppi di gente: vecchi, madri, donne pallide che corrono verso i capannoni.







Dinanzi alle 39 salme sfilano i compagni in pianto
     Il giorno successivo alla tragedia è impiegato  per un assai triste ma pur indispensabile compito: il riconoscimento delle salme fatto da magistrati, medici  chirurghi, i dottori Francesco e Dino Purcaro e da una commissione del cantiere composta di impiegati e minatori, compagni di lavoro dei morti e degli scampati per miracolo, come Giovanni Cicchinelli, Pompeo De Cicco e Giovanni Cocozza.
     Ma il destino ( per chi ci crede ) ha guidato le cose. Mentre i primi due si trovavano in galleria vicino all'uscita, il terzo era giunto con alcuni minuti di ritardo, dov'è accaduto lo scoppio. Il suo caposquadra, Alberto Di Stefano, gli chiese di porre in azione i ”vibratori”, un apparecchio che spalma il cemento (infatti il lavoro ormai era in fase di rifinitura). In quel momento il minatore si accorse che, per una distrazione,  aveva lasciato fuori la Galleria l’apparecchio.  “Sì -  gli disse il Di Stefano -  che  preferisci? 500 lire di multa o una giornata di sospensione?”. “La sospensione”,  rispose l'altro. Fu così che con la decauville ritornò fuori all'aria e si salvò la vita.
     Anche per questi uomini rudi, usi alle asprezze e alle insidie di una vita fra le più dure, il  riconoscimento dei cadaveri: dei loro compagni, è stato una,  cosa angosciosa. A mano a mano che le grige coperte, spesso madide di sangue, venivano  aperte, apparivano i poveri corpi straziati, dai volti lividi, con le labbra contorte e le braccia rigide, dalle pesanti mani callose che cadevano giù inerti. Appello senza risposta…  Uno sguardo e, sfogliando un  elenco, si udiva un nome come ad un appello senza risposta: “Giuseppe Di Lauro, Mario Parisi, Giuseppe Giovarusci, Pietro Salutari, Massimo Di Giacomo...”.  Un attimo di silenzio, un segno di lapis su una carta. Era tutto. Appena il riconoscimento era avvenuto, senza perdere troppo altro tempo nello stabilire le cause della morte, il cadavere veniva adagiato nella bara.
     Non è stato facile trovare, così  in fretta, 39 bare  e perciò ve ne erano di ogni tipo, tutte in legno, di foggia diversa, costo e colore, anche bianche, come si usano per i bambini: in acero, faggio, abete e persino due in legno pregiato, mogano e noce, con pesanti borchie di bronzo vero,  destinate certo a persone  benestanti,  ai nobili della zona,   ai padroni… non certo ai poveri minatori.
     Invece la morte improvvisa, ha livellato anche questo. E poi gli ordini erano ben chiari, subito 34 bare all'imbocco della galleria di Mignano Montelungo. Per le altre 5, dall'altra parte, “la competenza” (cosi! diceva il fonogramma) era della Provincia di Campobasso, nella cui giurisdizione è  situato il comune di Sesto Campano. E anche a quelle cinque si è provveduto subito. Fuori dei capannoni, intanto i carabinieri, pur con gli  occhi umidi di lacrime,  per le scene di dolore, tenevano lontano le  donne; i vecchi che singhiozzavano, mordendosi le mani  e guardando verso la porta dove i feretri  uscivano già inchiodati. L'esplosione è stata cosi violenta che spesso i corpi sono divenuti irriconoscibili e l'ordine più rigoroso voleva appunto evitare, almeno in un primo tempo, quel colpo atroce.
     Le bare, con incollato sopra un foglio scritto a penna (nome e cognome), uscivano accatastate su un camion. Poi, il mezzo partiva. Cinque volte ha percorso il tratto dal cantiere per il contorto e polveroso viottolo tra siepi di rovi. E, alla fine, dietro, il bordo rimasto aperto e sospeso, aveva rigagnoli rossi. Alle bare si era provveduto, ma alle casse di zinco, così in fretta, non si era potuto e dal legno sconnesso il sangue gocciolava. Poi, sui pavimenti dei capannoni è stato sparso, bianco ed acre, un disinfettante. Infatti, dopo più di un giorno, le pozze di sangue e tutta quella carne in decomposizione avevano già diffuso un lezzo, e nella notte, avvertite dal sensibilissimo olfatto, si era levato dal querceto, il lamento delle civette.
L'inchiesta in corso  da parte della magistratura del Tribunale di Cassino
     Sulla piazzetta centrale di fronte al vecchio rudere del castello di  Ettore Fieramosca, si eleva, ancor fresca di pietra,  per l'edificazione recente, la parrocchia di S. Maria Grande. E, portate a spalla fra la folla che, muta e a capo scoperto, gremiva il sagrato, passavano le bare poi adagiate sul pavimento della chiesa, l'una a fianco dell'altra. Un giorno e mezzo dopo, il bilancio umano della sciagura di Mignano si compendia in 42 morti e in sessanta feriti.  Circa le cause, è al lavoro la commissione  d'inchiesta, presieduta dal Procuratore della Repubblica di  Cassino dottor Carlo Alvino,  che è assistito, fra l'altro, da  due tecnici il tenente colonnello  Nicola Caprio dello spolettificio  di Fontana Liri e il colonnello  Antonio Le Piane, direttore del Pirotecnico di Capua.
     Tuttavia si  sa, ormai, che la sciagura è  stata causata non da gas,  come il metano (il grisou, in questo caso, era assolutamente da escludersi) ma dall'esplosione  di  un piccolo deposito di antoaite, usato per il brillamento di  cariche. Infatti, la metà delle pareti, sembra che dovessero essere ancora allineate. Ciò si è appreso dalla  precisa dichiarazione fatta alla stampa dal Ministro Pietro Campilli,   che  ha fatto visita ai feriti negli ospedali di Cassino e Teano.   
 RICONOSCIMENTI   E LE CELEBRAZIONI DELLE PASSATE EDIZIONI
     A  studiare  ( più di tutti ) l'evento e chiarire molti lati oscuri della vicenda ed anche  ad avviare un percorso della memoria fu Mauro Nemesio Rossi,  prima componente  la commissione scuola lavoro della Federazione,  ed ora presidente del Centro studi ed alta formazione maestri del lavoro d'Italia. La lotta contro le morti bianche e gli incidenti sul lavoro deve essere un impegno di tutti, ancor più degli insigniti dal Presidente della Repubblica che sono stati chiamati in una missione sociale che va oltre all’onorificenza. Le belle parole e le passerelle non servono a risolvere un problema che esiste e non può passare nell’indifferenza collettiva. Se la scuola è carente i maestri del lavoro debbono e possono sopperire a queste deficienze.”.  Lo ha detto nel suo intervento Mauro Nemesio Rossi maestro del lavoro e direttore del Centro Studi Alta Formazione a Mignano Montelungo in occasione della celebrazione delle vittime di Cannavinelle nell’annuale ricorrenza della tragedia.
     Successivamente  nella centrale Enel il sindaco Roberto Campanile ha assistito alla messa solenne celebrata dal vescovo Mons. Arturo Aiello. Mai una strage di lavoratori in Italia è stata così grande dal dopoguerra in poi. In un solo colpo a causa dell’esplosione della santabarbara furono uccise 42 persone che stavano realizzando la condotta della Sme, Società Meridionale Elettricità, che doveva, non solo portare l’acqua alla popolazione, ma alimentare una delle più grandi centrali idroelettriche dell’Italia del Sud quella di Presenzano.  Il grave episodio avvenne il 25 marzo del 1952 nel comune di Mignano Montelungo in località Cannavinelle. Una zona montuosa a cavallo tra la provincia di Caserta e allora di Campobasso.
     Con un decreto il Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano ha voluto ricordare quel tragico avvenimento conferendo la stella al merito del lavoro ai gonfaloni delle regioni a cui appartenevano le vittime della tragedia. Sia il Comune di Mignano che quello di Sesto Campano, i due fronti su cui si lavorava per scavare la galleria, ricordano sistematicamente l’avvenimento. Il dibattito che ne è seguito, dove oltre al sindaco sono intervenuti in rappresentanza del prefetto il dott. Gaetano Cupello, e per il neo presidente della provincia la dott.ssa Emilia Tarantino,  che hanno portato i saluti dei rispettivi Enti, è stato successivamente animato dalle relazioni dell’On Antonio Incollingo, Vice Presidente del Consiglio Regionale Molise; dall’On. Aldo Patriciello,  Parlamentare Europeo; dall’Ing. Pietro Navatta, Responsabile ENEL Nucleo Idroelettrico di Presenzano; dal  dr. Tommaso Campanile del CNA Caserta e dal dr. Sebastiano Calleri,  Responsabile Salute e Sicurezza della C.G.I.L. Nazionale.
     Sono intervenuti, inoltre, la Prof.ssa Mariella Uccella,  console provinciale,  il coordinatore della scuola- lavoro della Federazione Maestri del Lavoro, Mauro Nemesio Rossi, quest'ultimo   dati alla mano, ha dimostrato i lavori realizzati da alcuni insigniti che portano nelle scuole la cultura della sicurezza sul Lavoro ed intervengono nelle commissioni dove si dibatte del problema. Va detto che il presidente nazionale del sodalizio Gianluigi Diamantini ha voluto fare arrivare il suo messaggio di congratulazione sia all’Enel che al Comune di Mignano. Alla fine della cerimonia sono state consegnate targhe e medaglie ricordo. Particolarmente meritata la targa ritirata dal maestro del lavoro di Isernia,  Rino Verrecchia,  presente insieme al collega Antonio Testa, perché grazie all’impegno ed all’apporto dell’insigniti del Molise che il presidente Napolitano decretò le stelle al merito.









UN LIBRO IN OCCASIONE DELLA RICORRENZA DEL 60° ANNO
     Il Comune di Mignano – si legge nella notizia  riportata nei giorni scorsi dal nostro giornale – in occasione del  60° anniversario della tragedia di Cannavinelle, ha coinvolto due personalità legate in maniera particolare al tristo evento,  per realizzare un libro storico/commemorativo, che verrà distribuito il giorno dell’evento. Si tratta di Giacomo De Luca, (sindaco di Mignano dal dal 1990 al 2004 ) e di Andrea Fontaine, (maestro del Lavoro ed capo impianto Enel di Montelungo).   







A Roccadevandro 24 giugno del 1952

Altri quattro morti per una frana nella

 “Galleria della Morte”

      La “galleria della morte”  di Mignano  Montelungo ha voluto ancora altre vittime. Poco dopo le ore 13,30,  infatti, a distanza di tre mesi dall’orrenda tragedia che causò tante vittine, nel cantiere dell'impresa C.I.P. che esegue in località Pece, a 3 km. dall'abitato,  i lavori  presso  un profondo canale idraulico in corso di escavazione si è verificata  una frana che ha investito  in pieno un gruppo di operai che rimanevano sepolti. Il canale indicato congiunge la “galleria della morte” - ove, come è noto, il 24 marzo perirono tragicamente 42 operai ed un ingegnere in seguito ad una violenta esplosione - con l'ultima cascata della centrale elettrica.
     La notizia della nuova sciagura si è diffusa rapidissima in tutta la zona facendo accorrere sul posto numerosi contadini che organizzavano le prime squadre di soccorso mentre dalla direzione del cantiere veniva chiesto l'intervento dei vigili del fuoco di Caserta e di Cassino. Dopo alcune ore di intenso lavoro venivano estratti dalle pietre e dal terriccio i corpi dei quattro manovali deceduti per asfissia. Altri quattro operai, feriti più o meno gravemente, venivano ricoverati nell'ospedale di Cassino. Sopraggiunta la notte, i lavori di sgombro dell'enorme cumulo di terreno continuavano alla luce di grosse lampade e di torce. Si ha, comunque, ragione di ritenere che non vi siano a registrare altre vittime.